Orient Express

Boris e Paolo | QUASI |

– Debbo andarmene stasera. A che ora parte l’Orient-Express?
– Alle nove, Monsieur.
– Può riservarmi un posto sul vagone-letto?
– Certo, Monsieur. Non vi è alcuna difficoltà in questo periodo dell’anno; i treni sono quasi vuoti. Prima o seconda classe?
– Prima.
– Très bien, Monsieur. Dove è diretto?
– A Londra.
– Allora le farò riservare un posto sul vagone-letto Istanbul-Calais.

Hercule Poirot è il più odioso tra gli investigatori del giallo classico. Amiamo gli americani della scuola dei duri e i francesi della Série Noire. Inevitabilmente, troviamo insopportabile questo belga dai baffi impomatati, tutto preso dal suo metodo basato sull’ordine e la precisione. In particolar modo quando parla delle sue «celluline grigie».
Quanta goduria, quando si trova di fronte a una cocente delusione (Accidenti, Poirot! Niente posti letto sull’Orient Express. Ti toccherà un viaggio infernale. Benone!). Quanta sofferenza di fronte alla sua capacità di venirne fuori illeso (Ah! Monsieur Bouc, il direttore della compagnia dei vagoni letto, è un tuo amico? Ah. Ti trova un posto? Dannazione!).
Il giallo classico – quello di Agatha Christie, per intenderci – ruota tutto intorno all’indagine. Non consente trucchi e, indizio su indizio, abduzione su abduzione, permette a un poliziotto di identificare l’artefice del crimine e punirlo. Un sistema regolamentato con una finezza esemplare che permette pochissime sbavature. Nessun trucco.
Quelli che non usano trucchi, e che oggi ci annoiano, c’è stato un tempo che li amavamo. Poi, grazie a un maestro, abbiamo visto la luce.

Nel giugno del 1982 avevamo più o meno quattordici anni e stavamo avvicinandoci all’esame di terza media. Ignorandoci completamente, senza sapere l’uno dell’altro, in due scuole distinte e distanti. Eppure avevamo alcune cose in comune: eravamo lettori precoci, che trascorrevano un sacco di tempo con romanzi e fumetti tra le mani; trovavamo divertenti i gialli con i loro meccanismi da giochi enigmistici; avevamo letto Assassinio sull’Orient Express nell’edizione della collana Oscar Mondadori dedicata interamente ad Agatha Christie e con copertina di Karel Thole; guardavamo quotidianamente, con curiosità, l’edicola desiderando albi e riviste che non potevamo permetterci.
In quella mattina estiva, mentre tornavamo a casa da scuola, uno a Milano e l’altro a Senago, ci siamo fermati a guardare l’espositore. La solita occhiata rapida a tutte le vetrine per poi concentrarci sullo spazio in cui erano esposti i fumetti. Là, in mezzo alle riviste, accanto a “Linus”, “Eureka”, “AlterAlter”, “Metal Hurlant”, “L’Eternauta”, “1984”, “Frigidaire” e “Pilot”, occhieggia un numero 1. Ha un titolo irresistibile che richiama quel giallo col belga odioso, “Orient Express”, e un personaggio in copertina che sembra disegnato da quello bravo che faceva “Alan Ford”. Ma disegnato meglio. E con colori magnifici. In copertina c’è scritto proprio il nome di quel disegnatore che amavamo, Magnus. Entrambi guardiamo quel prezzo proibitivo, Lire 2.500, e ci ingegniamo sul miglior sotterfugio per accumulare il piccolo capitale. Siamo bravi, ci applichiamo e, entro qualche giorno, riusciamo ad accaparrarci quel fascicolo.

Che emozione! Che viaggio! Un treno di lusso in cui può aver luogo l’avventura e si rischia sulla propria pelle. Storie che ci innamorano e ci cambiano la vita: Full moon in Dendera di Magnus, Jonny Focus di Attilio Micheluzzi, Ivan Trimbrovic di Massimo Cavezzali, Rapsodia ungherese di Vittorio Giardino, Big Sleeping di Daniele Panebarco e Acherontia Atropos di Milo Manara. Leggiamo e rileggiamo quei fumetti, fino a mandarli a memoria, e incontriamo, per la prima volta consapevoli, la firma di Luigi Bernardi. In una rivista che ha articoli che parlano di fumetti, di storia, di gialli e di fantascienza, ci sentiamo autorizzati a leggere perfino l’editoriale. E ci piace.

Lo rileggiamo anche in questi giorni, mentre siamo concentrati sulla settimana di “QUASI, la rivista che non legge nessuno” dedicata al tema “Orient Express”. E capiamo, ancora una volta, perché muoviamo così tanto amore verso quell’uomo. In una rivista uscita quasi quarant’anni fa, parla della nostra quotidianità. Una vita ordinaria che un lockdown (parziale, in dipendenza della scala cromatica dell’area in cui si vive) sta trasformando nel Giorno della marmotta e in cui il solo modo per distinguere un giorno dall’altro è guardare il calendario.
Luigi scrive:

«Si dice che il più pericoloso concorrente della fantasia è la realtà, non perché quest’ultima ne sia priva, ma perché ne ha troppa. Così tanta da far figurare un racconto di avventure ben poca cosa rispetto a ciò che succede quotidianamente.»

Buona domenica.

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(Quasi)