Qualunque sia la barbarie degli altri

Boris Battaglia | Crocevia di libertà |

«Troppi anarchici non sanno cosa sia l’Anarchia.»
(Carlo Morlacchi)

Circa un’ora dopo l’attentato del Diana, le squadracce fasciste attaccano e devastano separatamente la sede del quotidiano anarchico “Umanità Nova”, in via Goldoni, e la sede dell’USI, l’Unione Sindacale Italiana, in via Mauri. Lasciati i due luoghi in preda alle fiamme, i fascisti, ormai sul far dell’alba, convergono in via Settala al 22 (proprio dietro Porta Venezia, una parallela di quello che allora era Corso Loreto e ora si chiama Corso Buenos Aires), per attaccare il cantiere della nuova sede dell’”Avanti”, dove la redazione milanese del giornale socialista avrebbe dovuto spostarsi dopo la distruzione subita in via San Damiano 16, nel 1919. Qui però, dopo un primo lancio di bombe da parte dei fascisti, gli abitanti della zona organizzarono una resistenza spontanea, che riuscirà a fare desistere gli squadristi dal loro intento. Quelli allora si dirigeranno in via San Damiano, dove c’erano ancora le rotative del quotidiano. Ma in via San Damiano ci passiamo dopo. Adesso andiamo verso la sede di “Umanità Nova”. Per arrivarci, partendo dallo Sheraton Diana Majestic in via Goldoni, a piedi e andando piano, ci mettiamo dieci minuti. Ne approfitto per raccontarti cosa erano “Umanità Nova” e l’USI.

Sul finire del 1919, Errico Malatesta riesce a tornare in Italia dall’esilio londinese. Dopo un breve soggiorno a Taranto, agli inizi del 1920 prende domicilio a Milano, in via Achille Mauri 8, presso i locali dell’Unione Sindacale Italiana. Dai tempi del fallito tentativo di Pietro Gori di unificare il movimento anarchico, e a causa della feroce repressione seguita all’attentato di Gaetano Bresci, l’anarchismo milanese si era ripiegato in ristrette aggregazioni sociali e culturali, che gravitavano attorno a figure a loro modo carismatiche. Una specie di versione anarchica dei salotti borghesi.
Queste personalità emblematiche sono: Luigi Molinari, insigne penalista che ha conosciuto il carcere duro dopo i moti di Lunigiana e che a Milano ha fondato e dirige la rivista “L’Università popolare”; il suo quasi omonimo Ettore Molinari, professore di chimica presso il Regio Istituto di Tecnica Superiore (che diventerà il Politecnico), che con la sua compagna Nella Giacomelli, scrittrice e giornalista, avranno un ruolo fondamentale nella diffusione delle teorie anarchiche; la loro amica Leda Rafanelli (una delle figure più complesse e interessanti dell’anarchismo italiano) che nella sua incredibile casa di Viale Monza 77 accoglie tutti i rivoluzionari di passaggio, e che con lo scrittore Giuseppe Monanni (l’uomo che, nel dopoguerra, diventato direttore editoriale di Rizzoli, crea la BUR) anima la Casa editrice sociale (saranno i primi a tradurre Jack London in italiano) per la quale disegna il logo il pittore Carlo Carrà.
Sono loro a tenere vivo lo spirito anarchico nella città più moderna d’Italia. E nessuno di loro, come ti dicevo, è un milanese doc. Luigi Molinari arriva da Mantova, Ettore Molinari è cremonese, Nella Giacomelli di Lodi, Leda Rafanelli è livornese ma ha passato l’infanzia ad Alessandria d’Egitto, mentre Giuseppe Monanni è aretino. Costoro si rivolgono alle punte più avanzate dell’intellettualismo milanese, diffondendo tra esse il pensiero libertario.
Non è milanese, ma romagnolo, neppure l’altra grande personalità anarchica che a Milano, in questi anni di durissima lotta politica, dirige l’USI, il sindacato anarchico: Armando Borghi. Il suo lavoro indefesso è volto a organizzare la lotta sindacale degli operai più specializzati.
L’ultimo gruppo, quello individualista, fatto di personalità come Carlo Molaschi (sì, lui è l’unico milanese), invece di rivolgersi come Borghi alla parte più avanzata e organizzata della classe operaia, si rivolge attraverso il circolo “La Scuola Moderna” (ispirato a Francisco Ferrer Guardia) di Lambrate al proletariato urbano più riluttante e refrattario.
È per cercare di riorganizzare la confusione ideologica (che ne è anche la ricchezza, intendiamoci) di un movimento così parcellizzato, diviso tra aristocrazia intellettuale e populismo individualista, che Malatesta (se te lo stai chiedendo, no… nemmeno lui è milanese, ma casertano: nato a Santa Maria Capua Vetere, il 4 dicembre 1853) arriva a Milano.
Oggi può sembrarci strano, ma lo strumento principale di un simile progetto fu un quotidiano. Finanziato da una sottoscrizione che raggiunse le 135.000 lire, più svariati abbonamenti anticipati, il 26 febbraio 1926, sotto la direzione di Errico Malatesta, Ettore Molinari e Nella Giacomelli, esce il primo numero di “Umanità   Nova”, con una tiratura di 9.000 copie. Nel giro di un mese la tiratura raggiunse le 40.000 copie, attestandosi, nei periodi più critici, attorno alle 50.000. Il quotidiano riunirà davvero in sé tutte le anime dell’anarchismo milanese, dando voce e spazio a tutti. Una linea comune sembra possibile e lo si vedrà durante gli scioperi che stanno per scuotere il paese.

Nel luglio del 1920 scade il contratto nazionale metallurgico. Davanti al rifiuto degli industriali anche solo di un minimo miglioramento salariale, la Fiom dichiara il blocco degli straordinari. A fine agosto gli industriali fanno una serrata, gli operai, appoggiati da tutti i sindacati, cominciano le occupazioni delle fabbriche. La prima è la Romeo di Milano. A metà settembre la situazione sarà estesa a Torino e Bologna. Dieci giorni e sindacati e padroni trovano un accordo. Appena cessa l’occupazione delle fabbriche, cominciano gli arresti.
Il 13 ottobre Armando Borghi e Errico Malatesta vengono arrestati e incarcerati a San Vittore. Malatesta comincia, con altri detenuti, uno sciopero della fame. Ha 67 anni, la sua salute ne risente.
Sarà per sensibilizzare con un’azione diretta l’opinione pubblica sulle sue condizioni che un gruppo di individualisti anarchici compirà l’attentato del Diana.

Eccoci. Siamo arrivati. Via Goldoni 3. Dove adesso c’è quel ristorante, c’erano i locali della tipografia e della redazione di “Umanità Nova”. Immaginati le fiamme che stanno distruggendo tutto, illuminando a giorno la via, e i volti isterici ed esaltati dei fascisti che impazzano. Immaginati le grida e gli strepiti degli assalitori, i pianti e la disperazione di chi vede andare in fumo un’opera costruita con così grande sacrificio.

Quando, pochi mesi dopo, Malatesta viene scarcerato, è molto provato dalla responsabilità, anche solo morale, che si sente per quei fatti. Sul numero dell’8 settembre 1921 del giornale, che adesso è stampato a Roma, scrive queste chiarissime parole:

«Qualunque sia la barbarie degli altri, spetta a noi anarchici, a noi tutti uomini di progresso, il mantenere la lotta nei limiti dell’umanità, vale a dire non fare mai, in materia di violenza, più di quello che è strettamente necessario per difendere la nostra libertà e per assicurare la vittoria della causa nostra, che è la causa del bene di tutti»

Con questa lezione ancora negli occhi, riprendiamo la nostra camminata. Finiamo di scendere per Viale Piave, attraversiamo Piazza Tricolore e percorso tutto Corso Monforte arriviamo, come ti avevo promesso, in via San Damiano.

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