Fra stracci e amore

Paolo Interdonato | QUASI |

Ammetterlo mi costa una fatica immane. Un supplizio che manco Sisifo. Un uomo della mia età deve però essere in grado di rinunciare al proprio orgoglio e ammettere un’evidenza dolorosa senza abbassare lo sguardo.
Posso farcela. Qualche secondo di respirazione addominale profonda, per cacciare la sensazione di fastidio. Tiro un bel fiato e sono pronto.

Claudio Calia aveva ragione e io torto.

Visto. Non è stato difficile. L’ho detto. Magari non hai ancora letto e faccio in tempo a cancellare. Come quando su Whatsapp resta quel marchio di indelebile infamia perché hai rimosso un messaggio. Sì, certo, non c’erano le spunte blu, ma chi ti garantisce che, davvero, non sia stato letto.
Va beh… ormai è lì sopra da un po’. Magari non te lo ricordi più e posso cambiare discorso. Mettermi a spiegarti che il tema di questo mese di QUASI, “Fra stracci e amore”, non è un omaggio a Guccini, come pensava quel povero di spirito di Boris, ma un verso di E la luna bussò dell’amata Loredana Bertè. In quella che è stata la prima canzone reggae della musica italiana, una favola ben poco caraibica, la luna cerca accoglienza in posti festaioli e alla moda, che vorrebbero essere eleganti ma sembrano incredibilmente cafoni, ricevendo continui rifiuti. E alla fine smette di bussare e scende: trova accoglienza vicino al marciapiedi. Fra stracci e amore, appunto.
Come dici? Te lo ricordi ancora? Uff… Non ti si può nascondere niente. Ti racconto tutto, dall’inizio.

È l’inizio del 2020, Boris e io ci rivolgiamo la parola a stento, non ci sopportiamo, abbiamo litigato per ragioni che, se provassi a dirtele, mi metterei a piangere. Aveva ragione lui, ma, testa di cazzo!, invece di supporre che io fossi in grado di capire da solo le cazzate dolorose che stavo facendo, poteva spendere un’ora del suo prezioso tempo a spiegarmele. Non fa niente.
Siccome abbiamo litigato, ma ci amiamo un sacco, decidiamo di costruire un giocattolo insieme: si chiamerà QUASI, la rivista che non legge nessunə.
Quando ti raccontiamo questa storia, Boris e io enfatizziamo la sbronza e poniamo enfasi sulla tovaglietta della trattoria su cui c’era scritto il nome della rivista, arrotolata in tasca come la mappa dell’isola del tesoro. Lo avrai capito: sono esagerazioni. Eravamo lucidi (sono ossessionato dal controllo e tendo a non sbronzarmi e Boris tiene più alcol di un babà), e quella tovaglietta è un simbolo per iniziare a parlare della nostra volontà di cartografare l’immaginario.
Durante quel racconto, presi da un romanticismo insopportabile, tendiamo a sorvolare sulla ricerca dell’editore. Volevamo che QUASI fosse di carta e volevamo qualcuno che si occupasse delle menate (stampa, magazzino, distribuzione, vendita…). Boris ha proposto immediatamente Claudio, indicandomi quel corpicino esangue e canuto come vittima da sacrificare sull’altare della nostra rivista costruita nella tradizione dei “Quaderni piacentini”, di “Linea d’ombra” e di “Diario” (quello di Bellocchio e Berardinelli, non il settimanale di Deaglio). In quel momento, Claudio e io non ci rivolgevamo la parola per una storia di svastiche (fattela raccontare da lui, che a me viene ancora da ridere). Non so come Boris ci sia riuscito, ma, dopo appena dieci minuti di trattativa, ha ottenuto il via libera. Qualche settimana dopo, gli ha addirittura confessato che ero coinvolto anche io, ma a quel punto era troppo tardi.

«Claudio dice che gli va bene fare la rivista di storia e critica, ma non vuole saperne niente di “Linea d’ombra” e di Goffredo Fofi», mi ha detto Boris, «Vuole fare il “Comics Journal” italiano».
«Facciamoglielo credere!», abbiamo riso insieme. Ed è così che è nata QUASI.

Claudio Calia non ha mai mosso alcuna ingerenza sul modo in cui abbiamo fatto questa rivista, coinvolgendo persone che non sempre apprezzava (a partire da me).
Anche se a guardarmi non lo diresti mai, posso essere molto sgradevole e, qualche volta, dico cose fastidiose, in maniera urticante, solo perché sono vere e mi fanno ridere (vero che non lo diresti mai?). Per un paio di anni, Boris ha dovuto mediare tantissimo perché Claudio non venisse ad aspettarmi sotto casa per corcarmi di botte. Adesso, a volte, sembriamo addirittura amici. Chi non ci conoscesse potrebbe ipotizzare che ci vogliamo, addirittura, molto bene.
Se guardi QUASI adesso, vedi una rivista di critica militante, scritta bene (qualche volta, addirittura, molto bene), che articola un racconto del mondo, tenendo il fumetto al centro. La cosa più simile che questo paese abbia mai avuto al “Comics Journal” di Gary Groth.

Penso allora a Claudio Calia, il nostro editore, un incredibile groviglio di coccole e molotov, che, per fare una rivista che stesse bene in oblò, l’associazione culturale che ha fondato, è dovuto scappare dalle porte del buio, da dove c’era il silenzio, dal party in piscina. Ed è dovuto scendere. Più vicino al marciapiedi. Fra stracci e amore.

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(Quasi)