Il botto e lo schianto

Boris Battaglia | Crocevia di libertà |

Quarantacinque anni dopo le cannonate di Bava Beccaris, un’altra intensa pioggia di bombe cade su Milano. Nella notte tra il 12 e il 13 agosto del 1943, infatti, durante un bombardamento alleato durato sessanta lunghissimi minuti, 321 Lancaster e 183 Halifax sganciano sul capoluogo lombardo 1252 tonnellate di ordigni esplosivi e spezzoni incendiari.
Fermiamoci ancora un attimo qui, in piazza Fontana. Guardati intorno. Quella che vedi non era quella che vedevano i milanesi prima di quel bombardamento. All’alba del 13 agosto ’43 nessun milanese, se non fosse stato per la fontana del Piermarini, rimasta miracolosamente intatta, avrebbe riconosciuto il cumulo di rovine che era diventata questa piazza.
L’Albergo del Commercio, che – dando le spalle al Duomo- stava sul lato sinistro, è crollato, così come il palazzo littorio che gli stava di fronte, sede dell’Organizzazione delle Corporazioni, progettato nel 1940 dall’architetto Govanni Maria Maggi. I palazzi popolari che circondavano la piazza, la escludevano da Piazza Beccaria e le davano quell’aria intima e raccolta, sono solo montagne di macerie. Praticamente sono rimasti in piedi solo la fontana e l’Arcivescovado.
Anche la vicina piazza San Fedele è stata completamente distrutta. Il palazzo dove si trovava la Questura non esiste più. Verrà spostata in via Rovello, e poi, nel ’46, a guerra finita, in via Fatebenefratelli, civico 11. Tra un po’ ci facciamo un salto, ma prima devo dirti ancora alcune cose.

Quella che stai guardando adesso non è più la piazza in cui si sono svolti i fatti del capitolo precedente, ma non è nemmeno la piazza che vedevano i milanesi nei primi decenni del dopoguerra.
La ricostruzione di Milano (anche se in realtà non è mai finita, perché Milano è una città in continua trasformazione e decostruzione – quelli che non la amano in realtà sono spaventati da questo suo continuo ridisegnarsi) giunge a compimento qualche anno dopo il varo del piano regolatore del 1953. La ricostruzione di Piazza Fontana in realtà verrà terminata nel 1960, con l’apertura sul Palazzo del Capitano di Giustizia di piazza Beccaria.

Adesso qui, vedi questo lussuosissimo Starhotel Rosa Stand, ma allora c’era l’Albergo del Commercio, la cui ricostruzione fu terminata nel 1958, e che restò in attività fino al 1965, quando venne completamente abbandonato. Nel novembre del 1968 fu occupato e trasformato in una comune per ospitare studenti fuorisede, nella quale convivevano maoisti, marxisti-leninisti, anarchici (potevi, per esempio. incrociarci Pietro Valpreda) e successivamente anche delinquenti comuni. Ribattezzato “Casa dello studente e del lavoratore”, l’albergo diventa ben presto una realtà culturale e sociale catalizzante. La vita della piazza ne è completamente rivoluzionata. Le feste e gli assembramenti vivificano le notti di questa piazza centrale, senza sosta. Al punto che nel febbraio del 1969 il Consiglio comunale si vede costretto, a parole, a concedere legittimità all’occupazione. Comincia così una serie di vertenze e trattative per trasformare l’iniziativa degli studenti in un Centro culturale pubblico. Ma son solo chiacchiere. Temporeggiamenti. Nell’agosto del 1969, l’albergo viene sgomberato violentemente e subito abbattuto.

L’ordine e il decoro del centro di Milano sembrano ricostituiti. Ma è solo un’illusione.
Il palazzo dirimpetto all’Albergo del Commercio, quello in stile razionalista voluto dal regime per ospitare l’Organizzazione delle Corporazioni, è stato ricostruito molto più velocemente. Nel maggio del ’45 viene destinato a sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura. Il 12 dicembre del 1969, alle 16 e 37 viene sventrato da una bomba piazzata nella sua sala centrale. Il fragore del botto si sente a chilometri dal centro. L’esplosione causa 17 morti e 88 feriti.
Di questo attentato sai già tutto. Sai che non furono gli anarchici. Che quella bomba la misero i fascisti. Ma che la prima pista che gli inquirenti seguirono, fu quella anarchica.

Questa è l’ultima puntata della storia che ho cominciato a raccontarti il 23 marzo del 1921. Te lo ricordi, no? È cominciata con una strage. I cui responsabili erano degli anarchici che lottavano contro l’oppressione monarchico fascista, e che costò una dura persecuzione a tutto il movimento. In modo un po’ retorico potrei chiuderla qui, con questa oscena strage fascista, ferita che ancora pulsa nel nostro corpo sociale, per cui i responsabili fascisti restarono a piede libero e furono invece perseguitati anarchici innocenti. Ma non amo la retorica. Amo invece la prosaicità del camminare. Vieni, i titoli di coda di questa storia ci aspettano in via Fatebenefratelli.

Torniamo sui nostri passi. Indietro, fino a via San Pietro all’Orto. Qui risaliamo fino a sbucare in via Verri, dalla quale – girando a sinistra – prendiamo Monte Napoleone. La percorriamo fino in fondo, e ci infiliamo in via Croce Rossa. Poi prendiamo via dei Giardini, che percorriamo quasi tutta. Alla seconda traversa dopo i giardini che danno il nome alla via, giriamo a sinistra. Eccoci: siamo in Fatebenefratelli. Un centinaio di metri, forse poco più, e siamo arrivati. Davanti alla Questura. Sta qui, in quello che era il palazzo del Collegio Longoni (una scuola elitaria dove ci hanno studiato una sfilza di celebrità milanesi, da Manzoni a Strehler… gli anarchici hanno cominciato a entrarci solo dopo, quando è diventato la sede degli sbirri), dal marzo del ’46.

Quello stesso 12 dicembre del 1969, verso sera, vengono arrestati ben ottantatré anarchici. Tra di loro ci sono Pietro Valpreda e Giuseppe Pinelli. Le narrazioni di questi avvenimenti che hanno formato il nostro immaginario, ci portano a raffigurarci Valpreda come un giovane scapestrato anagraficamente vicino agli studenti che occupavano l’Albergo del Commercio, e Pinelli invece come un uomo maturo, responsabile, formato dalla Resistenza. In realtà i due erano quasi coetanei. È che rappresentavano i due volti dell’anarchismo di quel periodo. Lo spontaneismo individualista Valpreda, l’anarchismo organizzativo di matrice malatestiana Pinelli.

Valpreda sconterà 1.110 giorni di carcere preventivo, prima di essere processato e assolto. Pinelli, ferroviere ed ex-combattente delle brigate Bruzzi Malatesta, tra i fondatori del circolo Ponte della Ghisolfa (che allora stava in piazzale Lugano 31), il 15 dicembre (dopo oltre 48 ore di fermo ingiustificato) precipita nel cortile interno dalla finestra dell’ufficio del commissario Calabresi, situato al quarto piano. Lo schianto del suo corpo precipitato, chiude questa breve storia della Milano degli anarchici.

Come ci ha insegnato Marc Bloch, lo storico si trova ad affrontare due problemi: quello della causalità e quello della selettività. La realtà ci presenta un’infinita serie di linee di forza, tutte valide e interessanti, ma non possiamo seguirle tutte con la nostra narrazione, perché altrimenti dovrebbe essere una narrazione infinita. E noi siamo finiti. Da qui la necessità di operare una selezione. Ritengo che l’onestà del narratore risieda tutta nel dichiarare questa selezione. Mi sembra di averlo fatto.

Ho cercato di dare un’idea di cosa è stata, e come ha influito sulla città in cui vivo, la fase storica dell’anarchismo, quella che potremmo definire classica (durata meno di un secolo, dagli anni Ottanta dell’ottocento agli anni Settanta del novecento, ma di una fertilità unica) e che si chiude, a mio avviso, proprio con la morte di Pinelli.
Se l’anarchismo classico si spegne con la propria istituzionalizzazione (la narrazione martirologica seguita alla morte di Pinelli ha istituzionalizzato l’innocenza degli anarchici, disarmandoli) i suoi semi (cioè le idee e le pratiche anarchiche) germoglieranno alla fine degli anni Settanta nel Punk  e si ramificheranno nei movimenti antagonisti più attuali. Ma questo è un percorso che seguiremo nella terza parte di questo lavoro.

Adesso ripartiremo da qui, proprio dalla Questura e affrontando un’altra lunga camminata attraverseremo la Milano bandita. Ora riposati. Ci ritroviamo qui, in via Fatebenefratelli 11, nel prossimo capitolo.

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