Solo un pizzico

Ugo e Michel | La grande abbuffata |

(Le illustrazioni sono di Lucia Lamacchia, che è responsabile di quanto segue almeno quanto lo sono Ugo e Michel.) 

«Oh! Cucini benissimo. Dovremmo provare a preparare qualcosa insieme.»
Ed è questo il momento in cui sento un brivido di terrore attraversarmi le vertebre. Parte dalla nuca e scende gelido fino a infiggermisi nel coccige. Quelle parole, che ho sentito troppe volte nella mia vita, sono un segnale che non può essere frainteso; indicano che la persona con cui mi sono appena rotolato tra le lenzuola non sta rispettando i patti. Metto tutto in chiaro fin da subito. Dico che siamo amici, che scoperemo, che poi ognuno tornerà a casa sua: niente parole d’amore, niente spazzolino nel mio bagno e io cucino da solo. Il sesso sarà solo un altro avvincente elemento della nostra amicizia, da affiancare alle chiacchierate e al sesso. Il fatto che ci entriamo dentro non può significare che congiungiamo le sfere della nostra intimità più profonda.
Magari la persona che vuole cucinare con me non se ne accorge neppure che sta cercando di entrare nei miei spazi: mica vado a letto solo con menti illuminate.
La cucina si pratica in solitudine. La si può fare in una stanza colma di gente, magari commensali in attesa della pietanza, ma resta l’atto formidabile di un genio solitario. Formidabile anche se si ripete di continuo. Pure più volte al giorno. Se poi qualcuno non è d’accordo sul genio… che andasse a mangiare da un’altra parte.
«Girami le verdure, per favore.»
È l’inizio della fine dell’affetta. Tutto si banalizza. Significa che per chi cucina una mano che brandisce un mestolo o un cucchiaio equivale a qualsiasi altra mano. Non è così.
Io cucino.
Io.
Nessuno può violare il mio spazio. Potrei uccidere per una correzione di sale o per l’aggiunta di una spezia.
Non mi distraggo mai. Controllo con ferocia militare gli ingredienti, le lame e i taglieri, il piano lavoro, l’intensità della fiamma, e le pentole e le padelle appoggiate sui fuochi.
C’è però un problema. Le pietanze che cuociono meno di un’ora le posso controllare con ostinazione da guardia svizzera.
Quando preparo il ragù, invece, e voglio garantirmi almeno otto ore di lentissima cottura, sono costretto ad abbandonare il presidio. C’è sempre qualcosa da fare. Dalle più banali – ma non per questo rimandabili – esigenze fisiologiche all’accudimento delle mie divinità domestiche.
In quei casi, metto a guardia del pentolone, carico di sugo e fumi, la gallinella segnatempo che mi richiamerà al dovere ogni sessanta minuti, nella speranza che il suo sguardo inespressivo tenga a distanza i malintenzionati.
Funziona quasi sempre.
QUASI.

«Cosa hai fatto?», sbotta Ugo all’indirizzo di Michela. L’ha sorpresa mentre appoggiava sul piatto il cucchiaio di legno.
«Ho girato il ragù.», risponde la donna un po’ sorpresa.
«Lo avevo girato IO!», getta uno sguardo alla gallinella, «Ventisette minuti fa.»
«Beh, dai… Una girata in più gli fa solo bene.»
«Non parlare di cose che non sai! I grumi che si addensano sul fondo producono una cottura non uniforme che è il cuore pulsante del ragù.»
«Ma se poi mescoli tutto. E cuoce per tre giorni.»
«Magari potessi farlo cuocere per tre giorni. Mi limito a una decina di ore. A volte devo accontentarmi di otto.»
«Beh… con tutte quelle ore sul fuoco, chi si accorgerà della cottura disomogenea dei tuoi grumi?»
«Io non cucino per nessuno. Io cucino per me.»
«Dai, smettila. Mi stai facendo paura. Ho solo girato il sugo.»
«Lo hai anche assaggiato!»
«Beh… è quasi istintivo.»
«Col mio cucchiaio!»
«Ma lo si immerge in una roba che sta a bollire per ore. Mica ti prendi il Covid!»
«Per uccidere il virus avresti dovuto tenere il mio cucchiaio in immersione per così tanto tempo che saresti morta prima di quelle creaturine minuscole.»
«Ugo, stai scherzando?»
«Non scherzo mai in cucina! Perché lo hai assaggiato?»
«Adesso piantala! Sto respirando questo odore da ore. Ce lo avrò nei vestiti e nei capelli per giorni. Volevo sentire il sapore.»
«E magari volevi aggiustare anche il sale.»
«Ma va’! Cucini già salatissimo. Ho aggiunto una punta di curry.»

«COSA???», Ugo scatta in avanti, con le vene al collo in evidenza, «HAI ROVINATO IL MIO RAGÙ, CRETINA. COME TI SEI PERMESSA? VOLEVI DARGLI UN TOCCO ESOTICO? SIETE TUTTI COSÌ. INCAPACI DI PREPARARE PIATTI VOSTRI! CREDETE CHE LA COMMISTIONE DI SAPORI DAL MONDO RENDA LE VOSTRE PIETANZE PIÙ INTERESSANTI! FUSION, DITE. E POI MANGIATE DELLE FETTE DI PESCE APPOGGIATE SU UNA POLPETTA DI RISO RANCIDO CONVINTI CHE SIA SUSHI. TI SEI INFILATA NEL MIO LETTO SENZA CHE TI INVITASSI. FUORI DALLA MIA CUCUNA, STRONZA. IO TI AMMAZZO!»
Attaccata con una violenza inattesa, Michela indietreggia lentamente, fino a ritrovarsi con le spalle contro il frigorifero. L’avanzata di Ugo non si interrompe. Le si avvicina gridando fino a quando le punte dei loro nasi quasi si sfiorano. Mentre grida la minaccia di morte, l’uomo solleva di scatto le braccia, le dita sono rigide e larghe.
Le mani di Michela afferrano le spalle di Ugo. Con un salto, lo rovescia sul pavimento ringhiando. L’impatto della schiena sulle piastrelle gli toglie il fiato. Il contraccolpo gli fa anche rimbalzare la testa sul marmo. La donna ha i capelli scomposti davanti agli occhi stretti a fessura. I denti scoperti. Immobilizza l’uomo, che non sembra avere alcuna intenzione di muoversi, sedendosi sul suo ventre. Con la mano sinistra gli stringe il collo. La destra, aperta ad artiglio, si solleva.
Ugo riapre gli occhi e il suo sguardo di riempie di paura.
Come se riconoscesse l’amico solo in quel momento, Michela rilassa gli arti. La smorfia di rabbia di tramuta in tristezza, dolore, paura. Si accascia sul petto di Ugo.
«Cosa ho fatto? Cosa mi sta succedendo?»
Scoppiano a piangere. Entrambi. Si abbracciano e si chiedono perdono. Più volte. Tra i singhiozzi.

Adesso Michel ci spiega tutto. È arrivato con questa signora male in arnese che parla come la sorella dell’ispettore Clouseau. Puzza un po’ e si chiama Christine. Tiene in braccio la statuetta del Pensatore di Camille Claudel. Sono certo che parleremo, ma prima ci godiamo questa barbera e questi bucatini. E, cazzo, niente male questo ragù. Davvero niente male.

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