L’Uomo (Ragno) sulla soglia

Federico Beghin | Affatto |

Quello del 1982 non è stato il mio mondiale. Lo è stato invece, per pure ragioni anagrafiche, quello del 2006. Lo stesso anno in cui la Marvel cominciò a pubblicare Civil War, saga che cambiò lo status quo dei supereroi e del quale ha scritto approfonditamente Francesco Barilli su QUASI di maggio.

I fatti narrati da Mark Millar e Steve McNiven nei sette albi della miniserie principale influirono su tutto l’universo narrativo della Casa delle Idee, e si ramificarono in una serie di testate create apposta per l’occasione, come “Civil War: Front Line”. Nel primo numero di questa rivista, uscito negli USA nell’agosto del 2006 e proposto in Italia da Panini Comics nel quindicinale “L’Uomo Ragno” #461 (maggio 2007), si trovano tre tavole sceneggiate da Paul Jenkins, disegnate da Kei Kobayashi e colorate da Christina Strain. È un fumetto brevissimo, che in italiano si intitola Poesia del campo di accoglienza di Poston, mentre in inglese fu pubblicato come capita non di rado “untitled”, al quale è premessa una nota informativa che contestualizza il racconto: nel 1942 il Presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt firmò l’Ordine esecutivo 9066, con il quale fece trasferire centodiecimila cittadini americani di origine giapponese dalle loro case in dieci centri di accoglienza, i Relocation Camp. Pur essendo private dei loro beni e della loro libertà, queste persone ottennero vitto, alloggio, istruzione e cure mediche. Nei Relocation Camp si registrarono il più alto tasso di natalità e il più basso tasso di mortalità di tutti gli USA in tempo di guerra.

La sceneggiatura di Jenkins prende l’avvio da una poesia, anonima, che nel 1943 circolava nel Relocation Camp di Poston. Sono quattro strofe di quattro versi ciascuna, quattro quartine, che Jenkins distribuisce nelle didascalie delle prime due tavole. Ogni tavola è costituita da tre lunghe vignette orizzontali. Schema ritmico necessario agli autori per costruire la metafora di un ragionamento, quello dei due protagonisti: il padre da una parte e Spider-Man dall’altra, che procede più per obbligo morale che per volontà propria, in modo brutalmente binario. Tre pagine, ognuna organizzata in tre rettangoli a base ampia e altezza ridotta, a loro volta divisi a metà senza un confine netto. Non c’è spazio bianco a interrompere la continuità visiva, ma la parte sinistra di ogni vignetta racconta una storia, quella di una famiglia che, durante la Seconda Guerra Mondiale, raggiunge il campo di accoglienza a cui è destinata; la parte destra, invece, racconta i dubbi di Spider-Man, in uno dei momenti più difficili della sua carriera di supereroe.

Questa parte del racconto dedicata a Spider-Man è collocata prima degli eventi di Civil War #2. Peter Parker non si è ancora smascherato davanti alle telecamere, schierandosi insieme a Iron Man a favore dell’Atto di Registrazione dei Superumani. Lo vediamo mentre parla al telefono con sua moglie Mary Jane, dicendole che deve prendere delle decisioni importanti (registrarsi o diventare un nemico pubblico), legge una notizia sul New York Post, volteggia sulla città e infine atterra ai piedi della Statua della Libertà.

I suoi dubbi sono simili a quelli della piccola Kimiko che, mentre aspetta di varcare i cancelli sormontati dal filo spinato della sua nuova, strana, casa, pone al padre varie domande alle quali riceve una serie di risposte riassumibili con una di esse, l’ultima: «Perché è nostro dovere». A cui fa da contrappunto la brutalità reazionaria della frase dell’Uomo Ragno che chiude la storia mentre guarda la Statua della Libertà: «da un grande potere, eh?». La scelta è fatta. Il dovere batte la libertà.

Kobayashi disegna con un tratto sottile ma ben visibile, alcune linee sono spezzate e altre sicure, tracciate con un unico movimento della mano, ed emergono dalla colorazione per nulla invasiva di Strain. I volti dei personaggi in viaggio sono puliti ed espressivi, lasciano trasparire incertezza, rassegnazione e alienazione; i corpi appaiono piuttosto rigidi, in contrasto con il fisico guizzante, inquieto, dell’Uomo Ragno che, per l’occasione, indossa il costume tecnologico rosso e oro regalatogli da Tony Stark. Le tinte potenti dell’armatura creano un contrasto significativo sia rispetto allo sfondo notturno di New York sia se accostate ai toni tenui e discreti scelti dalla colorista per dare corpo agli americani di origine giapponese giunti nel campo.

In questo 2022, che celebra il quarantesimo anniversario del Mundial ’82, avvenimento che può essere considerato come la soglia d’ingresso di una nuova epoca storica, ma in cui cade pure il sessantennale dell’Arrampicamuri, è interessante rileggere questo fumetto che parla in modo manicheo di dubbi, doveri e responsabilità, sintetizzando in sole tre pagine un passaggio, anzi una soglia, della Storia dell’uomo contemporaneo e della storia dell’Uomo Ragno.

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