A che serve un libro senza figure né dialoghi?

Paolo Interdonato | Il fumetto di Babele |
Il bianconiglio disegnato da Ralph Steadman.

Il 4 luglio 1862, Charles Lutwidge Dodgson e il suo amico Robinson Duckworth portano le tre sorelline Liddell a fare una gita in barca sul fiume Iside, l’affluente del Tamigi che attraversa Oxford.
È un giorno felice per Dodgson, uno di quelli da segnare sul diario con un sassolino bianco. E lo è tanto perché può trascorrere il pomeriggio con tre piccole amiche, quanto perché tra loro c’è la sua preferita: Alice, una brunetta molto carina, con i capelli corti e la frangetta.
Durante la gita, le tre sorelline spronano Charles a raccontare una storia piena di assurdità. La parola inglese che usano centra meglio il punto: “nonsense”. Il racconto fluisce così spontaneamente da stupire Duckworth che ha l’impressione che la storia venga composta dall’altro rematore, direttamente sulla sua spalla, per gratificare Alice e le sue sorelle. «Sì, sto inventando la storia mentre andiamo», risponde Dodgson all’altro vogatore stranito. È una storia magnifica: narra della volta in cui Alice, per seguire un coniglio bianco in ritardo, era precipitata sottoterra, in un paese meraviglioso.
Il narratore può stancarsi, ma le bambine sono affamate di racconto. Quando Dodgson prende tempo dicendo che continuerà un’altra volta o quando finge di addormentarsi sul remo, le bambine insistono e gridano e la storia deve continuare a scorrere.
Giunti a casa, Alice prende in disparte Charles e lo prega di scrivere per lei la magnifica storia appena ascoltata. Dodgson, obbediente, segna i punti salienti del racconto e si ripromette di dedicarsi quanto prima alla stesura. Purtroppo gli affanni cui la vita ci sottopone sono molti e non sempre prevedibili. Il nostro temporeggia fino al 13 novembre, quando finalmente impugna la penna deciso a scrivere il racconto per farne dono ad Alice, in occasione di natale. Ha intenzione di sviluppare, in quattro capitoli e una novantina di pagine, un racconto intitolato Le Avventure di Alice sotto terra. La storia, per essere goduta appieno, deve essere accuratamente illustrata. E in quel momento Lewis Carroll prende il sopravvento e decide di mostrare i propri numerosi talenti: l’invenzione, la scrittura, il verso, il dialogo, il disegno in sequenza combinato alle parole. È decisamente troppo lavoro perché lo si possa comprimere in poco più di un mese e l’occasione del regalo natalizio sfuma. Carroll continua a lavorare al racconto, portandolo a conclusione in tempi contenuti. Ciò nonostante, non regala ad Alice il libro neanche per il natale 1863. Qualche mese prima, in giugno, i suoi rapporti con la famiglia Liddel si sono incrinati. Pare che Charles abbia mostrato troppo interesse verso Alice. Forse ne ha addirittura chiesto la mano, ma nessuno può dirlo con certezza: le pagine del diario sui cui Dodgson appuntava accuratamente tutti i fatti della sua vita, riferite a quei giorni, sono state strappate, probabilmente da ignoti eredi volenterosi di tutelare la memoria del reverendo, e il testo corretto per mascherare l’elisione.

Charles Lutwidge Dodgson con la signora Louisa, moglie di George Macdonald, e quattro dei suoi figli.

La piccola Liddell avrà in dono la copia manoscritta di Alice’s Adventures Under Ground solo il 25 novembre 1864. I due anni di attesa non sono trascorsi invano. Carroll ha avuto l’opportunità di mostrare il manoscritto ad amici, ottenendo concordi pareri entusiasti: il libro meriterebbe ben altra diffusione. I figli di George MacDonald, abituati ad accogliere le fiabe e i racconti fantastici del padre, amano la storia di Alice sotto terra.
Carroll non sa resistere alle lodi e decide di preparare una versione del romanzo perché venga data alle stampe. Vorrebbe illustrarla, ma l’incisione dei blocchi di legno necessari alla stampa è oltre le sue capacità tecniche. In quegli anni la rivista satirica “Punch” è già un’istituzione e anche lo sguardo controllato e moralista del reverendo Dodgson riesce a poggiarsi su quelle pagine senza sentire il sangue ribollire. Tra i disegnatori ospitati dal giornale ce n’è uno, bravissimo, che sembra proprio adatto a disegnare le avventure di Alice: John Tenniel.
Il 20 dicembre 1863, quasi a voler sopperire all’impossibilità di fare un dono natalizio ad Alice, Dodgson manda una lettera all’amico Tom Taylor:

«Ho scritto un tale racconto per una giovane amica e l’ho illustrato a penna. […] Ho provato a disegnare sul legno e sono giunto alla conclusione che ci vorrebbe molto più tempo di quanto me ne possa permettere, e che il risultato non sarebbe soddisfacente dopotutto. […] Se [Tenniel] fosse disposto a intraprenderle [le incisioni], gli manderei a vedere il libro, non che debba affatto seguire i miei disegni, ma semplicemente per dargli un’idea del genere di cose che voglio.»

Così, quasi remissivo. Quasi il disegnatore possa arricchire le parole assecondando le richieste del committente ma godendo di grande libertà. Quasi il racconto verbale sia un testo concluso e autoconsistente su cui disporre illustrazioni capaci di qualificarsi come una possibile interpretazione. Quasi Alice nel paese delle meraviglie possa essere considerato un libro prima scritto e dopo disegnato

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