Decifrando Promethea

Francesco Pelosi | #quasiquasi, Una pietra sopra |

Per Alan Moore linguaggio e magia sono direttamente collegati. Anzi, a quanto dice lui stesso, il linguaggio è magia. Appoggiando la definizione di Aleister Crowley, per il quale la magia altro non è che «un disturbo del linguaggio», Moore afferma che tale esperienza è appunto un fenomeno linguistico.
Come è noto lo scrittore si è autoproclamato mago allo scoccare del suo quarantesimo compleanno, il 18 novembre 1993 ma, per sua stessa affermazione, quando l’ha fatto conosceva l’argomento soltanto superficialmente. La decisione definitiva di approfondire la magia gli venne a seguito della scrittura di un particolare capitolo di From Hell, l’opera nella quale Moore insieme a Eddie Campbell indaga psicogeograficamente la Londra del 1888 e getta una luce esoterica sugli omicidi di Jack lo Squartatore. Parlandone con il disegnatore in Un disturbo del linguaggio (Edizioni BD, 2009), Moore afferma:

«Credo che l’ultima goccia cadde durante il capitolo… era il quarto, vero?… di From Hell, dove Gull e Netley si stanno godendo una bella porzione di pasticcio di carne e rognone all’Earl’s Court e Gull pronuncia la sua battuta, quella sull’unico luogo in cui gli dèi esistono senza alcun dubbio, cioè all’interno della sfera della mente umana, dove essi sono reali in tutta la loro grandezza e mostruosità, o roba del genere. Dopo aver scritto questa cosa e trovandomi incapace di scovare un’angolazione da cui non fosse vera, ero obbligato o a ignorarne le implicazioni, oppure a cambiare gran parte del mio modo di pensare per adattarmi a questa nuova informazione.»

Ovviamente Moore non ne ignorò le implicazioni e qualche anno dopo, per la linea ABC della Wildstorm (che conteneva fumetti sceneggiati praticamente solo da lui), creò, insieme al disegnatore J.H. Williams III, Promethea, la serie che gli ha permesso di scavare in profondità quell’idea. Ed è facile intuire il passo che portò da quel ragionamento al concetto che sta alla base dell’opera, perché Promethea altro non è che un’idea incarnata, un’idea che si manifesta nel mondo della materia attraverso una formula magica speciale: il linguaggio. Scrivendo poemi, poesie o racconti su di lei, invocandola attraverso filastrocche e odi o disegnandola, ecco che lei dall’Immateria (luogo in cui letteralmente vive tutto il reame dell’immaginazione) discende nel mondo e si incarna nella donna (o nell’uomo) che l’ha evocata in sé, attraverso la sua arte appassionata e bruciante.

Il tipo di approccio con cui Moore realizza Promethea è lo stesso che aveva in parte già usato in From Hell e che userà anche in La Lega degli Straordinari Gentlemen e Providence, e prevede che il lettore conosca anche cose non raccontate nel fumetto per poterlo fruire appieno. Ma là dove nelle altre opere citate questa conoscenza “in più” non fa che aggiungere piacere e sostanza alla lettura, in Promethea è assolutamente necessaria, pena il non avere la possibilità di accedere a gran parte dell’opera. Per questo, amando questi fumetti con una placida ossessività, mi sono cimentato nel tentativo di raccontare la mappa che sta dietro al territorio e in definitiva di Decifrare Promethea.
Con questo titolo, grazie a Lo Spazio Bianco che lo ha ospitato all’inizio di quest’anno (e al caporedattore David Padovani che lo ha revisionato da capo a fondo), ho pubblicato allora un lungo approfondimento in sei parti dove tento di sviscerare i concetti di magia, Idea-Spazio e Eternalismo con cui Moore creava i suoi fumetti.

Se lo vuoi leggere, lo trovi QUI.

Se invece vuoi leggere Promethea perché, pazzo!, non l’hai ancora fatto, RW Lion l’ha ripubblicata negli ultimi anni in tre volumoni. Se non trovi quelli, dovrai pazientare fino ad una nuova ristampa, perché la bellissima edizione in cinque volumetti della Magic Press uscita agli inizi del secolo, è ormai una rarità.

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