Dieci regole dieci per scrivere una recensione onesta

Paolo Interdonato | La cassetta degli attrezzi |

1. Non mentire a te stesso: dichiara apertamente le tue motivazioni. Non ci sono ragioni migliori di altre per scrivere una recensione. Vanno tutte bene. Lo puoi fare perché è il tuo mestiere, per avere libri gratis, per promuovere l’iniziativa di una persona alla quale vuoi bene, perché devi avere delle pubblicazioni ai fini curriculari, perché ti sembra necessario raccontare quel lavoro, perché ardi del desiderio di cambiare il mondo, perché hai una cosa da dire, perché ti annoi… Non esiste una ragione migliore delle altre. Nella quasi totalità dei casi, la tua recensione sarà letta distrattamente da pochissime persone, che cercheranno di capire se la cosa di cui parli può interessare loro. In nessun caso sposterai gli equilibri del mercato di un millimetro. Se hai un seguito e se sei stato convincente, l’oggetto di cui hai parlato venderà qualche copia in più o in meno. Non lo fai per il sistema, per gli editori, per i distributori, per i rivenditori, per gli autori e neppure per il pubblico. Sii onesto. Raccontati, come avrebbe fatto Dashiell Hammett, senza usare aggettivi e avverbi, perché lo fai.

2. Scrivi meglio che puoi. Non esiste una buona idea detta male. Le parole danno forma al mondo. La distinzione tra forma e contenuto lasciala a chi, in fondo alla sua recensione, mette i voti, distinguendo tra testi e disegni. «È una bella storia disegnata male». Che titanica cazzata! Se ci fossero servite belle storie, saremmo rimasti in osteria, sulle panche di legno, a chiacchierare con le persone che amiamo. Ci raccontano le nascite, i progetti, gli incontri, le amicizie, le disavventure, gli amori, le morti. Tutto quello che ci serve per capire la vita. Quando, invece, ci allontaniamo dall’osteria e chi racconta si è tolto di mezzo e ci ha lasciati da soli davanti a un film, un gioco, una canzone, un romanzo o un fumetto, mica vogliamo capire quale processo ha generato quella narrazione. Se ci accorgiamo che prima è stata scritta e poi disegnate, ci vien voglia di infilare le dita tra i punti di sutura e tirare forte, fino a quando quel corpo non si apre bene e mostra i suoi organi pulsanti. Se non stai raccontando bene, in modo comprensibile e divertente, sappi che è molto probabile che tu non abbia nessuna idea. Per raccontare senza annoiare e senza annoiarti, evitando il consueto dispiego di frasi fatte e luoghi comuni, devi scrivere e riscrivere continuamente. Prima o poi imbroccherai la tua strada.

3. Non ti fidare della tua memoria. Fa schifo. Non ti fidare delle nozioni che hai imparato leggendo bigini e riassunti. Gli articoli, tutti gli articoli, sono fittissimi di falsità ed errori. Quando riporti informazioni, ricostruisci sequenze di eventi e trovi relazioni, verifica continuamente tutto. Usa tutto quello che sai e tutto quello che sei, ma prima di mostrarlo agli altri, guardalo con attenzione. Non è una gara a chi ha l’ego più grosso ed esuberante. Ammetti la tua cialtroneria, non vergognartene. Metti sistematicamente in dubbio le tue convinzioni. Va’ a leggere il testo che sei sicuro di conoscere perché te lo hanno raccontato mille volte. Va’ a rileggere il testo che vuoi usare prima di usarlo. Anche se sei certo di ricordarlo benissimo. Non ti prendere in giro.

4. «La critica non serve mica a fare amicizia» (prof.ssa Lotti). A meno che tu non lo stia facendo perché è il tuo mestiere, perché vuoi essere assunto da un editore o perché ti arrivino i libri gratis a casa, sii consapevole che non stai fornendo un servizio al sistema editoriale. Se un libro non ti è piaciuto dillo e spiega perché. Gli editori e gli autori possono non essere d’accordo con te, possono addirittura incazzarsi, possono promettere che te la faranno pagare, possono addirittura dire cose sgradevoli sulle tue motivazioni o sul tuo conto. Sai una cosa? Quando godi di una narrazione, sei da solo con il testo. Il manufatto con cui ti gingilli è lì apposta per modificare il tuo umore, per farti stare meglio o peggio, per meritarsi tutto il tempo che gli stai dedicando. Sei autorizzato a raccontare tutti i tuoi piccoli spostamenti del cuore. Tutti.

5. Sii consapevole del fatto che la tua recensione è un’opera tanto quanto l’oggetto che recensisci. La distinzione tra autori e critici non esiste. Il critico è un autore che ha scelto un genere letterario specifico: la recensione. Chi ha realizzato un’opera di qualsiasi tipo non ha alcun diritto di aspettarsi una recensione come se gli fosse dovuta. Una recensione non è un’opera secondaria e derivativa. Esiste. Ed esistono tantissime recensioni assai migliori delle opere attorno alle quali si sviluppano. Quando nella stanza in cui sono viene detta una delle abusate varianti cretine dell’adagio «chi sa fa, chi non sa critica», riservo a chi ha profferito l’idiozia il medesimo trattamento che dedico a chi emette una sonora flatulenza in un locale chiuso.

6. Le stelline e i voti non servono a niente. Ma a niente proprio.

7. I riassunti, invece, quelli sì che servono. Riassumere l’oggetto della recensione è un’operazione dovuta. La scelta degli elementi da evidenziare, degli snodi chiave e delle caratteristiche più rilevanti è un atto narrativo. Quando si recensisce non si deve aver paura di prendere posizione rispetto alla narrazione con cui ci si confronta. Quel posizionamento serve a collocare il testo nello spazio delle narrazioni, a identificare connessioni, a far risuonare corrispondenze. Il riassunto è un atto critico.

8. Anche se sei bravo, hai bisogno di editing. Il mondo, l’ho capito pure io, non si risolve nelle mie percezioni. È possibile che, all’inseguimento del senso, mi perda in spirali di correlazioni e riferimenti, di connessioni e strade senza uscita. Ho bisogno, come tutti, di dialogare con qualcuno di cui mi fido. La progressiva deprofessionalizzazione e precarizzazione dei mestieri dell’editoria ha riempito le case editrici di correttori di bozze estremamente accondiscendenti con gli autori o di maestrini che non vogliono confrontarsi con il testo ma tradurlo nella loro lingua. Con l’editor si deve instaurare lo stesso rapporto di complicità, specularità, dipendenza e chiarezza dei ruoli che si stabilisce con lo psicanalista. Non bastano autorità, amicizia o rispetto. Bisogna imparare ad ascoltarlo quando ti dice «Non si capisce dove stai andando», «Ti sei fermato troppo presto», «Stai sbrodolando». Poi, alla fine, si fa quello che si deve, quello che si può e quello che si vuole: gli errori restano, ma almeno si sbaglia da professionisti.

9. Ciò che recensisci non è il fine della recensione; è un mezzo. I testi si usano. Mica hanno verità. Sono belli o brutti, consolatori o eversivi, lunghi o corti, ridondanti o sintetici, carichi di novità o stantii, innamorati o iracondi, bugiardi o onesti… Non è poi così importante. L’unica cosa che conta è il modo in cui entrano in risonanza con il lettore. Una recensione è proprio quello: la descrizione di un’esecuzione di un testo.

10. Costruisci una mappa del mondo. Le mappe sono straordinarie. Qualcuno le ha disegnate, partendo dallo studio delle mappe precedenti e dall’analisi del territorio. Per portare su carta il mondo reale bisogna costruire astrazioni e usare un sistema condiviso di metafore e convenzioni. Le mappe nascono per essere capite e per facilitare gli spostamenti. Ogni recensione è un itinerario. L’insieme delle recensioni che scrivi deve cartografare il mondo.

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