Aline Kominsky-Crumb è proprio un bel casino

Paolo Interdonato | #quasiquasi |

“Aline Kominsky-Crumb Invented The Hot Mess” di Grace Edqvist, da “Elle”, 6 maggio 2020.

8 luglio 2011. Per raggiungere Ameno, sul lago d’Orta, da Milano ci vuole un’ora e mezza. Poi è facile. Si trova parcheggio in un batter d’occhio e ci si infila in questo campetto a ridosso della chiesa del paese. Un capannone, un bar e un festival blues poco frequentato. Quella sera ci sono due o trecento persone, non di più. Sul palco c’è la East River String Band di Eden Brower e John Heneghan. Non l’hai mai sentita nominare? Delle due l’una: o per te Robert Crumb non è un’ossessione, o non ricordi il nome di uno dei gruppi per i cui dischi disegna le copertine.

Ad accompagnare il duo c’è proprio lui, Crumb, con mandolino, corpo sottile, movimenti misurati, completo bianco, cappello di paglia, baffi e occhiali spessi. La sua presenza, da sola, vale il viaggio e il biglietto.
Mentre aspetto che inizi il concerto, si avvicina al mio posto in prima fila una bella donna, che incede sul terreno irregolare rischiando di essere disarcionata dalle altissime zeppe. Non si può non notarla: indossa un paio di pantacollant bianchi che sembrano body painting, agita un cespuglio di capelli ricci e ha un sorriso larghissimo. La riconosco al volo. È Aline Kominsky-Crumb ed è proprio un bel casino.

Si siede accanto a me. Fa un buon odore d’estate ed è una presenza incongrua in quella serata di zanzare, festa di paese e blues d’altri tempi. E, mentre riesco a non staccare lo sguardo dal palco, mi sento felice per quel regalo.

Tornato a casa, la cerco in tutti i miei libri. Negli sketchbook di Crumb, negli handbook e nei coffe table book, nelle antologie di Dirty Laundry Comics, in Need More Love, il suo graphic memoir…

L’avrei rivista tre anni dopo a Lucca, ancora con il marito e con due cari amici, Gilbert Shelton e Lora Fountain. Invitato fortuitamente alla cena con gli organizzatori dell’evento, Claudio Curcio e il gruppo del Comicon, mi sono trovato ancora una volta seduto accanto a lei. Con i suoi movimenti rapidi e un po’ scomposti e con il suo iphone rivestito da un guscio rosa faceva da contraltare alla compostezza di Robert. Davvero un bel casino.
“Elle” pubblica un’intervista ad Aline. La leggo e sento la sua voce.

«Volevo fare fumetti perché, invece di fare arte per i ricchi, volevo fare arte che la gente potesse leggere al cesso»

Leggila anche tu, QUI.

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(Quasi)