Playlist: Sentieri interrotti

Quasi | If I Can't Dance, It's Not My Revolution |

LATO A: PERDUTI

#1

La morte dura più della vita. In teoria, è solo un punto. Un evento, proprio come la nascita, che segna il limite destro della nostra freccia del tempo. Però, la morte dura più della vita. Quel singolo punto, capace come nessun altro di interrompere i sentieri, è la discontinuità più grande che attraversiamo. Siamo morti per molto più tempo di quanto viviamo. Come a dire che non siamo per più tempio di quanto siamo. Sto riscoprendo il gusto di leggere i quotidiani. Uscire di casa per comprare il giornale è l’unica cosa che scandisce questo periodo anormale di clausura domestica. La signora Michela e la sua mamma (che non so come si chiami) sono le persone con cui ho dialogato di pià in quest’anno di Covid. I saluti, i sorrisi, due battute, i giornali, i soldi, il resto, buona giornata. Poi, a casa, sfoglio il giornale, centellinandomelo durante tutta la giornata, ed entro in contatto con un mondo vecchio fatto di inchiostro sulle dita, cattiva scrittura, refusi, cazzate e qualche notizia. È morto Erriquez. Aveva sessant’anni. Otto più di me. Scopro che era malato da tempo. E da anni non mettevo un suo disco nel lettore. Però sono un tralfamadoriano. Non sono capace di essere infelice per una morte, perché il tempo è una dimensione lungo la quale posso muovermi. È vero: ora Erriquez è morto. Ma nulla mi impedisce di spostarmi in un momento in cui era vivo e stava bene. Se mi rilasso collasso. [PI]

#2

La strada più difficile da interrompere dovrebbe essere l’autostrada. Chiunque ne abbia prese un po’ nella vita, sa che non è poi così vero. Ingorghi e lavori in corso fanno sì che si possa vivere su quell’asfalto per molte più ore di quanto si dovrebbe. E poi c’è quel disco del 1965 di Dylan che è intitolato proprio a un’autostrada. E di apre con un pezzo che qualcuno considera «la più grande canzone di tutti i tempi», che racconta di una strada interrotta e di speranze perdute. Come sempre in Dylan, molte domande e nessuna risposta: come ci si sente? «How does it feel, / how does it feel / To be on your own / with no direction home / Like a complete unknown / like a rolling stone?». [PI]

#3

Se ci sono dei sentieri interrotti, quelli sono i nostri rapporti amorosi. Perché tutte le storie hanno una fine. In mezzo a una strada piena di pioggia, in modo che non si veda se ci scappa qualche lacrima. [BB]

#4

I sentieri, interrotti o meno, non fanno per noi. Digli a quel filosofo mezzo nazi amante delle passeggiate nei boschi, di ridarci i sandali, che non abbiamo tempo da perdere per vicoli e sentieri, abbiamo da macinare chilometri su vere strade noi. Dobbiamo arrivare in città. [BB]

#5

L’unico posto dove sopporto quella merda di Heidegger, é questa canzonetta punk degli Olandesi Panic. Qui mi diverte proprio. [BB]

#6

«Non voltarti ti prego, nessun rimpianto per quello che è stato, che le stelle ti guidino sempre e che la strada ti porti lontano». Questa bellissima canzone dei Modena City Rambles, sembra provenire da un’altra era geologica e mi porta alla mente il sottotitolo del Wheeling di Hugo Pratt che amo smodatamente: Il sentiero delle amicizie perdute. «Buon viaggio hermano querido, e buon cammino ovunque tu vada, forse un giorno potremo incontrarci di nuovo lungo la strada». [FP]

#7

Nella colonna sonora di Lost highways di David Lynch compare anche una cover di Song to the siren fatta dai This Mortal Coil, inspiegabilmente poi non inserita nella soundtrack (come ho scoperto con grande delusione una volta comprato il disco). C’é da dire però che l’originale rimane inarrivabile. E Tim Buckley in quanto a sentieri interrotti può certo dire la sua. [FP]

#8

Gli EUA sono un gruppo parmigiano attivo soprattutto a cavallo degli anni 10 di questo secolo. Attilio Poletti, il cantante e autore dei brani, é anche un mio caro amico e la sua poetica sospesa fra l’assurdo, l’incazzato e il malinconico, mi ha sempre affascinato. La loro musica ha trovato un piccolo momento di notorietà quando Radio 2 ha cominciato a passare questo pezzo in Caterpillar. Si chiama Mestre, Marghera, Borgo Panigale e parla di sentieri interrotti causa ingorgo autostradale. [FP]

LATO B: RITROVATI

#9

Non amo i boschi e i sentieri tra gli alberi, ma le strade asfaltate dei quartieri malfamati di Amsterdam. Come le cantano i fratelli Severini, quelle strade, nessuno. [BB]

#10

1968: arriva al secondo posto in classifica, «an Italian pop song written by Paolo Conte, Michele Virano and Vito Pallavicini», come scrive wiki in inglese, che sarà poi coverizzata da tutti. E tutti significa Ornella Vanoni, Franco Battiato, Gianna Nannini, Elisa, Claudio Baglioni, e perfino da me al karaoke. Si intitola Insieme a te non ci sto più e i tre compositori, dopo aver fatto molte audizioni per trovare la voce giusta, la assegnano a Caterina Caselli, che le darà quella forza pulita, un po’ spezzata dal rimpianto ma piena di speranza, che la renderanno un cult. Massimo Carlotto userà Arrivederci amore ciao, forse il verso più famoso della canzone, come titolo per uno dei suoi romanzi più feroci e più belli, che racconta la formazione di una canaglia: un uomo idealista, che ha combattuto per la libertà, con una svolta insieme lenta e velocissima si tramuta in un assassino avido e insensibile, e come sempre riesce a fare Carlotto rende questa storia vera, banale quasi e orribile. Nanni Moretti l’ha usata addirittura due volte, in Bianca e in una scena indimenticabile de La stanza del figlio. Chissà perché questa canzone finisce in racconti che parlano di morte. È vitale in modo squillante, e forse richiama l’ambiguità dell’Arcano senza nome, il Tredicesimo, la morte, che nella simbologia dei Tarocchi di Marsiglia rappresenta, anche, la possibilità di tagliare col passato per far posto al futuro. Non dice forse «Si muore un po’ per poter vivere»? La canzone che canta Caterina parla di una separazione, della fine del percorso con un’altra persona, quando , senza che ci si possa fare nulla se non ammetterlo, si viene allontanati uno dall’altro dal puro flusso delle cose, della vita, dei sentimenti: «Io trascino negli occhi / Dei torrenti d’acqua chiara / Dove io berrò / Io cerco boschi per me / E vallate col sole più caldo di te».
Però «finisce qua, che male fa». Preferisco la versione originale a quella del 2006, che ha fatto vincere a Caterina Caselli il David di Donatello per la miglior canzone. [AS]

#11

Arabella mi hai fatto venire in mente che la Caselli è stata la produttrice di Lucio 48. Uno degli autori di canzoni più interessante della fine del secolo scorso. la vita di Lucio è stata un sentiero interrotto. Il 31 luglio 2012 si è buttato dalla finestra del quinto piano della sua casa di Mestre. Nel primo album, Di mattina molto presto, uscito a metà anni Ottanta, ha incluso una canzone dal titolo emblematico: Strada. [BB]

#12

No, dico, si parla di sentieri interrotti, di strade… e DAVVERO fino a ora NESSUNO ha citato questa??? Rimedio io, nella versione (per me) migliore che si conosca: quella live da Fra la via Emilia e il West. [FB]

#13

Anche se Nowhere è una destinazione e non necessariamente un’interruzione, questo pezzo di Talking Heads la strada l’ha segnata eccome. Certo, suona festoso, perché la sfida di quel matto di Byrne era cercare di affiancare a un testo essenzialmente deprimente (la vita, l’universo, l’insensatezza e tutto il resto) un contesto musicale tutto sommato non così giù di corda. Il risultato è pazzo quanto basta – da registrare una rocciosa Tina Weymouth al basso. [LC]

#14

Beth Gibbons non è proprio la voce e il timbro della serenità e solarità, ma non è la missione sua e degli altri bristolesi (si dirà così?). La strada qui è da seguire, si deve andare, ma non si ha una grande nozione di dove andrà – c’è solo una certezza netta di fatica, di lotta, guerra da combattere. Tra tanto tremolo e reverbero, il mantra infatti è: How could it feel this wrong? [LC]

#15

Versione edited di un pezzo dall’album di Bowie Outside, che mi piaceva da morire, anche se al concerto tutti stavano seduti finché non tornava a fare i soliti cavalli di battaglia. Strade Perdute di Lynch era un trip spettacolare, insensato quanto basta, inquietante a pacchettate. Verso la fine la strada scorre al ritmo di Deranged (“Impazzito”), ed è la cosa più tranquillizzante che si possa immaginare dopo due ore abbondanti di tartare di cervello. Fantastico.[LC]

#16

Se c’è qualcosa che non ho mai visto ma che, con notevole regolarità, provo a ricordarmi di dover guardare è Let’s Get Lost, il documentario su Chet Baker, con Chet Baker che fa Chet Baker ormai abbastanza esploso – quando si perdeva dovevano riprendere a girare da parecchio prima, che sennò non ingranava. Poca gioia ma tanta bellezza, qui la strada interrotta è piuttosto uno strambo giro: Chet Baker aveva fatto una versione di The Thrill is Gone che era piaciuta un sacco a Elvis Costello, il quale, ispirato da quel brano, aveva scritto, con convinzione, Almost Blue. Poteva forse finire diversamente da così? Chet Baker fa Almost Blue e sembra che sia stata tagliata su misura per lui. [LC]

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