Lo so. È più di un anno che non riprendo questa rubrica e ti avevo promesso un secondo capitolo sul mio amato Schlingo. Invece. Approfitto del fatto che sono 80 anni che abbiamo scampato (sicuri?) il pericolo nazifascista e riprendo la storia da un po’ più lontano. Un giorno raccoglierò tutto – sia Bande a part(e) sia Ce ne sarà per tutti – in un unico volume e allora vedrai come, quelli che adesso ti sembrano stralci disordinati abbiano invece un ordine preciso e come tutto, alla fine, si tiene. Intanto…
Una cosa che non ho mai capito sono i criteri di scelta degli editori italiani per gli autori da tradurre. Fosse solo quello della vendibilità del titolo, lo capirei. Ma quanta roba tradotta ogni anno rimane invenduta? Non aspetto una risposta, è una domanda retorica. Quindi mi chiedo, e questa è una domanda reale, perché dei sette romanzi e della raccolta di poesie del catalano Joaquim Amat-Piniella non esistono edizione italiane? Di uno in particolare non mi spiego il perché. K.L. Reich, titolo che è già di per sé di una potenza assoluta e mi immagino che impatto avrebbe saputo trarne un bravo copertinista. K.L. Reich è l’abbreviazione di Konzentrationslager Reich, e stava stampigliata su tutti gli oggetti che i prigionieri di Mauthausen usavano e su tutti gli indumenti che indossavano.
«Stampato con l’inchiostro su tutti i vestiti, marchiato a fuoco nel legno, Emili lo ha avuto costantemente davanti agli occhi per quattro anni e mezzo e lo sa che è lo stigma con cui volevano marchiare anche lui, e l’unico epitaffio che avrebbe avuto come tutti i suoi compagni morti.»
Emili è il protagonista di questo romanzo autobiografico in cui Amat-Piniella racconta il proprio periodo di prigionia nel campo di Mauthausen. Certo è il suo alter-ego, ma è anche – e soprattutto – ispirato alla figura di un suo caro amico, anche lui prigioniero proprio in quel campo e che, grazie a una sua esilissima posizione di privilegio, gli ha ripetutamente salvato la vita. Questo amico si chiamava José Cabrero Arnal ed era un fumettista. Fu proprio grazie ai fumetti, disegnando periodicamente per il maggiore delle SS Franz Ziereis – comandante del campo – delle storielle pornografiche, che ottenne un trattamento di “riguardo” riuscendo a sopravvivere a Mauthausen fino alla liberazione, avvenuta 80 anni fa – il 5 maggio 1945 – per mano della 11° Divisione corazzata americana.
«Non ero tranquillo, perché tra le mie cose vi erano dei disegni porno che mi erano stati ordinati dagli sbirri tedeschi di Belfort e di cui non avevo avuto il tempo di liberarmi. Fui ricevuto dal capo delle SS del lager, il quale, con quei fottuti disegni in mano e lo sguardo severo mi domandò se ne ero l’autore. Temevo il peggio, ma non potevo negare l’evidenza e risposi affermativamente. Allora, in grande scoppio di risa, mi annunciò che avrei disegnato per lui. In questa maniera Amat e io stesso, siamo riusciti a ottenere, in questo universo di fame e d’orrore, un trattamento privilegiato»
Nato nel 1909 in un poverissimo paese dell’Aragona rurale, Arnal si trasferisce a 11 anni a Barcellona con la famiglia, dove suo padre ha trovato impiego nella Policia de la Generalitat. Studia da ebanista ma la sua passione è il disegno. Pur continuando a contribuire al sostentamento della famiglia con il suo lavoro da falegname, verso la fine degli anni Venti comincia a pubblicare brevi storie a fumetti su famose testate per l’infanzia come “Pocholo” e “TBO”. Quasi da subito comincia a guadagnare più con le storielle a fumetti che realizzando mobili in legno pregiato per un datore di lavoro che lo paga una miseria, rivendendo poi a prezzi assurdi quei mobili alla borghesia barcellonese. Nel1935 abbandona la falegnameria e il fumetto diventa la sua vera professione. È durante quest’anno che realizza le quattro storie, pubblicate su “Pocholo” dedicate ai Viajes extraordinarios del perro Top. Secondo Salvador Vázquez de Parga Chueca (se sei una o uno o un* che ne sa di fumetti, avrai sicuramente letto il suo fondamentale Los comics del franquismo) è proprio in questo esatto momento che il fumetto spagnolo comincia un’interessante evoluzione – per esempio cominciando a utilizzare il “bocadillo” (il ballon) che sarà introdotto proprio da Arnal – che purtroppo il franchismo bloccherà sul nascere, rimandando ogni sviluppo (ci sarà poi, ed esplosivo) di almeno 50 anni.

Appunto, il franchismo. Anche se tutto era iniziato il giorno prima in Marocco, il 18 luglio 1936 è il giorno ufficiale in cui, in seguito all’Alzamiento nacional, comincia la guerra civile. Il giorno dopo il governo ufficiale si dimette, e dopo ore di sofferta trattativa tra tutti i partiti dell’arco costituzionale, viene nominato primo ministro José Giral, che decreta l’immediata distribuzione di armi alla popolazione. Grazie al suo decreto l’insurrezione fu fermata in tutte le principali città di spagna: da Madrid a Barcellona, passando per Valencia.
A parte pochissimi elementi a Barcellona, sia l’esercito, che la Guardia Civil che la Policia de la Generalitat, si schierano apertamente con la Repubblica. Arnal ha 26 anni e si arruola subito come volontario repubblicano. Purtroppo, non sappiamo quasi nulla di questo periodo della sua vita come miliziano. Esaminando la corrispondenza con la sua famiglia, Philippe Guillen (che nel 2011 ne ha scritto una bellissima biografia: José Cabrero Arnal: De la République espagnoole aux pages de Vaillant. La vie du créateur Pif le chien) ha ricostruito che inizialmente prestò servizio nella 7ª Batteria di Artiglieria a Lérida, e poi come mitragliere nella 27ª Divisione sul fronte orientale.
Una brutta ferita alla gamba lo costrinse a un ricovero ospedaliero per diversi mesi nella seconda metà del 1937. È certo che tornò al fronte nel 1938, nei ranghi della 134ª Brigada Mixta e che partecipò alla sanguinosa battaglia del Segre, in cui l’esercito repubblicano oppose l’ultima disperata resistenza contro i nazionalisti. A metà di gennaio 1939, Arnal è a Barcellona, mentre il governo repubblicano tenta di organizzare la resistenza della città. Ma la pressione dei ribelli è schiacciante. Il 22 gennaio il capo di stato maggiore dei repubblicani, Vicente Rojo Lluch dice apertamente al primo ministro Juan Negrin, che il fronte ha ceduto e che la guerra è persa. Il governo repubblicano abbandona Barcellona verso la Francia. Comincia la Retirada. Josè Cabrero Arnal, come altre migliaia di combattenti repubblicani, cerca rifugio in Francia. Il governo francese, guidato da un socialista (non si smentiscono mai!) come Édouard Daladier, organizzò una serie di campi di concentramento per raccogliere quei profughi fastidiosi.
(per capire cosa furono quei campi di concentramento, se non lo hai visto prima, recuperati Josep, bellissimo film animato diretto dal fumettista Aurel che racconta la detenzione in uno di questi campi del disegnatore spagnolo Josep Bartoli, profugo della guerra di Spagna)
Arnal finisce nel campo di Argéles, proprio dopo il confine, nei pressi di Perpignan. È qui che conosce e stringe amicizia con Joaquim Amat-Piniella. Pur di andarsene dal campo e per ottenere il diritto d’asilo, nel dicembre del 1939 accettano, come molti altri profughi spagnoli, di essere inquadrati nella CTE, Compagnie de travailleurs étrangers: una compagnia di lavoratori stranieri usata per presidiare la linea Maginot.
La linea Maginot era una serie di fortificazioni lungo il confine con la Germania che avrebbe dovuto contenere un’eventuale invasione tedesca. Mentre il tempo passa nella noia dell’attesa, Arnal tiene un diario quotidiano a fumetti e un’amichevole corrispondenza con Josephine Baker. In Francia, dalla Prima guerra mondiale, c’era l’usanza per i soldati al fronte, di trovare – attraverso annunci sulla stampa periodica o rivolgendosi ad apposite associazioni di volontariato – “une marraine de guerre”: cioè, un’amica di penna con cui corrispondere. È molto probabile che Baker fosse la marraine di svariati altri soldati, ma quando Arnal le invia i suoi disegni, li fa vedere a un suo amico giornalista, il quale scrive ad Arnal di passare a trovarlo in redazione quando tutto sarà finito.
Tutto finisce il 22 giugno 1940, ma Arnal non può andare a Parigi a trovare il giornalista. Come sai, il 10 maggio i tedeschi aggirano la Maginot violando la neutralità del Belgio e attraversando le Ardenne. Il 14 giugno occupano Parigi e solo il 22 attaccano sulla linea, mettendo in fuga quello che restava dell’esercito francese. Sbandati e senza comando i soldati cercano rifugio in Svizzera, ma gli spagnoli, che il governo elvetico ritiene appartenenti a un paese non belligerante, non ricevono asilo e vengono respinti. Tornati in Francia, Arnal e i suoi compagni vengono catturati dai nazisti, incarcerati nel Fort de Barres a Belfort e poi spediti a Mauthausen. Qui conosce altri spagnoli, il fotoreporter Francisco Boix e il sindacalista José Bailina, che lo avvicinano all’idea comunista.
Tutto finisce davvero il 5 maggio del 1945. Arnal ha 36 anni, è uno dei pochi sopravvissuti del campo. Non arriva a pesare 45 chili. Preso in carico da un’organizzazione di soccorso, viene allogiato prima a Tolosa e poi a Caussade, presso la famiglia Darasse. Qui, nel giro di qualche mese riacquista le forze e conosce una ragazza che lavora in un caffè e di cui si innamora. Non si rimetterà mai completamente, le sofferenze subite lasceranno su di lui un segno e una malattia irreversibili. Non racconterà mai nulla della guerra civile, dei lager. Sappiamo veramente poco di tutti quei lunghi anni. Ma una cosa la sappiamo con certezza, nel dicembre 1945 vive a Parigi con Denise, la ragazza del caffè diventata sua moglie, e campa facendo fumetti.

Mentre si trova in clandestinità tra le paludi saline di Guérand nella Loira inferiore, il giovane ventitrenne René Moreu – nato a Nizza ma cresciuto per le strade di Marsiglia – scopre di essere affetto da una grave retinopatia genetica, che – neanche troppo lentamente – lo sta portando alla cecità. Nella vita civile René lavora nella tipografia di “Le Petit Marseillais” e studia pittura presso l’atelier Cadenal. La semioscurità in cui sta scivolando è un vero e proprio disastro, ma è ancora più grave in questo preciso momento, mentre sta partecipando alla guerra partigiana contro l’occupazione nazista. Questa infermità, unita alla fatica e alla malnutrizione della vita alla macchia, avrebbe spezzato chiunque. Ma non il giovane René. Tra il 19 e il 25 agosto del 1944 partecipa all’insurrezione di Parigi sotto il comando del comunista Henri Rol-Tanguy.
In seguito alla credibilità acquisita come combattente durante la Liberazione e in virtù del suo passato lavoro come tipografo, la dirigenza del PCF chiede a Moreu di diventare caporedattore del “Jeune Patriote”, giornale ciclostilato per la gioventù nato in clandestinità nel gennaio del 1942 e che il Partito ha deciso di distribuire ufficialmente dall’ottobre 1944 con veste grafica rinnovata. Un conto però era la stampa clandestina, distribuita senza preoccuparsi dei costi per questioni di propaganda, un conto è questa nuova versione del “Jeune Patriote”, messa in vendita. La nuova formula commercialmente non funziona. Della tiratura di diecimila copie ne resta invenduto più del 70%. Educati ai piani quinquennali, i comunisti ci mettono un po’ a capire che ciò che funzionava come stampa clandestina durante l’occupazione nazista, non c’entra niente con una rivista da vendere secondo le regole del mercato. Quando però lo capiscono, capiscono anche cosa fare e lo fanno bene. Il PCF presta al FPJ (il Fronte patriottico della gioventù) che edita il giornale, 50.000 franchi per rinnovarlo.
Il primo giugno del 1945 esce il primo numero (anche se la numerazione segue quella del “Jeune Patriote”) di una nuova rivista, ricca di fumetti, dedicata ai lettori dagli 8 ai 12 anni, la cui testata è “Vaillant”. Il giovane patriota è relegato a sottotitolo. Il successo sarà tale che nel luglio del 1946 si rende necessario costituire una vera e propria casa editrice: le Éditions Vaillant, per separare – almeno apparentemente – il giornale dal partito.
Il caporedattore della rivista è sempre Moreu, ma alla direzione si insedia Madeleine Bellet ex-combattente partigiana e quadro del partito di comprovata e ortodossa ideologia comunista. Tra i due nascerà anche una storia d’amore che si concluderà con le nozze, ma questa è proprio un’altra storia. Dopo una serie di otto operazioni agli occhi, Moreu recupera quel poco di vista per poter tornare a disegnare e soprattutto a valutare i disegni altrui. È in questo periodo che la sua strada si incrocia, tramite Francisco Boix, con quella di Arnal.

«Quello che è successo è che i comunisti sono stati i primi a darmi un lavoro.»

Dal numero di dicembre 1945 José comincia a pubblicare i suoi fumetti (inizialmente strisce di quattro vignette) su “Vaillant”. Il 16 maggio del 1946 insieme allo sceneggiatore Pierre Olivier (ha bisogno di qualcuno che gli scriva i dialoghi perché il suo francese è ancora zoppicante) Arnal crea la coppia di Placid et Muzo, un orso e una volpe antropomorfi le cui avventure diventeranno, in breve tempo, l’appuntamento fisso e più atteso di ogni piccolo lettore del giornale. Alla luce dell’amore che gli portano i giovani lettori è a lui che si rivolge Georges Coignot, raffinato intellettuale marxista e redattore capo di “L’Humanité”, quando l’organo del PCF decide di dedicare una pagina di fumetti ai figli dei loro lettori, in modo da fidelizzarli.
Arnal ha già l’idea pronta. Un’idea sospesa più di dieci anni prima per lo scoppio della Guerra civile spagnola. Riprende in mano il perro Top, e lo francesizza. Il 28 marzo 1948, dopo una breve campagna pubblicitaria, Pif le chien fa la sua prima apparizione sulle pagine del quotidiano comunista. È l’inizio di un’avventura lunga e gloriosa.

Non fa un cazzo da anni, ma è invecchiato lo stesso. Vive a Milano, e non potrebbe farlo in nessun’altra città italiana. Legge e parla di fumetti dal 1972 (anno in cui ancora non sapeva leggere). Ha una cattiva reputazione, ma non per merito suo. Ama e praticava la boxe, poi si è rotto. Beve tanto in compagnia di gente poco raccomandabile, tipo Paolo con il quale – per colpa di una di quelle bevute – si è ritrovato a curare QUASI.