Cerebus vol.5: “Jaka’s Story” (settembre 1988 – luglio 1990)

Omar Martini | La corsa dell’oritteropo |

Jaka’s Story è un ulteriore cambio di rotta rispetto a quello che era stato Cerebus fino a quel momento. Dopo un inizio sul solco della parodia fantasy, dopo aver trasformato una serie di avventure slegate in un racconto epico che mescola politica e religione, si cambia ancora approccio, scegliendo la strada di un taglio più intimo e minimale. Il racconto, come dice il titolo, è centrato sul personaggio di Jaka. Comparso quasi casualmente e destinato a essere dimenticato a causa di un incantesimo, dopo aver fatto sentire la sua importanza grazie alla sua assenza (nelle due saghe precedenti, che coprono circa 1.700 pagine, lei appare per una manciata di tavole, ma il segno che lascia è decisamente indelebile), prende finalmente il centro della scena, alternando situazioni tra passato e presente.
È quasi una rappresentazione teatrale quella a cui ci troviamo di fronte: cinque personaggi che per quasi tutto il tempo parlano e si scontrano, e in cui Cerebus non è nemmeno l’“attore” principale: la sua presenza non è fondamentale, e questo è percepibile anche dalla scelta (quasi forzata) delle immagini che ho effettuato per questo libro. Senza tirare fuori ovvi esempi come il testo di Beckett, o uno dei miei libri preferiti, Moominvalley in November di Tove Jansson, nel quale è l’assenza dei personaggi principali a esprimere la loro importanza e l’impossibilità per l’autrice di continuare a scrivere dopo la morte della madre, Dave Sim dimostra che l’importanza di un personaggio, anche quello titolare, non è data necessariamente dal numero di vignette, pagine o episodi in cui è presente. Grande spazio quindi a Jaka e alle tragedie che sembrano perseguitarla.
Da un punto di vista formale, la struttura della tavola diventa più regolare, sebbene rimanga molto personale, rispetto a quello che veniva pubblicato all’epoca: a portare avanti la narrazione c’è una gabbia di sei vignette suddivise su due strisce, intervallata dai flashback del passato di Jaka, presentati come una colonna di testo accanto a una illustrazione che varia per grandezza, forma e posizione all’interno della tavola stessa. Sim gioca con il significato del titolo. La storia di Jaka è l’esposizione degli eventi che le accadono ORA perché il racconto è centrato su di lei, ma è anche la storia del suo passato rappresentata dai flashback della sua infanzia, che diventa un libro scritto dal poeta Oscar che, guarda caso, lo vuole intitolare Jaka’s Story. A intervallare questi testi scritti, infine, ci sono diverse pagine di dialoghi presentati quasi come un copione teatrale, e che rappresentano i pensieri ossessivi e violenti che Spud Withers, il padrone della taverna, ha nei confronti di Jaka. Forma e significati, quindi, si rincorrono e si intrecciano in maniera indissolubile, soprattutto per il sottotesto che viene inserito utilizzando le fattezze di Oscar Wilde per il personaggio dello scrittore. Non è un caso, per esempio, che Oscar rimanga incantato dalla ballerina Jaka e che voglia dedicarle un libro, proprio come Wilde scrisse l’atto unico Salomè, ispirato al racconto fatto nei vangeli di Marco e Matteo.
Quella che ci troviamo di fronte, quindi, è un’elaborazione e una scelta ragionata, dopo aver sperimentato così tanto, di quali tecniche utilizzare per raccontare al meglio questa parte della storia: dopo essersi “riscaldato” per poco più di 2.000 pagine, Dave Sim mostra uno stile più maturo e compatto. Questo però non significa la completa eliminazione della ricerca di nuove tecniche: per esempio, dopo averlo utilizzato molte volte nelle varie incarnazioni del Roach, è con il personaggio della cirinista mrs. Thatcher che Sim mostra ai propri lettori come è in grado di piegare, modificare e adattare il lettering dei dialoghi per caratterizzare i personaggi, il tono dei loro discorsi e il ritmo delle loro frasi.
Altro elemento formale interessante è rappresentato dall’eliminazione del concetto dell’episodio (che deve necessariamente avere un titolo): quello che stiamo leggendo è un “testo” unico, concepito come un libro sviluppato in un prologo e tre parti, e in cui la suddivisione in albetti è casuale e dettata dal fatto che è ancora prematura l’idea di poter realizzare direttamente un volume a fumetti, invece di serializzarlo come era la norma. Questa tendenza, implicitamente già iniziata con Church & State (nella colonna dei credits dei comic book l’autore indicava la pianificazione, il nome dei capitoli e la lunghezza del ciclo narrativo), viene realizzata concretamente con questo volume: Cerebus prende una strada netta e diversa rispetto agli altri fumetti e non c’è più possibilità di tornare indietro.
Infine, questo ciclo di episodi ha un’ulteriore caratteristica: presenta quattro numeri (uno doppio, che funge da collante tra il ciclo precedente e questo, e due alla fine, che rappresentano l’epilogo) che non sono mai stati ristampati in volume: da Melmoth, la storia successiva, ogni numero della serie verrà raccolto all’interno dei tomi che seguiranno.
Il segno del cambiamento in atto è dato anche dalle apparizioni straordinarie dell’oritteropo, al di fuori della sua serie: in due anni ammontano a una sola, sebbene sia una “comparsata” in un albo fondamentale per il mondo del comics britannico.

  • Square one / … die alone… unmourned and unloved (“Cerebus the Aardvark” n. 112-113) è il numero doppio che collega Church & State a Jaka’s Story. Partendo dal punto in cui si è concluso il ciclo precedente, Cerebus si allontana dal luogo dove è ricomparso e arriva a una taverna, sempre nella Torre nera, molto simile a quella in cui sarà parzialmente ambientato l’arco narrativo successivo.
  • Untold Tale of the “Secret Sacred Wars” è una storia di quattro tavole che non ha per protagonista l’oritteropo bensì Roach e i suoi due aiutanti, durante lo storyline delle Sacre Guerre Segrete presentato nella seconda parte di “Church & State”. La cosa interessante di questo racconto è il contenitore in cui viene stampato: l’ormai leggendario albo “AARGH – Artist Against Rampant Government Homophobia”, pubblicato da Alan Moore attraverso la sua casa editrice Mad Love, che serve a raccogliere fondi per controbattere l’emendamento a una legge britannica che rendeva illegale la promozione dell’omosessualità.
  • Like a looks e Epilogue (“Cerebus the Aardvark” n. 137-138) costituiscono l’epilogo in due parti che non è contenuto nel volume. È in parte comprensibile la scelta di non inserire queste quaranta di pagine nella raccolta: sebbene la conclusione sia coerente con il tono malinconico e drammatico, la parte che la precede, a causa del tono slapstick che la caratterizza, avrebbe creato una forte dissonanza con il finale tragico riservato alla protagonista. Scegliendo di omettere questi due episodi, il libro mantiene una propria compattezza, anche se marca una decisa differenza tra l’esperienza di lettura dei “phonebook” e quella dei comic book.
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