Il solarium di Orione

Lorenzo Ceccherini | Il bassista non se lo incula nessuno |

In un’epoca in cui non trovo più – perché lasciato fisicamente indietro, a varie abitazioni fa – un dizionario di italiano, mi rivolgo alla rete per stabilire i riferimenti iniziali per il campo di gioco di questa puntata, incentrata sul tema monografico della settimana, Bestemmie. Il sito della Treccani ci dice che, in pratica, la bestemmia sarebbe due cose:

Espressione ingiuriosa e irriverente contro Dio e i santi e le cose sacre

E, per estensione,

Ingiuria, espressione offensiva contro persone o cose a cui è dovuta riverenza. Imprecazione. Giudizio gravemente erroneo, affermazione sconveniente, grosso sproposito

In sostanza, nella sua accezione principale, quando offendi qualcuno o qualcosa su cui non avresti neppure diritto di parola, dal momento che si colloca su un terreno di sacralità. Messa così la partita è persa a tavolino sempre – e il crimine dell’insulto al dio (quello definito monoteista in particolare, anche se a volte ha un codazzo di figli, mamme di figli e holy ghosts, tutti altrettanto intoccabili) è peggio dell’assassinio. Il nome di questi soggetti, financo gli artefatti che si ritengono loro ascrivibili, sono così intoccabili da valere più della vita di chicchessia (Tommaso d’Aquino ci dice che la bestemmia è sovraordinata all’omicidio, e non è il solo). Ora, che la vita valga qualcosa è un discorso puramente soggettivo, ci sta tutta. Se permettete, per me, la mia vale più della vostra e conto che ricambiate cordialmente questo sentimento. È impossibile non trovarci d’accordo su questo. E quindi da dove viene e perché è accettabile questo perturbamento di un mondo di interessi del tutto fisiologico, naturale? Da dove nasce questa fame viscerale di alcuni di proteggere il buon nome di qualcosa che a volte manco ce l’ha un nome, ché se lo nomini commetti peccato mortale (o magari perché nessuno si è dato veramente pena di trovargliene uno). Cosa stanno tentando di dirci? Che ci sono valori più alti? E non potevano trovarne di più entusiasmanti? Di nuovo, andiamo sul soggettivo, ma tra un pantheon pagano tipo quello vichingo e le storie dei santi c’è la differenza tra una bella dose di ketamina e una torsione testicolare lunga quarant’anni. Non so, fate voi.

Non mi spenderò in una critica circostanziata dei mali della religione – c’è chi l’ha fatto bene e chi benissimo, per quel che mi serve mi basta sottolineare quanto mi sia stancato di tutte le boiate che ci vengono propinate da una vita – e quelle dei tonaconi baciapile ci finiscono in mezzo a pieno diritto. Oltretutto sono pure sdoganate con tanto di sanzione legale: i bambini vengono iscritti al partito religioso diciotto anni prima del compimento della maggiore età, senza nozione alcuna del loro gradimento. E poi quando imparano a parlare gli dici che non devono bestemmiare. Mah.

Premesso che su L’Autunno del Medioevo di Johan Huizinga rischio di fare la figura del tizio che in Annie Hall di Woody Allen cita McLuhan a sproposito (i.e. non l’ho letto, ma almeno Huizinga è morto nel ’45), nondimeno ricordo un inciso di un professore durante una lezione, lo scorso millennio, nel quale ci diceva di come l’autore olandese evidenziasse che la pratica effettiva della bestemmia fosse vista di buon occhio nelle società medievali – fatto controintuitivo, vista l’immagine tutta Bernardo GuiF. Murray Abraham che abbiamo del Medioevo: i borgognoni, per esempio, risultavano essere ampiamente dediti alla bestemmia come ingrediente costante della conversazione (da toscano percepisco un affratellamento sul filo conduttore dei vini rossi). Ma più che altro si trattava di un fenomeno del tipo Personal Jesus (e God) inteso come vissuto assolutamente personalizzato di un rapporto con la divinità contrapposto in modo specifico all’ortodossia e alla teologia. Insomma, ognuno faceva un po’ come gli pareva, e non era roba dell’altro ieri: già dai tempi di Bisanzio l’uso di scannarsi su temi esaltanti tipo la natura divina e/o umana del Cristo era ben consolidato e al basso Medio Evo si arriva con un potenziale ben espresso di generazione di divergenza. Il gran fiume ereticale a cui fa riferimento frate Guglielmo da Baskerville aveva assunto lungo vari secoli forma e sostanza da vero e proprio sambodromo della religione – e non senza criterio, talvolta. Voglio dire, i patarini milanesi che criticavano la ricchezza e l’accumulo di potere del clero, e pure i francescani due secoli dopo, non erano così distanti dai càtari che però la mettevano giù così pesante sulla questione della purezza da essere fatti bersaglio dell’allegra crociata del 1208-1229, quella dell’assedio di Béziers e della famosa (leggendaria) battuta dell’arcivescovo di Narbona «uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi». Al di là dell’effettiva storicità di questa uscita plateale, nel ventennio di crociata furono sterminati, si stima, da duecentomila a un milione di càtari. La popolazione europea del periodo era intorno ai settanta milioni di persone. In pratica l’uno virgola cinque percento della popolazione europea sparisce – quasi come in The Leftovers, solo con molta più lentezza e tanto più dolore e spargimento di sangue.

Il senso dell’assurdo lo suggeriva potentemente già l’esperienza medievale

Quelli, secondo chi teneva i cordoni della borsa dell’ortodossia, bestemmiavano e quindi andavano sterminati. Cosa che fu decisamente eseguita, senza andare troppo per il sottile. A Béziers ventimila persone vennero passate a fil di spada e altra ferraglia, mica roba da ridere. Ecco, per quanto le posizioni càtare esprimessero una allure altrettanto deprimente rispetto a quelle del cristianesimo, mi pare un tantino eccessivo aver massacrato uomini, donne, vecchi, bambini, bestie, saccheggiando e stuprando – ché alle soldataglie, anche se in missione per conto di dio, mica gli puoi mettere le mutande di ferro e installargli una coscienza, lo abbiamo visto bene anche nella nostra epoca.

Nel ’94 Cuore ha fatto uscire, come allegato, il mazzo di carte Le allegre vite dei santi e penso che con questa iniziativa abbia irritato tante sensibilità. D’altro canto, però, certi santi sono proprio da morire dalle risate. Sant’Agostino, per dirne uno, di carriera moralizzatore inflessibile, a Cartagine, la Las Vegas dell’epoca, se la faceva con minorenni e prepuberi prima della «conversione». Schema già visto, incendiari pentiti che diventano pompieri sanguinari – che la mano armata sia la loro o quella degli epigoni, poco cambia. Nel mondo romano l’ingiuria verso gli dei era fatto non rilevante dal punto di vista del diritto – d’altro canto di dei ce n’erano così tanti che lo Stato era, nei fatti, assai più laico di oggi, scegliendo di non schierarsi troppo da nessuna parte. Né, tantomeno, si poteva fare strada un concetto come quello medievale di «crociata», di guerra santa. La guerra era guerra in virtù di sane motivazioni: espansione territoriale, eliminazione di minacce esterne, controllo di risorse naturali, materie prime, contesti strategici. I Romani erano gente sensata: l’Egitto contava perché era un granaio – nessuno si sognò di fare la guerra santa contro la religione deviata dei Tolomei. Sì, c’è il risvolto della tresca CleopatraAntonio e poi Cleopatra-Cesare ma, si sa, tira più un pelo, ci siamo capiti e quella è un’invariante. Nelle guerre asimmetriche contemporanee vedo più della crociata che dell’onesta e consapevole libidine di conquista. L’esportazione della democrazia non è quindi, a parere ampiamente non richiesto del bassista, materia troppo diversa dalla scalata alle mura della città santa di Gerusalemme (prova ne sia il fatto che in Iraq e Afghanistan poco e niente è stato ottenuto se non una barca di morti e la possibilità di testare in vivo tanta tecnologia militare).

Breve aneddoto da quel po’ di vita vissuta che ricordo (poca, la memoria è meglio quando non trattiene troppo). All’esame di Storia Medievale io volevo portare quel meraviglioso e sardonico compendio di realpolitik, disincanto, profonda erudizione e ironia che è Storia delle Crociate di Steven Runciman (due bei volumoni pieni di storie succose che ti fanno vedere come il Medio Oriente fosse già il Medio Oriente e l’Occidente l’Occidente mille anni fa) ma il professore mi disse che quella era roba per un secondo esame e che non potevo sceglierla. Dovetti ripiegare su un libro di Cardini che manco ricordo più come fosse. Runciman l’ho letto con gusto molti anni dopo, l’avevo già comprato al tempo ma la delusione me ne precluse il gusto della lettura per almeno un paio di lustri. Succede. In ogni caso, leggetelo, e poi se volete vedetevi Kingdom of Heaven di Ridley Scott, c’è Eva Green che fa Sibilla d’Angiò, non c’entra quasi niente con la Storia ma l’invariante è sempre l’invariante.

Kingdom of invariante

Il lavoro di Runciman, che è divertentissimo, nel solco stilistico di una storiografia britannica che quel talento ce l’aveva proprio, ci restituisce una percezione molto netta del livello di raffinatezza e spregiudicatezza della realpolitik degli attori presenti sullo scenario internazionale di fine XI secolo: la motivazione dichiarata, quella dell’appello di Clermont di Urbano II del 1095, viene frequentemente e agilmente messa da parte e ci sono casi molteplici di alleanza tra principi cristiani e musulmani magari contro qualche altro principe cristiano. Un po’ come nell’epoca contemporanea: americani alleati dei mujāhidīn contro i sovietici in Afghanistan ma poi nemici dei talebani vent’anni dopo. Niente di nuovo sotto la stella di classe spettrale G2V.

E tu dirai, ma tutto ‘sto giro, che tra un po’ sembra di stare con Angela figlio (non esageriamo, dai), per arrivare a cosa? Ma non si doveva parlare di bestemmie? Stai cercando di tirarcene fuori qualcuna per sfinimento? Non proprio, no.

La questione che mi titilla fastidiosamente non è tanto la storia delle nefandezze sanguinose compiute in nome della religione, quella fa vomitare di brutto, è più il fatto che la bestemmia come atto di rivolta «funziona» se credi alla materia che la bestemmia stessa cerca di prendere a schiaffi. Se quella credenza non ce l’hai è una stringa di testo come un’altra, buona, al più, a dar fastidio a qualche estraneo ma per niente efficace nel sentire di averne cantate quattro a qualcuno/qualcosa. Nel libro di memorie di un reduce della Grande Guerra, scritto oltre quarant’anni dopo la fine del conflitto a partire dai diari e dalle note del tempo – e questo ci dà un’idea di cosa può voler dire aver bisogno di tempo per elaborare il trauma – ricordo l’episodio di un sergente, un veterano robusto e forte come una quercia, colpito infine da una raffica di mitragliatrice. L’autore, monarchico e cattolico, fino a prova contraria, non può però trattenersi dal dare voce ai novissima verba del sergente morente nel suo «Porco Dio!» finale. Glielo riconosce come diritto imperituro (almeno finché ci saranno biblioteche e libri).

Con questa storia della morte æquatrix ricchi e potenti ci hanno fregati a mani basse

Se quel credo non ce l’hai, cosa dovresti dire: «Porco Universo?», «Troia la Seconda Legge della Termodinamica?», «Einstein Cane»? Difficile, sembra che non ci sia niente e nessuno a cui affiggere meritoriamente gli epiteti, come non c’è sicuramente un tizio barbuto, dalle chiappute fattezze michelangiolesche, là «fuori» (nell’alto dei cieli? Lo immagino galleggiante tra la materia oscura a farsi una doccia abbronzante di radiazione X e gamma vicino a una stella ipergigante di classe O in una delle centoventicinque miliardi di galassie dell’universo osservabile – talvolta anche in una di quello non osservabile) – tizio, dicevo, che si occupa di aspetti normativi che poi ti fanno comprare due frigoriferi perché non devi mescolare latticini e bistecche nello stesso posto e poi non devi mangiare animali con un tot di zampe o con i piedi fatti in un certo modo. Il tizio ha strane ossessioni – io, al posto suo, galleggerei per tutto il tempo che dura lo spettacolo di fronte alla nebulosa M42 di Orione, a veder nascere e morire stelle nel ricco sostrato di polveri interstellari, alimentate sempre di più dalle esplosioni delle supernove che sfontanano elementi pesanti, metalli preziosi, gemme e cristalli. Questo, che lavora una settimanella e poi aspetta dodici-tredici miliardi di anni per poi interessarsi ossessivamente a un gruppetto di caprai sulle rive del Mediterraneo, alle loro nudità e masturbazioni, a ordire massacri di tribù rivali che non lo venerano, mi sembra uno sfigato totale. Mi faccia parlare con un suo superiore, grazie.

I minions dei monoteismi già mi tagliano la testa, se va bene, a questo punto. Abbiamo a che fare con gente avvelenata, non ci si può fare molto. Proporrei loro, allora, una storiella edificante. C’è un uomo, abbastanza in là con gli anni ma ancora in salute, che vive, in una grande città, una vita molto ritirata, uscendo di casa soltanto per donare soldi, molti soldi, a varie associazioni benefiche e di carità, per le quali presta anche opera di volontariato, per lunghe ore ogni giorno. Poi, quando torna nel suo appartamento, consuma pasti frugali, velocemente, per poter dedicare quanto più tempo possibile alla sua attività casalinga prediletta: salmodiare litanie di bestemmie finché il sonno non lo sopraffà, per poi riprendere al successivo risveglio. Ecco, uno così non gli andrebbe bene, ti direbbero che è impuro, indegno, che va eliminato. A me non creerebbe problemi, solo qualche interrogativo – perché tutta quella costanza? Difficile da spiegare con parabolette stupide, però gli esperimenti mentali possono aiutare, prima di sgranarsi gli incisivi dell’io interiore contro concetti come «Oncologia Pediatrica», per fare un esempio che quasi tutti capiranno.

Con chi dobbiamo prendercela quindi? Parte della risposta è semplice: per le nequizie degli umani, con gli umani. Il mondo del capitale e del potere l’hanno affinato così com’è proprio per potersi mettere al riparo dalla nostra sete di vendetta, non ditemi che non ci avete fatto caso. E il loro più grande successo è che voi volete essere loro, anche se sono sempre più fuori portata (presto in orbita, come in Elysium di Blomkamp, altra opera che non ho visto). L’incastellamento, ve lo ricordate? La plebe non stava certo nel donjon, anche se quello faceva da fulcro, dominante e rassicurante, per il villaggio racchiuso nel recinto fortificato. Però, se ci si organizzava a modo, sobillando il gruppo, si poteva accoltellare tranquillamente il signorotto e perpetuare la storia del potere con i soliti contenuti e partecipanti un po’ diversi. Provateci voi, invece, ad avvicinare in modo oppositivo e minaccioso uno dei potenti del mondo odierno e a uscirne interi.

Sono sempre riusciti a convincere tutti delle peggiori stupidaggini…

Gli umani già spiegano molto, fidatevi. Se vi viene il cancro, o siete voi, le vostre cattive abitudini, i vostri cattivi geni, o sono anche gli altri, il particolato nell’aria che fomenta l’asma dei bimbi di città e i tumori dei più grandi mica ce lo manda Satana. Solo perché non sappiamo con chi prendercela, non è detto che sia il Maligno…

Per il resto non occorrerebbe darsi pena, basta la considerazione della dimensione mostruosamente colossale dell’universo: se ci centra un asteroide è un fatto irrilevante a livello cosmico e per noi c’è poco da dire. Le pandemie difficilmente ci faranno fuori tutti, però intanto avete una fretta del diavolo di dire che nascono da cazzate fatte più o meno di proposito in laboratorio. Se così vi piace, che sia, non fa comunque differenza in termini evolutivi.

E così, torniamo al punto di inizio: c’era la questione dell’ingiuria verso le cose sacre, ricordate? Ecco, le cose non hanno bisogno alcuno di essere etichettate come sacre. Una cosa è il folklore, un’altra un presunto vero sacro, per la miseria. Pazzino de’Pazzi, dice la leggenda, scalò per primo, a mani nude, le mura di Gerusalemme, conquistandosi il plauso di Goffredo di Buglione che gli donò, perciò, tre schegge di selce provenienti dal santo sepolcro, cavandosela alla grande, ché scalpella qui, scalpella là si ricavavano roboantissime reliquie a costo veramente irrisorio e di sassi in Giudea ce ne sono sempre stati tanti. Con quelle pietruzze ancora oggi, a Firenze, ci accendono la miccia per il cosiddetto scoppio del carro in occasione della Pasqua. Le pietruzze, come i resti materiali di tutti i nostri corpi, eventualmente trasformati da fenomeni successivi, finiranno, insieme a tutte le sante reliquie di tutti gli stati allucinatori della storia, fuse dal Sole che ingloberà l’orbita terrestre nella sua fase di trasformazione in gigante rossa – dettata da nient’altro che la sua personale lotta per la sopravvivenza. Scambierà l’età giovanile di una luce giallo-arancio e una temperatura più alta con un colore rossastro, una temperatura e una densità più basse, cedendo terreno a processi di fusione meno efficienti rispetto a quello protone-protone e fottendosi la Terra nel processo.

Costantino ha fatto una cazzata, non c’è che dire, ma è stato in primo luogo nel tentativo di consolidare il potere imperiale, come un Sole ormai stanco. È molto probabile che se non fosse stato lui ci avrebbe pensato qualcun altro a sottoscrivere quel patto esiziale: i secoli del lungo lento addio dell’impero sono stati terribili, per quello conviene non avere una buona memoria, e un culto basato sul senso di colpa aveva tutte le carte in regola per affermarsi con prepotenza. Se il 2020 vi è sembrato un anno di merda avreste dovuto vedere il 536, un bell’anno bisestile come ne facevano solo ai tempi: eruzione vulcanica in Islanda che provoca eventi climatici estremi, carestia, freddo assurdo, guerra greco-gotica. E se volete una pandemia basta aspettare il 541 e parte la cosiddetta peste di Giustiniano. Bon appétit! Ricordate poi che la scienza medica e la farmacopea erano quello che erano e quindi immaginate, nel frattempo, di avere avuto, che ne so, una pulpite a un dente, un’ernia inguinale, una pleurite, un carcinoma gastrico. Ora venitemi a dire di quanto è stata terribile la vostra vita negli ultimi quattordici mesi. Certo, potete farlo, perché quella gente di quindici secoli fa e le loro veramente miserevoli vite sono ricordi ormai polverizzati e annientati dal chiasso di decine di generazioni.

Ecco, se hai pensato di rispondere a una chiamata e ti trovi in una situazione simile al crociato catafratto nell’armatura nel pieno della canicola di un’estate palestinese, a sudare e bestemmiare in attesa di uccidere e/o morire, nel frattempo faticando e soffrendo, sappi (ma non sono io che te lo insegno, ci mancherebbe) che non c’è veramente nessuno di bestemmiabile con cui potersela prendere.

La bestemmia assomiglia un po’ alla sigaretta, lo dico da ex-fumatore, fa tanto fumo, scotta un po’ ma poi finisce e non lascia niente se non la voglia di accenderne un’altra – fa solo molto meno male agli organi interni, quindi non vedo problemi a liberalizzarla. Il bassista da salotto credo bestemmi molto meno, forse per niente, quando si dedica alla musica, allontanandosi quel poco che può dagli affanni usuali, e meno, del giorno. Perché lo sa che le mani sono le sue, la testa anche, i limiti pure. Prova raramente a incolpare lo strumento, timidamente, e quasi mai può avere ragione. Singolare è che quando rimuoviamo il senso del sacro e puntiamo sul personale, sull’affettivo, le divinità tendano a scomparire e con loro, quella comprensibile, rabbiosissima voglia di bestemmiarle duro senza pietà.

In ogni caso, è anche un fatto culturale, dai:

«Lei bestemmia?» «Io bestemmio sempre, son toscana»
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