Quattordici franchi

Boris Battaglia | Pantomime del Calisota |

La sua fortuna, Jean Baptiste Clément la incontra a ventitré anni, e indossa la redingote di Louis Vieillot, uno degli editori musicali più in voga di Parigi. Vieillot è un vero scopritore di talenti, e non ha dubbi, quel giovane squattrinato che vive a Belleville, in una soffitta di Rue du Télégraphe, conosciuto in uno squallidissimo cabaret, ha la sensibilità necessaria a scrivere i testi di quelle canzonette che piacciono tanto al pubblico dei Café-Chantant.
Così affida i suoi testi a un musicista navigato come Joseph Lemaire (che, in arte Darcier, è anche un famoso interprete e fa fremere le dame della classe dominante che si appresta a entrare nella Belle Époque) e il risultato gli dà ragione. Il successo è assicurato.
Per i sette anni successivi al 1859, la vita di Clément segue i ritmi della bohème parigina. Montmartre, dove si trasferisce a vivere, i bistrot fumosi e affollati della Butte (dove oggi sorge quell’orrore ideologico, prima che architettonico, che è la basilica del Sacré-Coeur), il vino, l’oppio: con la sua pipa e la sua lavalliére nera, Clément è uno dei protagonisti delle notti della capitale del Secondo Impero.
La sua vita sentimentale è molto instabile. Reso insicuro da un forte strabismo congenito dell’occhio sinistro, si considera esteticamente inaccettabile e vive solo avventure fugaci, senza concedersi ciò che invece veramente desidera: Il ristoro di una relazione stabile.

Poi però, poco prima di compiere i trent’anni conosce Isoline Marcillac, bellissima sarta di tre anni più giovane di lui. Non si sa come si conobbero, potrei inventarmelo e intrattenerti con un po’ di letteratura, ma non ho inclinazioni da romanziere, e ti basti allora sapere ciò che si può sapere per certo: che si innamorano, che a Isoline dell’occhio ballerino di Clément non importa nulla, anzi lo trova affascinante, che decidono di vivere insieme – senza sposarsi – e che la vita di Clément cambia radicalmente.
Non era nato in una famiglia povera. I suoi genitori erano benestanti commercianti di granaglie. Assolutamente anaffettivi, non mancarono mai, per tutta l’infanzia e l’adolescenza, di ribadire quanto la sua nascita non fosse stata desiderata, ma fosse stata solo un errore di calcolo. A diciannove anni, ribellandosi a quel mondo borghese tutto dedito all’etica del lavoro e insensibile alla natura del sentimento, Clément rompe in modo definitivo con la famiglia. Manterrà un legame solo con una vecchia zia mezza matta che vive a Colombes, cittadina rurale a nord-ovest di Parigi. È lì che lui e Isoline si trasferiscono a vivere all’inizio del 1866. È un periodo di assoluta serenità, quasi un idillio: a ottobre nasce Madeleine (alla quale Clément non farà mai mancare, nemmeno nei momenti più difficili, l’affetto che lui non aveva mai ricevuto), ed è proprio in questi lunghi mesi trascorsi sulla riva della Senna, che Clément scrive le sue canzoni più belle e il suo capolavoro, quello che lo consegnerà alla storia della canzone. Solo che appena ha finito di scrivere il testo della sua canzone più ispirata e innamorata, Le Temp des cerises, prima ancora di consegnarlo all’editore perché lo faccia musicare, il mondo gli crolla addosso.

Il diritto d’autore per chi scrive canzoni verrà riconosciuto a livello internazionale solo con la convenzione di Berna del 1886. Per il momento quello che guadagna Clément è solo quanto gli paga l’editore per la prima pubblicazione della partitura, oltretutto da dividere con l’autore delle musiche. È un autore famoso, ma quello che ricava dalla sua opera non lo rende di certo ricco. Un ritardo nel pagare l’affitto e lui, Isoline e la loro bambina si ritrovano in mezzo a una strada, nel pieno dell’inverno. Non potendo e, soprattutto, non volendo chiedere aiuto ai suoi genitori, per la famiglia di Clément comincia una vita di vagabondaggi e lavori miserabili.

Non è una placida cittadina sulle rive della Senna, ma l’Hotel Adriano gestito da Madame Gina su un’isoletta della costa dalmata, è per Marco Pagot quello che per Clément era la casa di Colombes. Un luogo di serenità. È vero, è un asso dell’aviazione italiana e il volo è il suo destino, ma il cielo è il luogo del conflitto, dello scontro. Durante la guerra (quella del 15-18) ha visto troppi compagni perdere la vita nei duelli aerei, è adesso che la guerra è finita, le cose non sono migliorate: l’Italia è in mano ai fascisti che la porteranno in un nuovo conflitto, e i cieli sono attraversati da crudeli pirati che Marco è costretto a combattere. Non può sottrarsi alla perenne violenza che caratterizza l’essenza umana, ma ne è disgustato. Disilluso da questa condizione, decide di diventare disumano e perde le fattezze di uomo per assumere l’aspetto di un maiale.
C’è solo un posto dove Marco è in pace, e non è il cielo, ma qui, con i piedi per terra appoggiato al bancone del bar di Gina. E non è un caso che qui Gina, a cui presta la voce la grandissima interprete Tokiko Katō, canti, per lui, la più bella delle canzoni d’amore:

«Quand nous chanterons le temps des cerises
Et gai rossignol et merle moqueur
Seront tous en fête
Les belles auront la folie en tête
Et les amoureux du soleil au cœur
Quand nous chanterons le temps des cerises
Sifflera bien mieux le merle moqueur

Mais il est bien court le temps des cerises
Où l’on s’en va deux cueillir en rêvant
Des pendants d’oreilles…
Cerises d’amour aux robes pareilles
Tombant sous la feuille en gouttes de sang…
Mais il est bien court le temps des cerises
Pendants de corail qu’on cueille en rêvant !

Quand vous en serez au temps des cerises
Si vous avez peur des chagrins d’amour
Évitez les belles !
Moi qui ne craint pas les peines cruelles
Je ne vivrai pas sans souffrir un jour…
Quand vous en serez au temps des cerises
Vous aurez aussi des chagrins d’amour !

J’aimerai toujours le temps des cerises
C’est de ce temps-là que je garde au cœur
Une plaie ouverte !
Et Dame Fortune, en m’étant offerte
Ne saurait jamais calmer ma douleur…

J’aimerai toujours le temps des cerises
Et le souvenir que je garde au coeur !»

Costretto ai più umili lavori Clément vive una disumanizzazione simile a quella di Marco. La fatica lo abbruttisce sempre più, finché non si avvicina agli ideali socialisti. La lotta per condizioni di vita più giuste, lo fa quasi rinascere. Riprendere a scrivere, non più canzoni, ma articoli e pamphlet.
Succede qualcosa di simile anche a Porco Rosso. Non per gli ideali socialisti, cioè… è vero che dichiara che piuttosto che fascista preferisce restare maiale, ma a cominciare la trasformazione del suo volto (il cui completamento Hayao Miyazaki ci permette solo di supporre) non è un ideale politico, ma la sensualità del corpo svestito di Fio che impatta sul suo sguardo, quando lei – al sicuro sulla sua isola rifugio – si tuffa nell’acqua.

Avvertito da un compagno internazionalista che a Bruxelles il direttore del Casinò cerca un autore per realizzare uno spettacolo, una rivista o un’operetta, Clément fa i bagagli e il 10 novembre 1867 parte per la capitale belga. Il direttore del Casinò lo conosce di fama e gli dà subito l’incarico. Lo spettacolo scritto da Clément ottiene un ottimo successo, tanto che si parla di produrne uno anche a Liegi. Ed è a Liegi, mentre si discute di questa produzione che Clément conosce colui che dovrebbe esserne l’interprete. Un tenore in disarmo che dall’Operà di Parigi è passato a piazze meno importanti: Antoine Renard.
Anche Renard nutre vaghi ideali socialisti: auspica la caduta di Napoleone III e il ritorno della Repubblica. Diventano amici e passano il tempo nei bistrot di Liegi a progettare una rivista da portare a Parigi. E una sera. Forse più sbronzo del solito, Clément mostra a Renard il testo di quella canzone rimasta senza editore e senza musica.
A Liegi fa un freddo cane in quell’inverno del 1867. Clément ha solo la redingote con cui è partito da Parigi. Renard gli ha regalato una vecchia pelliccia risalente ai fasti dell’Opera. Per ringraziarlo Clément gli regala quello che ha: il testo di Le Temps des cerises che a Renard era piaciuto così tanto.

Quando, nell’aprile del 1868 Clément torna a Parigi, scopre una cosa che lo lascia senza fiato. Renard ha musicato e interpretato Le Temps des cerises. È la canzone del momento. Lo spartito va a ruba. Musicista ed editore stanno facendoci un bel po’ di soldi. Ma contrariamente a quello che potresti pensare Clément non rivendica nulla per sé. Quella canzone l’ha regalata ed è giusto così. Gli basta e gli avanza quello che si è messo in tasca quando ha impegnato la pelliccia prima di tornare a Parigi: quattordici franchi.

Questo è un po’ tutto quello che avevo da dirti sul perché, secondo me, Miyazaki fa girare tutto il suo film attorno a questa meravigliosa canzone.

Però, qualche parola su quello che accadde dopo voglio spenderla.
Sembra, così almeno sostengono gli attenti analisti dell’ultima sequenza del film, che affermano di vedere il suo idrovolante rosso ancorato al pontile del giardino privato dell’Hotel Adriano, che alla fine Marco Pagot sia tornato umano e abbia passato il resto della vita insieme a Gina.
Per quanto riguarda Clément invece, sappiamo che combatté in difesa della Comune di Parigi. Nessuna Comunarda e nessun Comunardo cantò mai la sua canzone durante quei due lunghissimi mesi. Se devi sparare mica ti metti a canticchiare canzoni d’amore. Ma quando fu tutto finito, nell’introduzione a una raccolta delle sue canzoni pubblicata nel 1885, Clément parlandone, ne scrisse così:

«Puisque cette chanson a couru les rues, j’ai tenu à la dédier, à titre de souvenir et de sympathie, à une vaillante fille qui, elle aussi, a couru les rues à une époque où il fallait un grand dévouement et un fier courage!
Le fait suivant est de ceux qu’on n’oublie jamais:
Le dimanche, 28 mai 1871, alors que tout Paris était au pouvoir de la réaction victorieuse, quelques hommes luttaient encore dans la rue Fontaine-au-Roi.
Il y avait là, mal retranchés derrière une barricade, une vingtaine de combattants, parmi lesquels se trouvaient les deux frères Ferré, le citoyen Gambon, des jeunes gens de dix-huit à vingt ans et des barbes grises qui avaient déjà échappé aux fusillades de 48 et aux massacres du coup d’État.
Entre onze heures et midi, nous vîmes venir à nous une jeune fille de vingt à vingt-deux ans qui tenait un panier à la main.
Nous lui demandâmes d’où elle venait, ce qu’elle venait faire et pourquoi elle s’exposait ainsi…
Elle nous répondit, avec la plus grande simplicité, qu’elle était ambulancière et que la barricade de la rue Saint-Maur étant prise, elle venait voir si nous n’avions pas besoin de ses services.
Un vieux de 48, qui n’a pas survécu à 71, la prit par le cou et l’embrassa.
C’était en effet admirable do dévouement!
Malgré notre refus motivé de la garder avec nous, elle insista et ne voulut pas nous quitter.
Du reste, cinq minutes plus tard, elle nous était utile.
Deux de nos camarades tombaient frappés, l’un d’une balle dans l’épaule, l’autre au milieu du front.
J’en passe!!…
Quand nous décidâmes de nous retirer, s’il en était temps encore, il fallut supplier la vaillante fille pour qu’elle consentît à quitter la place.
Nous sûmes seulement qu’elle s’appelait Louise et qu’elle était ouvrière.
Naturellement, elle devait être avec les révoltés et les las-devivre!
Qu’est-elle devenue?
A-t-elle été, avec tant d’autres, fusillée par les Versaillais?
N’était-ce pas à cette héroïne obscure que je devais dédier la chanson la plus populaire de toutes celles que contient ce volume?»

Da quel giorno Le Temps des cerises è conosciuta come la canzone della Comune. Per quanto mi concerne mi piace immaginare che la giovane Louise sia sopravvissuta a quelle giornate e alla persecuzione che le seguì, e abbia trovato, come Marco Pagot, un pontile a cui ormeggiare la propria serenità, in attesa di tempi felici.

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