Fumetto! Ma sei ancora popolare?

Quasi | Visiting Professor |

di Michele Ginevra

Uno spunto social e un paio di premesse

Lo spunto per questo intervento nasce da un post scritto da Alessio Bilotta sul proprio profilo Facebook, il luogo dove purtroppo passiamo fin troppo del nostro tempo, regalando pezzi delle nostre vite a una multinazionale, ma che rimane ancora utilissimo per contatti e scambi d’opinione. Alessio è il front man dell’associazione Slowcomix, apprezzata etichetta della microeditoria del fumetto. Tra gli autori pubblicati, troviamo Andrea Barattin con Ah, l’amour!, Enrico Pierpaoli con Wasabi Gummybears e ultimamente il geniale e mio giovane concittadino Riccardo Ronchi con Drago Droga & Grifone Ingrifone. Pur avendo pratica e competenza nel promuovere autori nuovi e talvolta provocatori, Alessio sembra cedere alla nostalgia auspicando un rilancio del fumetto popolare, appunto in un recente post su Facebook. Siccome alcuni commentatori sostengono che il fumetto popolare non potrà più tornare, ne scrive un secondo in cui solleva due questioni: come è stato possibile perdere così tanti lettori e come possono essere recuperati, confidando che sia possibile riuscirci.
Ne è scaturito un discreto dibattito, in cui sono intervenuto assieme al QUASI co-padrone di casa Paolo Interdonato. Alessio ha saputo tenere il punto e accettare il confronto, mantenendo fede nelle sue aspettative, e non è certo mia intenzione fare il verso a quanto sostiene. La discussione lì si è aperta e lì si è chiusa (per il momento). Chi volesse leggere cosa ci siamo detti, e gode della sua amicizia social, può cliccare al volo qui.
La premessa serve per contestualizzare questo intervento, scritto su invito proprio di Paolo, in cui provo ad allargare un po’ la visuale per capire di cosa stiamo davvero parlando. E già anticipo che le conclusioni a cui arriverò nell’articolo sono ben diverse da quelle che mi aspettavo di raggiungere quando ho iniziato a scriverlo.

Occorre allora un’ulteriore premessa. La critica fumettistica italiana è ancora in una fase pionieristica. Mancano scuole e tradizioni consolidate e riconosciute. I critici che se ne sono occupati hanno dovuto mutuare gli strumenti necessari da altri ambiti, travasando termini forse non sempre utilizzati in modo adeguato e accurato. Uno di questi sembra essere proprio l’aggettivo “popolare” associato al fumetto in generale e a quello da edicola in particolare. Questa bellissima e romantica parola proviene dagli studi sul folclore e le tradizioni, appunto, popolari, e dagli studi dedicati alla letteratura e ai media. Il nostro bisogno di classificare ciò di cui parliamo e che ci piace molto ha prodotto come risultato l’abusata (e ormai superata) distinzione tra fumetto popolare e fumetto d’autore, che imita quella stabilita tra opere artistiche e opere di consumo o quella tra letteratura alta e letteratura di genere, classificazione anch’essa in crisi. Ma cosa c’è di vero, di utile e, soprattutto, di specifico in queste distinzioni applicandole ai fumetti? Senza dubbio le intenzioni dell’autore, le tecniche narrative e il tipo di linguaggio usati, il grado di commercializzazione e diffusione dell’opera. Ma non certo la presenza di funzioni e tipi narrativi di origine popolare, quali possiamo trovarne nelle fiabe, essendo il fumetto di cui parliamo un prodotto della cultura di massa, con finalità completamente diverse. Se la fiaba era uno strumento che, attraverso il racconto orale, tramandava i valori di una comunità, il fumetto di massa è intrattenimento, talvolta al servizio del potere ma più spesso manifestazione delle convinzioni morali degli autori.
Ci sono, insomma, delle differenze, che però non ci impediscono di disporre di parametri per tentare classificazioni funzionali e analisi, spesso applicabili anche all’illustrazione, alla letteratura e al cinema, e viceversa. Se vogliamo trovare degli aspetti propri del fumetto dobbiamo indagare da un lato lo stile grafico narrativo e dall’altro il modo in cui il lettore interagisce con l’opera.

Quando il fumetto è diventato popolare

Nonostante i tanti passi in avanti, il fumetto gode ancora della fama di genere minore, caratterizzato da livelli semplificati di fruizione. Per questo è stato necessario ribattezzarlo “graphic novel” per poterlo vendere anche a chi legge solo libri scritti. Ma a noi interessa sottolineare che proprio per questi motivi il fumetto è stato ritenuto a lungo “popolare”, cioè economico, di facile consumo, diffuso tra gli strati meno acculturati della società.
In realtà il fumetto moderno occidentale, che ha le sue origini nell’Ottocento, non nasce con questi obiettivi, ma diventa popolare negli Stati Uniti quando viene diffuso dai quotidiani e in Italia nel 1934 quando esce “L’Avventuroso”.
“Il Corriere dei Piccoli”, pubblicato a partire dal 1908, era tutt’altro che popolare, bensì elitario, borghese e governativo (con tanto di parentesi fascista), tradendo in buona parte il progetto educativo originario di Paola Lombroso Carrara. La dimensione popolare del foglio nerbiniano, con i suoi fumetti coloratissimi e dotati (finalmente!) di balloons, è invece accertata proprio dai bambini che lo vivranno con un trasporto tale da far parlare di una “generazione Avventuroso” distinta dalla precedente, che non aveva fatto in tempo a incontrarlo. L’introduzione delle nuvolette e la proposta di temi non educativi ma finalizzati al puro intrattenimento, made in USA e quindi svolti con stile più moderno, costituiranno gli elementi chiave del suo successo. Sarà paradossalmente la censura fascista a stroncare questa esperienza, in nome di una ridicola autarchia, costringendo l’editore (fascista anch’esso) a una produzione made in Italy, all’inizio decisamente meno entusiasmante. Eppure, anche questa volta, ci dimostra come dal letame ideologico possano nascere dei fiori di creatività. La nazionalizzazione della produzione consente la formazione di una nuova scuola italiana di autori popolari, cioè capaci di scrivere e disegnare storie avvincenti, comprensibili e adatte per chiunque sappia leggere. Tra questi autori, lo sapete, ci sono Giovanni Luigi Bonelli, Carlo Cossio, Rino Albertarelli, Walter Molino… Sfortuna vuole che il più bravo di tutti, Federico Pedrocchi, muoia nella fase finale della Seconda Guerra Mondiale, crivellato da un aereo inglese.

Ma il dado è tratto. E con la ricostruzione ritornano anche i fumetti, ancora più popolari grazie al maneggevole e super economico formato a striscia, che avvia una seconda età dell’oro del fumetto per ragazzi. Negli stessi anni, Mondadori acquisisce i diritti per l’edizione italiana di “Selezione dal Reader’s Digest”. Essendo una pubblicazione in brossura, l’editore è costretto a dotarsi della tecnologia necessaria per stampare nel nuovo formato, e per ammortizzare i costi dei nuovi macchinari, decide di rilanciare la rivista “Topolino” nel formato libretto. Una felice intuizione che influirà in modo decisivo sull’evoluzione commerciale del fumetto italiano e che sarà fatta propria anche da altri editori, come Bonelli. I ragazzi rispondono bene e l’editore investe nella produzione di storie Disney create da autori italiani. Grazie alla qualità di sceneggiatori come Guido Martina e disegnatori come Angelo Bioletto, vengono realizzati capolavori come L’inferno di Topolino. L’opera sancisce la nascita del genere delle parodie, dimostrando in modo pratico come la cultura alta (complessa) possa arrivare ai ragazzi grazie alla suggestione del racconto a fumetti e al rilancio del processo di scolarizzazione di massa.

La famosa invasione delle crisi nel/del fumetto

Dal secondo dopoguerra e per circa trent’anni il fumetto per ragazzi si conferma davvero un prodotto popolare in grado di incidere sulla formazione culturale ed emozionale di tutte le generazioni di quel periodo. Intanto negli anni Sessanta il fumetto torna a rivolgersi agli adulti, grazie alle riviste d’autore e ai tascabili vietati ai minori (ma comunque letti anche da loro). Diventa gradualmente, ma stabilmente, oggetto di studi, manifestazioni ed eventi di ogni tipo. La distinzione tra fumetto popolare e fumetto d’autore è la naturale conseguenza della percezione di un processo evolutivo che consente al fumetto di espandersi a generi, stili e pubblici di ogni tipo, uscendo dal ghetto-recinto di comodo dell’infanzia. Già alla fine degli anni Settanta, arriva però la cosiddetta “crisi del fumetto”, una sorta di condizione di sofferenza permanente (e continuo piagnisteo) che è il sintomo della difficoltà degli editori da edicola ad adattarsi alla concorrenza dei nuovi media e video giochi, che stanno incidendo radicalmente sulle abitudini individuali dei più giovani. Il paradosso è che, mentre si continua a parlare di crisi, oggi i fumetti sono letteralmente ovunque.
La crisi ha comunque colpito i grossi editori di giornalini, costringendo la maggior parte di loro alla chiusura.
È dunque vero che il fumetto popolare ha chiuso definitivamente la sua gloriosa stagione?

Per arrivare ad una risposta può essere utile richiamare alcune degli elementi che l’hanno caratterizzato in quel periodo.
Il primo è il rapporto tra prezzo e formato. Il fumetto popolare è sempre costato “poco”, sia quando viaggiava in formati da rotocalco, sia quando è approdato al formato libretto, che ha permesso a tanti ragazzi di creare degli scaffali personali a imitazione di quelli degli adulti, o ancora meglio in contrapposizione a quelli di quei genitori che non ne disponevano. Non tutti potevano permettersi piccole cifre come potevano essere le 50 lire di un albo a striscia. Ma tra i giovanissimi lettori scattava la solidarietà dei prestiti, oppure si facevano scambi con biglie e figurine. Insomma, i fumetti passavano continuamente di mano. Questo rapporto inizia a cambiare con l’arrivo di “Linus” e delle riviste d’autore, che rivolgendosi a un pubblico presumibilmente inferiore di numero, ma dovendo garantire una certa qualità di stampa, devono fissare un prezzo superiore alla media. L’equilibrio è definitivamente andato in crisi soprattutto negli ultimi anni, con un continuo ritocco dei prezzi verso l’alto, adeguato alle aspettative di ricavo e al numero dei lettori, disposti (ma non tutti) a spendere di più per vedere la propria serie preferita proseguire. Ecco così “Spider-Man” a €5,00 (le quasi 10.000 lire pre euro), “Boruto-Naruto” a €4,90, “Tex” e “Dylan Dog” a €3,90 (quasi 8.000 lire) con notevoli ricarichi sulle testate minori e sugli speciali, “Topolino” e “Rat-Man Gigante” a €3,00 e “Diabolik” a €2,80 (circa 5.000 lire). Non sono tutti prezzi proibitivi. E paragonati al classico esempio del caffè o del chilo di pane sono ancora plausibili. La verità è che è il costo della vita a essere salito in modo sempre meno sopportabile.
Ma il problema di queste pubblicazioni è che fanno parte di un mondo dove puoi vedere/leggere di tutto gratuitamente sul tuo telefono, comprese le scan dei tuoi fumetti preferiti.
Dunque gli editori cercano di puntare sulla qualità della stampa, l’inserimento di abbellimenti cartotecnici e soprattutto l’eventizzazione delle uscite con continui annunci epocali, variant e altre iniziative speciali, come avviene da tanti anni per i comics made in USA. I tradizionali gadget, di per sé non fanno più notizia. Se prima il fumetto popolare era per definizione “usa e getta”, ma era collezionabile, oggi invece è destinato a essere conservato, sia come testimonianza di un provvisorio clamore che come piccolo illusorio investimento. Il fumetto è passato da esperienza, in cui il possesso era finalizzato a un uso momentaneo, a identità definita dalla propria duratura collezionabilità. Basti vedere l’orgoglio con cui si pubblicano le fotografie delle proprie librerie sui social, allestite non solo per conservare ma anche per esporre.

I generi popolari del Novecento a fumetti

Un altro elemento importante, che ha caratterizzato il fumetto del secondo dopoguerra, sta nell’aver contribuito a rendere popolare alcuni generi tipici del Novecento, quali per esempio il western, il giallo, l’umorismo e la parodia. In questi processi, il fumetto ha dimostrato la sua straordinaria duttilità linguistica, rivelandosi capace di trasmettere a tutti conoscenze generali e competenze analitiche in fondo tutt’altro che banali e scontate. Per esempio il western ha incarnato la nostra aspettativa di giustizia e, nella declinazione italo-bonelliana, una certa insofferenza verso il potere ufficiale e la burocrazia. Non è un caso che Tex e Zagor siano nati come giustizieri e vendicatori per poi evolversi in mediatori politico-sociali. Il giallo non è solo un genere specifico, ma un insieme di funzioni impiegate in modo trasversale in più generi. I fumetti Bonelli ne sono un esempio lampante, dal western alla fantascienza, incontriamo eroi che devono risolvere dei casi, basandosi sugli indizi disponibili, usando metodi deduttivi e razionali.
E non solo i fumetti.
Un po’ mi commuovo a ripensare a mia nonna Emilia, detta Esmeralda, quando le facevo compagnia mentre guardava “La signora in giallo”. La vedevo prevedere, spesso in modo esatto, l’identità dell’assassino e ne rimaneva davvero gratificata. Forse il successo della letteratura gialla, dei quiz televisivi e di pubblicazioni di intrattenimento come la “Settimana Enigmistica” ha reso palese l’affrancamento di interi strati sociali da una precedente condizione di ignoranza, avvenuta non solo grazie alla scolarizzazione di massa, ma anche per l’azione contemporanea dei media e dei processi di formazione portati avanti dai grandi partiti politici e dai movimenti sindacali nel secondo dopoguerra. Quante persone conosciamo, nate tra gli anni Trenta e Quaranta, magari arrivate solo alla terza media, che possiedono una proprietà di linguaggio, e una capacità di strutturare un discorso non inferiori, se non superiori, a tanti laureati di oggi? Il Novecento è un secolo complesso, ma tra i molti processi che l’hanno caratterizzato, possiamo segnalare un’alfabetizzazione di massa e di qualità senza precedenti, dove sapere le cose era diventato motivo di vanto e di riscatto. Lo dimostrano anche i successi del fumetto umoristico e di quello parodistico. Il primo come riflessione esistenziale e filosofica sulla condizione umana e il secondo come trasmissione in forma semplificata, ma non banale di tanti classici della letteratura, della musica e del teatro.

[Continua – domenica prossima]

Ti è piaciuto? Condividi questo articolo con qualcun* a cui vuoi bene:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

(Quasi)