Più umano dell’umano

Boris e Paolo | QUASI |

Quarant’anni fa cominciava il futuro. Ecco… Una bella frase a effetto per iniziare un editoriale. Proprio quello che ci serviva. Per altro, riferendosi ai quarant’anni di Blade Runner di Ridley Scott (uscito in Italia nell’ottobre del 1982 e negli Stati Uniti, in una versione leggermente edulcorata dalle scene più violente, quattro mesi prima), è anche molto vera. Lo sappiamo: è decisamente meno vera della sentenza «Il futuro comincia ora», che ha la pregevole caratteristica di riattualizzarsi ogni volta che viene pronunciata. Però, provaci tu a costruire un editoriale anche solo leggibile partendo da una tautologia. Che noia!

Qualche settimana fa è uscito, per la casa editrice Odoya, un prezioso compendio delle tre raccolte di saggi e articoli di Valerio Evangelisti, Le strade di Alphaville: Conflitto, immaginario e stili nella paraletteratura. Il tomo, pubblicato tre mesi dopo la morte dell’autore, allinea interventi intorno alla letteratura di genere. Evangelisti sosteneva che, benché sia talvolta scritta male, sia spesso ripetitiva e non la si possa in alcun modo ritenere superiore alla “letteratura alta”, la paraletteratura è un dispositivo straordinario per portare su carta temi “forti” (li definiva proprio così) e per offrirci strumenti per leggere il mondo in cui viviamo. Chi si è formato godendo di romanzi, fumetti, film e giochi carichi di fantascienza, giallo, orrore ed erotismo sa che è proprio così. Gli altri forse sono più colti (un’altra frase a effetto che ci piaceva piazzare qui, ma cui tributiamo la stessa attendibilità che riconosciamo ai discorsi che ci ha fatto una volta un gnomo lariano disteso tra castagne e prataioli), ma sicuramente hanno meno strumenti per capire il mondo.

Il futuro comincia ogni volta che ci imbattiamo in una narrazione che, mentre ci racconta l’oggi meglio di tutte le altre, offre una chiave per leggere gli anni a venire. Blade Runner, quarant’anni fa, ci ha raccontato cosa stavamo vivendo e cosa ci sarebbe successo. Ancora oggi, quel film mette i brividi. Per due ore, durante le quali è impossibile staccare gli occhi dallo schermo, ci mette di fronte a questioni etiche e politiche come nient’altro era riuscito a fare prima. Da quel momento, il nostro futuro non è stato più lo stesso. Un film che ha cambiato per sempre la nostra percezione della vita, l’universo e tutto quanto.

Un fremito di eccitazione attraversa i corpi dei manager di Tyrell corporation quando viene loro presentato, per la prima volta, lo slogan dell’azienda: «Più umano dell’umano». Corpi perfetti, belli, forti, veloci. Macchine quasi umane capaci di fare i lavori che gli umani rifiutano. Niente cervello positronico per i replicanti, nessuna legge della robotica che ci protegga da una loro eventuale rivolta. Sono i nostri fratelli, i nostri schiavi, i nostri nemici. Ci sono superiori in tutto, al punto che gli scienziati Tyrell, per garantirci incolumità e sicurezza, impiantano nei loro corpi, vivissimi e perfetti, i semi della morte: nella poca vita loro concessa, i replicanti non hanno il tempo per organizzarsi. Esiste poi un corpo di polizia specializzato in «lavori in pelle»: agenti chandleriani pronti a terminare, prima della data di scadenza, ogni eventuale animo riottoso.

«Più umano dell’umano». Quella che doveva essere una promessa commerciale si rivela una maledizione. I replicanti sono affamati di vita: avidi, invidiosi, lussuriosi, assassini, spesso amorali. Vogliono vivere, a ogni costo. E quando il buio si avvicina decidono che la vita, ogni vita, deve essere tutelata, a tutti i costi. O forse maledicono chi sopravviverà, costringendolo a vivere in un mondo in cui non si muoverà la memoria di uno sguardo che ha visto cose che gli umani non possono immaginare.

Quarant’anni fa iniziava il futuro. QUASI omaggia quel momento seminale per tutto il mese di ottobre.

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