Romanzo nero

Boris e Paolo | QUASI |

Il nero è l’assenza di colori. Una sorta di zero cromatico che ci trascina in un vortice di paradossi.

Se pensiamo agli abiti, ci viene subito in mente che il nero è elegante e, indossato con cura, affina i corpi e li slancia. Però… Ci si sporca con niente, quando si veste di nero. E se uno ha avuto un periodo di alimentazione disordinata, la forfora sulle spalle risalta come scaglie di grana sul carpaccio. In estate, poi, sul nero il sole batte come un maglio e il sudore, dapprima evidente e visibile perché capace di rendere il nero ancora più nero, lascia tracce saline biancastre che spiccano come una condanna senza appello.

Quando pensiamo alle relazioni tra gli umani, se qualcuno dice «nero» un po’ ci si commuove al ricordo delle bandiere degli anarchici e un po’ monta il cattivo umore perché il pensiero corre alle camicie (e nella nostra austerità, come dice il poeta, vestiamo in blu perché odiamo il nero). Poi, alla fine, riusciamo pure a trovare un punto di equilibrio tra queste sensazioni, ma vaglielo a spiegare al cane che il gatto, quando scodinzola, è incazzato e non vuole che gli si avvicini.

Se invece pensiamo alle gradazioni di nero quando guardiamo la pelle delle persone che ci passano accanto, è solo perché siamo una manica di stronzi. L’insegnamento morale di chi faceva indossare quelle camicie schifose ci è rimasto un po’ addosso: lo brandiamo con disinvoltura e ci siamo dimenticati di quanto faccia schifo. Siamo bestie abitudinarie e dopo un po’ impariamo a tollerare tutto.

Se si fa riferimento al sistema dei generi letterari, poi, siamo confusi. C’è chi usa l’appellativo “nero” per riferirsi a tutta la letteratura poliziesca. Noi sappiamo che quei romanzi, in Italia, si chiamano “gialli” perché hanno preso il loro nome dalla popolarissima collana mondadoriana e che “noire” è la “serie” francese, edita da Gallimard, specificamente dedicata al medesimo genere. Allora tolleriamo quella definizione solo se applicata ad alcuni scrittori francesi – che abbiamo imparato a leggere seguendo le orme di Luigi Bernardi – anche quando questi non sono mai stati pubblicati da Gallimard (Léo Malet, Fredric Dard, Jean-Patrick Manchette, Didier Daeninckx, Patrick Raynal, Vernon Sullivan, Fred Vargas, Jean Claude Izzo…).

Però sappiamo che le parole che usiamo cambiano e che il mondo cambia insieme al senso che diamo loro. Un po’ per sopravvivere e un po’ per abitudine.

Questa settimana QUASI parla di “Romanzo nero”. In redazione siamo disposti ad accettare il fatto che questa locuzione sia oggi capiente e ospitale. Dentro c’è un po’ di tutto. Ci si può riferire al gotico sette-ottocentesco dal Castello di Otranto a Frankenstein. Si può indicare l’incarnazione europea di quello che quei bravi ragazzi di “Black Mask” chiamavano hard boiled. O, ancora, si può sentire l’odore di flatulenza delle istanze sovraniste di alcuni narratori di genere degenere che proprio non riusciamo a frequentare.
Quando pensiamo al fumetto ci vengono in mente i neri che si addensano sulle pagine di molti autori che amiamo. Citando alla rinfusa: José Muñoz, Chester Gould, Ted Benoit, Jordi Bernet, Martí, Tardi, Alberto Breccia, Charles Burns, Howard Chaykin, Suehiro Maruo, Michael W. Kaluta, Franquin…. La comicità nera è per noi quella degli standup comedian che vengono comunemente chiamati “sick” (Lenny Bruce e i suoi eredi), ma anche quella dei giganteschi Quino e Jules Feiffer. Al cinema tutto ciò che ci deposita dentro un senso d’angoscia insostenibile (ti sei mai ripreso da Festen di Thomas Vinterberg?). E così via.

Per molto tempo, il “nero” è stato uno tra gli strumenti di analisi del presente più potenti che avevamo a disposizione. Lo sguardo lucido, tagliente, cinico e manicheo faceva sì che quel modo potesse illuminare le aree oscure del nostro vivere.
Viviamo tempi interessanti. Attendiamo il consuntivo serale dei contagi con un timore reverenziale e speriamo che le limitazioni imposte per decreto garantiscano il contenimento del virus senza infierire sulla nostra umanità. Una delle conseguenze tristi e inaspettate di quello che stiamo vivendo è che, in un momento di incertezze tanto fitte e dense da renderci impossibile la pianificazione di una gita nel fine settimana, il “nero”, con la sua molteplicità comunque codificata in forme e generi riconoscibili, rappresenta una prospettiva assolutamente prevedibile. E per questo rosea.

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