Il fascino discreto della città in panpanya

Monia Marchettini | Io sono un unicorno |

Il fumetto è sempre più spesso utilizzato come strumento di studio. Partendo dalle sue tavole si indagano particolari aspetti della nostra società: il genere, la malattia, i disordini alimentari e molto altro.

La città non poteva mancare, soprattutto da quando nella narrazione si è trasformata da quinta ad agente attivo della storia. Senza la città in cui si muove, il protagonista non potrebbe essere se stesso.

Attraverso le tavole si indaga il carattere della città, non solo dal punto di vista architettonico, come spazio, ma anche dal punto di vista socio-relazionale, quasi si trattasse di un personaggio. Da sfondo, la città diventa paesaggio e poi territorio.

La differenza tra paesaggio e territorio non è sempre chiara: il paesaggio è la somma delle azioni antropiche e di quelle naturali, a cui va aggiunta la storia dei loro cambiamenti. Quando parliamo di territorio invece ci riferiamo a noi come agenti del cambiamento, siamo noi che svolgiamo le attività produttive e socioeconomiche dove viviamo.

Intendere la città coi fumetti

Il saggio Visible cities, global comics (2019) di Benjamin Frase (professore e redattore della rivista “Journal of Urban Cultural Studies”) esplora la rappresentazione della città nei fumetti di diversi autori attraverso concetti propri dell’urbanistica.  Mentre lo leggevo mi sono tornati in mente i panpanya works. Frase, non li cita nel suo lavoro, ma sono decisamente un esempio di come  il contesto cittadino abbia assunto un ruolo di protagonista.

Di panpanya sappiamo poco. Non sappiamo se si tratta di un autore o di un’autrice (ci terremo più neutri possibile), e non sappiamo nemmeno la sua età. Sappiamo invece che ha cominciato con autopubblicazioni online, passando solo in un secondo momento alla carta. Pubblica per la prima volta con un editore nel 2013, entrando presto nella classifica dei migliori manga di quell’anno. In Italia i panpanya works (nome della collana che racchiude le sue pubblicazioni) sono editi da Star Comics.

I suoi lavori devono molto alle favole e ci immergono in un ambiente cittadino realistico ma con tratti onirici (una sorta di realismo magico?). Sono convinta che usando come guida il libro di Fraser (decisamente teorico) sia possibile capire un po’ meglio il valore della città nella narrazione e nel lavoro di panpanya.

Benjamin Frase ci ricorda che:

«Comics frequently invite us to navigate the streets of the modern city. Early comics represented street scenes, sought urban readers, found urbanized circulation patterns, and reflected the hallmark traits of the modern city in their aesthetic composition.»

«I fumetti ci invitavano frequentemente a percorrere le strade della città moderna. Spesso rappresentavano scene di strada, cercando lettori tra i cittadini, trovando un modello di circolazione all’interno della struttura stessa della città moderna e riflettendone i tratti nelle sue composizioni estetiche»

Con panpanya, effettivamente, ci muoviamo progressivamente lungo le strade di una città contemporanea. L’ambientazione è molto realistica e curata nei particolari, quasi in contrasto con le avventure, che hanno spesso il tono di fantasticherie, e le connotazioni fisiche del personaggio principale, che ricorda stranamente un abbozzo incompleto di bambina.

Nonostante la protagonista non abbia nome, non è difficile affezionarcisi. In lei possiamo riconoscere il nostro essere immersi in un ambiente, la nostra città, che conosciamo solo in parte e che è in continua evoluzione. Nonostante il fatto che siamo proprio noi i principali autori del cambiamento (tutto agisce in questo senso; cosa decidiamo di mangiare, dove decidiamo di abitare e anche su cosa decidiamo di porre la nostra attenzione), potremmo anche perderci in lei.

 Anche se lo fa narrativamente, panpanya, esplora gli stessi temi di Frase. Il lavoro, il consumismo e la crescita incontrollata. Lo spazio cittadino per Frase è luogo di transito e scontro. Un luogo in cui ci spostiamo secondo i nostri desideri, curiosità e bisogni, che ci procura emozioni e sensazioni, mediate dall’esperienza personale. Lo è anche per panpanya.

Nel manga l’attenzione ai temi del consumo e all’esplorazione della città, (con curiosità per particolari che la contraddistinguono) non si limita alla narrazione tramite i fumetti: panpanya ci inserisce degli scritti sulle sue esperienze personali.

Questi hanno un loro titolo e sono datati come se si trattasse di un diario. É impossibile comprendere il senso di questo manga saltando la lettura (quante volte lo facciamo, vero?) queste parti, che servono a chiarire la poetica di cui è portatore. Particolarmente interessante è “Senza Dettagli”, del 5 dicembre 2021 contenuto in An invitation from a crab

«Ci accontentiamo di comprendere e spiegare ciò che ci circonda solo fino al punto in cui ci serve»

Qui ci viene spiegato un modo d’intendere la lettura di questo manga: usare la bambina protagonista, alla stregua di un puntatore su una mappa, per muoversi nella città. Lei ci aiuterà a notare le cose e ci fornirà una spiegazione. Anche se a noi potrà apparire stravagante quella è la sua lettura personale del territorio.

Andamento lento

La città quindi è un’esperienza individuale. Ce lo ricorda Benjamin Frase:

«The city can be viewed as a triumphant expression of the values of modern society and thus as a sort of monument to the powerful social strata that construct it. It can be seen as an aestheticized object of beauty or a functional agglomeration of services. It is both the backdrop of the individual or social experience, and a privileged contributor to the experience.»

«La città può essere vista come espressione del valore della società moderna e altresì come una sorta di monumento agli strati sociali che la costituiscono. La si può vedere come un un oggetto estetico o un agglomerato di servizi. In entrambi i casi è lo sfondo di esperienze individuali o sociali e causa privilegiata di tali esperienze.»

Si può ammirare la città a livello estetico, sondarne la rete sociale e criticare gli aspetti socioeconomici che non ci piacciono, ma nel fumetto come può il protagonista immergersi nella città e farci notare tutte le bellezze e le contraddizioni? Nel caso di panpanya, perlopiù camminando. La protagonista guarda la città, e noi la vediamo attraverso di lei. L’ambiente è sempre filtrato e dipendente da dove la protagonista volge lo sguardo, dalla sua esperienza, anche quando guida o prende i mezzi pubblici. Chi guarda la città è sia oggetto che soggetto, guarda ed è guardato. Noi siamo gli spettatori delle domande che la protagonista si pone e delle risposte che si dà.

Sempre in Benjamin Frase

«The constant movement of the urban environment gives rise to the figure of the flâneur. Perception becomes ambulatory. The density of the city’s visual stimulation induces distraction and doubt. In urban modernity, the singular attention of contemplation is definitively replaced by the distracted attention of an ever-moving thought»

«Il movimento costante dell’evoluzione urbana fa sorgere figure come il flâneur. La percezione avviene in movimento. Il destino della stimolazione visuale della città induce la distrazione e il dubbio. Nella città moderna, la singolare tensione alla contemplazione è definitivamente sostituita dall’attenzione distratta di un pensiero in continuo movimento.»

Con flâneur si intende una figura ben precisa, resa famosa da Charles Baudelarie (1821-1867) che indica solitamente un uomo che vaga per le vie cittadine osservando il paesaggio e godendosi le emozioni che questo gli suscita. Questo mi ha ricordato subito un altro fumetto: Mercurio Loi (camminatore instancabile nella Roma del 1800) di Alessandro Billotta, ma anche la protagonista dei manga di panpnanya ha elementi che possono farla considerare tale.

Per esempio, in “titolo storia” Panpanya muove la sua protagonista in un universo cittadino all’inseguimento di merendine confezionate fuori produzione: una sorta di pellegrinaggio tra i supermercati che potrebbero averne delle rimanenze. Sembra un pretesto per “l’andare”, perché la sua flâneur abbia uno scopo: consumare è l’attività principale, che svolgiamo tutti, nelle nostre città.

Questo dovrebbe farci riflettere sulla figura della bambina come cittadina tipo, non una su un milione ma una di quel milione. Una a caso tra coloro che consumano in città. Anche il fumetto è un prodotto che consumiamo. Non dimentichiamoci che il fumetto, fin dalle sue origini, era pubblicato sui giornali che erano la fonte principale delle informazioni sulla città stessa. Un bene effimero, mediatore tra la narrazione che la città fa di sè e il cittadino, e da questi consumato nella città stessa. Il manga è esattamente un oggetto di questo tipo, viene letto durante gli spostamenti verso e dal lavoro, la lunghezza delle storie sembra quasi essere tarata su questi percorsi obbligati. Alzando lo sguardo e abbassandolo nuovamente sulla pagina il lettore in realtà non stacca mai lo sguardo dalla propria città.

Nel suo saggio Frase ci fa notare come il fumetto stesso, dai suoi primissimi passi, sia un prodotto della città: comparso nei giornali (beni effimeri) che alla città stessa si riferivano, portando al lettore le notizie del suo territorio.

Mangiati ‘sta madeleine

Seguiamo la protagonista (il nostro puntatore sulla mappa) che a sua volta rincorre sapori, odori e rumori tipici della città, ai quali associa ricordi del passato o momenti di benessere. L’occhio distratto (ma anche il naso o l’orecchio) improvvisamente si fissa su un particolare che prima era passato inosservato e che diventa il motore della storia, spesso condita con abbondante realismo magico. L’oggetto in sé non è rilevante, può trattarsi di un semplice palo della luce, ma lo diventa perché dà vita ad intense fantasticherie o ricordi. Per Fresen la città è portatrice di ricordi, di esperienze tattili e sonore capaci di coinvolgere interamente nel corpo e nella capacità immaginifica di tutti noi.

L’aspetto onirico non è mai separato dall’ambito urbano.

La protagonista ha i suoi momenti di realismo magico più intensi in posti che sono stati definiti da Marc Augé (1935-2023), antropologo francese, come non-luoghi. Siamo stati tutti in luoghi come l’Ikea, pieni di camerette in cui nessun bambino dorme e cucine dove nessuno mai metterà l’acqua a bollire, o in metropolitane piene di indicazioni in cui ci siamo comunque persi. Per Augé i non-luoghi sono zone di transito e consumo (associate alla globalizzazione) quali aeroporti, stazioni e centri commerciali: spazi anonimi e omogenei in cui difficilmente stringiamo relazioni.

In panpanya questi concetti sono espressi con grande delicatezza. La riflessione sulla città è mascherata con dolcezza, il sentimento di smarrimento è reale: trovare un souvenir per un amico in un autogrill è impossibile, nonostante ne sia ampiamente fornito. Comprare non è solo un’azione necessaria alla sopravvivenza e motore del dinamismo nella città ma è anche veicolo di sensazioni e sentimenti nel cittadino. In questo manga i luoghi pubblici sono inscindibili dalla società del consumo: la protagonista è spesso impegnata in estenuanti ricerche di prodotti che le promettono benessere o che per moltissimo tempo glielo hanno procurato (e che come tutte le cose che non vengono consumate con continuità, sono uscite di produzione).

La crescita economica, quella sociale e materiale miete le sue vittime. Umani, animali, paesaggi e persino le merci vengono abbandonati a sé stessi. Non ci dobbiamo stupire se la protagonista impiega diversi episodi per riprodurre in casa il sapore della sua merendina preferita. Qualche tempo fa, su grande richiesta, il candido mulino ha riproposto la merendina “Il Soldino”, a cui molti di noi avevano legato il sapore dell’infanzia, un ultimo morso prima di accettare la mezza età. Ovviamente il soldino era in edizione limitata, maledetti!

Una volta qui era tutta campagna: un ritorno alla favola che narra il presente

Il tema della nascita, della crescita incontrollata e del declino in ambito urbano non è affatto nuovo nel fumetto. La protagonista di panpanya alle prese con stazioni in disuso della metropolitana, diventate una sorta di leggenda urbana, ci riporta alla memoria il modo in cui Will Eisner (1917-2005) ci ha raccontato la trasformazione della città. In Dropsie Avenue (1995), vediamo come il quartiere cresce, le case acquistano e perdono valore, influendo sul cambiamento di classe sociale di coloro che le abitano. La narrazione in Eisner è realistica e corale, mentre in panpanya è magicamente reale e personale.

Per fare un esempio di come usa la narrazione panpanya: oggi una città in crescita deve affrontare il problema inedito del cambiamento climatico. Per trattarlo panpanya usa con maggiore evidenza il tema della favola. In Fish Society, il settimo dei lavori di panpanya, i pesci – materia prima di un’azienda che li pescava e li vendeva – mutano a causa del cambiamento climatico (diventano bipedi, con arti superiori ed evidentemente con i polmoni) e diventano lavoratori di quella stessa azienda. La bambina perde il lavoro, perché i pesci si fanno pagare meno e lavorano di più, per riavere il suo posto di lavoro è costretta a mascherarsi da pesce. Alla fine, l’azienda diventa di proprietà dei pesci e poi chiude. La bambina rimarrà amica dei pesci e sarà anzi il loro tramite con la superficie.

I problemi della città non sono un semplice sfondo, e la bambina è coinvolta in prima persona, ma lo schema scelto da panpanya rimane quello della favola: l’animale che ringrazia colui che l’ha salvato. Ci troviamo di fronte a un ritorno della fiaba, trapiantata nel territorio della città, la cui morale è lasciata al lettore. Se ha voglia di trovarne una, ovviamente.

Tutte queste realtà, che potrebbero essere urlate, assumono invece un fascino discreto. In “Ruggine malinconica” (in The second goldfish), troviamo una riflessione sull’uso dei termini ruggine e malinconia che in giapponese sono scritti in modo simile: l’autore/autrice lamenta il fatto di confonderli e ci propone una sua riflessione: la ruggine non è mai solo ruggine.

«Un paesaggio urbano malinconico, per esempio quello di una città semi deserta e abbandonata, io me lo immagino come una serie di case i cui elementi metallici sono arrugginiti. Non è sbagliato no?»

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