I supereroi di Darwyn Cooke: la maglia ben dentro i mutandoni

Federico Beghin | Affatto |

Già a tre anni avevo le idee chiare: mi piacevano gli eroi. Mi piacciono tuttora. A volte mi fanno incazzare, perché ne vedo l’ipocrisia di fondo e perché quel loro senso del dovere e quella loro stramaledetta tendenza al sacrificio hanno contribuito in parte a rovinarmi la vita. Ormai è andata, però, perciò è inutile che me la prenda troppo con loro. Tutto iniziò con il telefilm di Zorro, in cui il protagonista era interpretato da Guy Williams. Lo stesso Zorro che ho incontrato di nuovo quest’estate, con il Covid-19 a farmi compagnia, tra le pagine a fumetti di Alex Toth. Poi fu la volta di Batman e in quel caso galeotto fu il film Batman & Robin di Joel Schumacher. Da lì i cartoni animati, i pupazzetti, i libri illustrati, i fumetti e il costume da carnevale. Un costume figo, fatto bene dalla sarta che fu anche la mia babysitter in tenerissima età: simile al costume che indossava Adam West nella serie camp degli anni Sessanta, unito a quello vestito dall’uomo pipistrello disegnato da Neil Adams, era un due pezzi grigio con la cintura e lo stemma gialli, la maschera blu come il mantello. Quest’ultimo era double-face, potevo esibirlo dalla parte nera o da quella blu. Sopra alla maglietta e ai pantaloni gli immancabili mutandoni.

Dovevo apparire piuttosto buffo: un bimbetto pelle e ossa con addosso la tuta da lavoro di un eroe; un abito più grande di lui di almeno un paio di taglie, portato con la maglia ben infilata nei mutandoni.

Salto in avanti. Finalmente sembra prendere vita il progetto di un podcast sui fumetti, insieme a due amici, e decidiamo di partire da Ed Brubaker, perciò studiamo e ripassiamo. Lo sceneggiatore statunitense nei primi anni Duemila scrisse varie storie di Catwoman, la famosa gatta ladra di Gotham City, facendosi affiancare per alcune di esse da Darwyn Cooke. L’artista canadese, scomparso nel 2016, aveva uno stile subito riconoscibile, elegante, a volte morbido e altre spigoloso, vivace, cartoonesco, classico e forse perfino vecchia scuola, certamente espressivo e piacevole. Osservando i suoi supereroi era impossibile non pensare alla Golden Age del fumetto statunitense ibridata con la spensieratezza della Silver Age. Anche se allo stremo, feriti e tumefatti, i suoi personaggi continuano a dare la sensazione di avere una fiducia incrollabile in un futuro radioso.
La Catwoman che incontro tra le pagine di Brubaker e Cooke, assistito da Cameron Stewart e Mike Allred, è appena rientrata nel giro, dopo aver sfidato e sconfitto la morte; si rimette in gioco e lo fa con tanti dubbi e una nuova missione. Anche se all’inizio non sembra, perché sulle prime la narrazione si concentra sull’investigatore Slam Bradley, quella raccontata è la sua storia e Batman è solamente un elemento di contorno. Però è proprio Batman, o meglio il suo costume, ad azionare la girandola dei ricordi. Forse anche l’atmosfera parzialmente sognante creata dalla colorazione di Matt Hollingsworth contribuisce a farmi viaggiare nel passato fino a quel carnevale ormai lontano, ma è soprattutto merito della maglia griglia con tante pieghe che convergono in direzione dei mutandoni e della cintura gialla che sorregge l’insieme.

Ben più recenti sono le mie letture de La nuova frontiera e di Before Watchmen: Minutemen, entrambi sceneggiati e disegnati da Cooke. Nel fumetto dedicato ai vigilanti visti attraverso gli occhi del primo Nite Owl leggo «Cerchi le cose che ti hanno dato felicità in passato» e penso che ogni tanto cado anch’io vittima della nostalgia. Infatti ripenso alla mia bat-tuta e alle speranze di bambino, quelle che ritrovo anche negli occhi di Superman, pure lui molto attento a non prendere freddo alla pancia, nonostante in realtà non abbia di questi problemi. Ma Kent, quando era bambino, deve avergli fatto una testa tanta e ora non può proprio rinunciare a ficcare la parte superiore del costume in quella inferiore; e non importa se il risultato è un po’ trasandato. Anzi. Nel mio immaginario sono quegli abiti stropicciati a fare la differenza: Cooke con tre tratti veloci accende le mia fantasia, quasi mi illude che, scendendo in cantina e rovistando nel baule, io possa ritrovare il mio vecchio costume, provarlo, entrarci ancora e aspettare il buio per tentare una sortita nei vicoli o tra i comignoli. C’è una materialità nella semplice stoffa riprodotta tra le vignette, un qualcosa di ancestrale che la moderna tecnologia dispiegata nei film non riesce a ricreare. Certo, l’armatura traballante del Batman di Robert Pattinson mi dà l’idea di qualcosa di rudimentale, ma non riesce a farmi sognare. Come diavolo mi procuro le placche di metallo simili a un giubbotto antiproiettile e le coperture da ninja per gli avambracci? Ma, soprattutto, come se li procura un bambino? No, ci vuole proprio Cooke. Lui mi fa credere che con una maglietta della salute di lana e una calzamaglia pesante, con una maschera e un mantello, la cintura, i guanti e gli stivali posso essere un eroe.

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