Moltiplicazione

Peppe Liberti | Più per meno diviso |

Quello per la moltiplicazione è un segno variabile. Da piccoli ci hanno insegnato a usare la crocetta, da più grandi ci han fatto passare al puntino ma, in certe condizioni, quando non c’è ambiguità, ci si può spingere oltre e non metter nulla, solo giustapporre. È una situazione strana, a pensarci bene, è come se ci fosse un segno per chi la matematica la impara e uno per chi è più esperto o la pratica. Anche storicamente è andata così: prima è apparsa la crocetta poi il puntino.

A diffondere l’uso della croce di Sant’Andrea – quella che trovate anche nei passaggi a livello – ci ha pensato William Oughtred nella prima metà del 1600. Quest’ometto piccolo e dai profondi occhi neri nacque nel 1573 a Eton, nella contea del Berkshire, nell’Inghilterra sud-orientale, ed era figlio del reverendo Beniamino, l’archivista del celebre College di quella città. Parte del suo percorso di studi lo svolse proprio al King’s College of Our Lady of Eton beside Windsor, fondato nel 1440 da Enrico VI, lì dove venivano istruiti gli studenti che avrebbero proseguito gli studi a Oxford e Cambridge. Non si sa se soffrisse dei mali che affliggono tutti i ragazzi che frequentano la scuola in cui sono impiegati i padri, quelli che potreste sistemare in una scala che parte dall’imbarazzo, passa dalla strafottenza e arriva al senso di onnipotenza, fatto sta che a Eton ci rimase poco. A quindici anni si trasferì al King’s College of Our Lady and St Nicholas di Cambridge dove, nel 1596, scelse «la via più semplice per tracciare i piani meridiani per mezzo della geometria e senza calcoli trigonometrici», il suo primo trattato di matematica. Nel 1603 scelse invece quella che gli apparve la via più semplice per il paradiso diventando, come il padre, uomo di Chiesa e, sette anni più tardi, parroco della chiesa di San Pietro e Paolo ad Albury, nel Surrey. Messa a posto la sua anima, passò gran parte del suo tempo a dar ripetizioni di matematica ai figli dei notabili locali. I fedeli non gradirono ma lui delle critiche, oltre che delle anime, non se ne curava, non amava l’eloquio ma simboli e notazioni, preferiva il segno alla parola e i veri segni della fede eran per lui quelli della matematica, altroché. Di segni in giro però ne aveva trovati pochi e pochi erano pure i libri, specialmente quelli di testo e così, seguendo il consiglio del fratello del Duca di Newcastle, William Cavendish, abile matematico, nel 1631 un libro lo pubblicò lui.

Arithmeticae in numeris et speciebus institutio: quae tum logisticae, tum analiticae, atque adeo totius matematicae quasi clavis est (il metodo per calcolare in numeri e lettere: che fu una specie di chiave prima per l’aritmetica, poi dell’analisi e ora di tutta la matematica) è un titolo che si fa fatica a ricordare, molto meglio Clavis matematicae, anzi Clavis, la chiave. Il Clavis è un volume di piccole dimensioni, un libricino di 88 pagine, suddiviso in 20 brevi capitoli, un testo elementare dedicato ai giovani studenti più che agli studiosi. Per Oughtred era il filo d’Arianna che indicava la strada agli aspiranti matematici persi nel labirinto delle scritture antiche e così insegnava loro a comprenderle, a investigare e comparare, infine a ridurle a equazioni, cioè a esprimerle in simboli perché tutto fosse finalmente «chiaro agli occhi». A esser chiaro, Oughtred ci riuscì senz’altro e il libro, la chiave, il filo o quello che è, ebbe un successo tale che venne ristampato in ben otto edizioni, l’ultima nel 1702. È proprio nel Clavis che la croce di Sant’Andrea fece la sua prima apparizione come segno matematico, l’unico di quel libro che viene usato ancora oggi. Che Oughtred abbia lasciato un segno non v’è dubbio, uno solo però.
La croce di Oughtred era posta in alto tra due fattori (così: ×), funzionava bene ma, al contrario del libro, non ebbe gran successo. A partire dalla seconda metà del 1600 a vincere la partita fu invece una lettera, la x, minuscola e maiuscola. Proposte alternative e critiche, alla croce e alla lettera, non tardarono però ad arrivare. Alternativo fu Thomas Harriot che pubblicò l’Artis analyticae praxis lo stesso anno in cui uscì il Clavis. La notazione che utilizzava era particolare, una lunga linea verticale posta a destra delle due quantità da moltiplicare, sistemate a loro volta una sopra l’altra. Johann Rahn, che pubblicò nel 1659 in Svizzera la Teutsche Algebra, invece, al segno della croce preferiva quello dell’asterisco *. John Wallis infine, uno che Oughtred lo apprezzava davvero, nell’Arithmetica infinitorum (1655) usava indifferentemente la X e la ×, ma ne era a disagio e lo scrisse in una lettera inviata nel settembre del 1669 al direttore della Biblioteca della Royal Society, John Collins. Lì affermava che se in passato aveva preferito la × all’asterisco, ora s’era scocciato, che in fondo la × si confondeva con la X e che forse sarebbe stato meglio usare quest’ultima ma ruotata di novanta gradi. Era tutto quello che gli era venuto in mente e non era granché.

In quel periodo di lettere ne viaggiavano parecchie. In duecento anni, a partire dal 1630, di spedizioni se ne contano almeno centomila che a tracciarne su una cartina i percorsi s’avvolgerebbe l’intera Europa. John Collins era uno che ne riceveva e ne spediva parecchie – a Newton e Leibniz in particolare – ed è proprio a quest’ultimo che si deve la soluzione del dilemma di Wallis. Lo spiegò a Jacob Bernoulli in una lettera del 29 settembre 1698: «Non mi piace × come simbolo per la moltiplicazione, è facile confonderlo con la x; [….] spesso metto semplicemente in relazione due quantità con un punto interposto e indico la moltiplicazione con ZC∙LM». Chi riporta questa frase, Florian Cajori nel suo insuperato A History of Mathematical Notations, suggerisce che il punto di Leibniz fosse sistemato al centro, tra i numeri o le lettere, altri invece sostengono che lo ponesse in basso, ai loro piedi, ma vi basterà dare un’occhiata ai suoi manoscritti per ottenere la risposta giusta: il punto è dove capita, tra il basso e il centro, in alto mai.
Tra gli storici della matematica non c’è accordo neanche su chi sia stato il primo a usarlo quel segno lì, il più sintetico fra tutti. Si cita il solito Harriot e la Syntaxis Mathematica di Thomas Gibson del 1655 ma la faccenda non è chiara, un punto può sfuggire a chiunque o magari volevano dire altro. La cosa certa è che Leibniz fu il primo che lo dichiarò, era un tifoso del principio di parsimonia e del rasoio di Occam: «tra ipotesi concorrenti bisogna scegliere la più semplice» e così, evidentemente, tra i segni. Malgrado questa virtuosa attitudine, Leibniz non era arrivato subito al punto, di segni ne aveva usati diversi, i pochi in commercio e altri come la virgola e il punto e virgola e uno che capiva solo lui, una C ruotata in senso orario. Perché non scegliere la croce di Oughtred? Probabilmente aveva un conto aperto con sant’Andrea, noto non solo per la croce ma anche per la sua presenza nell’episodio della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Sicuramente è contro di lui che aveva scelto di puntare il suo personalissimo rasoio: «i miracoli non vanno moltiplicati oltre il necessario», aveva detto. Punto.
William Oughtred morì nel 1660. Aveva viaggiato poco ed era rimasto sepolto vivo ad Albury per cinquanta anni. Se per caso vi capiterà di imbattervi nel sito della vecchia chiesa di San Pietro e Paolo, come è successo a me, troverete senza difficoltà la pagina che contiene l’elenco di tutti i parroci, dal 1200 ai giorni nostri. Di Oughtred si dice: «Arrivò a Albury (per 100 sterline all’anno) dopo essere stato in carica a Shalford i cinque anni precedenti. Egli è ben noto per il suo libro Clavis Mathematicae. È stato detto che era un predicatore scadente; il motivo è da attribuire al fatto che non ha mai studiato, ma ha piegato tutti i suoi pensieri alla matematica; quando però rischiò di essere sequestrato da un fautore della monarchia, si immerse nello studio della divinità e predicò mirabilmente bene, anche in tarda età». Come dargli torto, vincere una paura è sempre più difficile che risolvere un’equazione.

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