D. 2 – No need to be coy, Roy

Alessandro Lise | Leggere Rusty Brown |

1975

1976, dunque. Ma la datazione non è così ovvia, perché poi, in altri momenti del fumetto, il 1975 torna fuori: torna fuori soprattutto nel capitolo dedicato a Woody, e in due punti in particolare.

  1. Tra gli anni Cinquanta e i Sessanta, Woody scrive un racconto di fantascienza, I cani guida di Marte, ambientato proprio nel 1975.
  2. Il capitolo su di lui, che è in gran parte un lungo flashback, si conclude nel presente: sono passati pochi mesi dalle vicende raccontate all’inizio del libro, e la neve si è del tutto sciolta. È sera, e Woody è nel suo studio, al tavolo di lavoro, davanti alla macchina da scrivere: si masturba su il numero di febbraio del 1975 di Hustler. Certo, potrebbe essere un numero dell’anno precedente, ma la data rimane.

Insomma il 1975 ritorna (come abbiamo già visto anche nel capitolo dedicato a Lint) ed è una data esibita: ha senso quindi che, proprio nel 1975, Woody ritorni con il pensiero al passato, a quando scriveva il racconto di fantascienza (ed era innamorato di una donna che non lo avrebbe amato mai).

Ma quindi?

E se la canzone di Paul Simon (citata la settimana scorsa) fosse solo un anacronismo? E perché tutta questa inistenza sull’anno? Cosa cambia se è il 1975 o il 1976?

Fondamentalmente nulla: eppure Chris Ware è nato il 28 dicembre del 1967: nel febbraio del 1976 aveva esattamente la stessa età di Rusty. Allora, forse, insistere sul 1975 significa allontanare il lettore da una possibile identificazione tra autore e protagonista? Andrebbe in quella direzione anche la presenza di Ware stesso come personaggio all’interno della storia: due depistaggi che però, a questo punto, fanno sospettare che l’identificazione ci sia, e che sia più importante del previsto, proprio perché nascosta…

Ma torniamo alle pagine 16-17.

Chalky

Devo ritrattare in parte quanto detto all’inizio sull’ordine di lettura delle due narrazioni. Se è vero che il lettore, quantomeno all’inizio, legge prima la parte di Rusty e poi quella di Chalky, nelle pagine successive la faccenda si fa più complicata. Le due vicende procedono, come abbiamo visto la settimana scorsa, sincronizzate dal punto di vista della griglia, ma hanno ritmi narrativi sensibilmente diversi. Le scene nella storia di Chalky sono più distese, lunghe, con più pause, ed è molto facile che una situazione non si chiuda nel giro di una doppia pagina. Ad esempio, in questo caso specifico, la scena su Chalky e sua sorella iniziata nella pagina precedente (14-15), finisce in quella successiva (18-19), senza gli stacchi temporali presenti, invece, nella parti di Rusty. Il lettore (cioè io) procede con la lettura di una delle due vicende fino alla fine di una scena (quindi di un’unità narrativa), per poi tornare indietro a recuperare quanto lasciato in sospeso.

Vediamo la storia di Chalky dall’inizio alla fine

Così disposte possiamo probabilmente apprezzare meglio il ritmo impresso da Ware con un numero veramente ridotto di inquadrature: se prescindiamo dalle prime due strisce in cui la scena viene introdotta, Ware usa fondamentalmente quattro inquadrature: piano americano su Allison che si veste, si pettina e si specchia, primo piano su Chalky, primo piano su Allison, totale dall’alto della stanza.

Se Allison è sempre in movimento e continua a prepararsi – anche perché non è preoccupata –, Chalky è immobile, al massimo china la testa (una sola volta), o cambia espressione. Viene qui evidenziata per la prima volta una caratteristica di Chalky che si ripeterà lungo tutto il capitolo: il bambino non risponde mai subito a una domanda, ma fa sempre prima una pausa. Anche la sorella si comporta così, in questo dialogo, ma l’effetto è differente sia perché Allison è concentrata a prepararsi, sia per il modo che ha di rispondere: dalle sue pause vediamo chiaramente che sta pensando a cosa dire; per Chalky questo tipo di riflessione è presente solo nel momento in cui china la testa; nelle altre situazioni, la sua immobilità, il fatto di parlare per frasi che si risolvono senza pause, spesso in un’unica vignetta, danno l’impressione di una reale timidezza: Chalky sa già cosa dire, ma non riesce a dirlo subito.

(continua…)

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(Quasi)