Playlist: Ogni ruolo è un gioco / Sale giochi

Quasi | If I Can't Dance, It's Not My Revolution |

#1

«Ma la mia fonte di ispirazione erano i flipper prodotti dalla Gottlieb. Alla fine degli anni Cinquanta, trascorrevo le mie giornate al Gymnase, che era il luogo di ritrovo scelto dalla malavita di Bruxelles. La musica era favolosa, vero rock americano nei juke-box, e lì c’erano file e file di flipper della Gottlieb, con i loro sontuosi tabelloni. E i disegni, su quei tabelloni, erano così belli da togliermi il fiato».
A raccontare in questo modo la sua principale fonte di ispirazione è Guy Peellaert, autore, negli anni Sessanta, di fumetti meravigliosi – Pravda e Jodelle – che nascono all’incrocio tra pubblicità, fumetto, rock, cinema, neon, yé-yé, juke-box e flipper. Quei disegni meravigliosi, realizzati da un grandissimo della pop art, nascono in una sala giochi. Proprio guardando le ragazze in motocicletta di Peellaert, Blain decide di raccontare la storia della ragazza e del cowboy. Incontra una cantantessa, Barbara Carlotti, le racconta la storia, lei la mette in parole e musica e i due costruiscono un progetto multimediale di cui esiste anche una messa in scena che non ho mai visto. Il libro – che, per amor del vero, non è tra i più belli di Blain – contiene un CD con il racconto e le canzoni per la voce di Carlotti, da ascoltare come una fiaba sonora. [PI]

#2

Durante gli anni Ottanta le sale giochi hanno iniziato a diffondersi un po’ ovunque. A casa giocavamo davanti allo schermo di ingombranti televisori con il tubo catodico usando home computer come il Commodore 64 e lo ZX Spectrum, sui quali caricavamo i programmi usando audiocassette. Qualcuno aveva delle console da videogiochi (come il Mattel Intellivision) in cui innestare cartucce costosissime. I videogiochi veri si giocavano in sala giochi. Nel 1983 ho scoperto cosa era un hacker vedendo un film che allora mi era sembrato di fantascienza, War games – Giochi di guerra di John Badham. Nella colonna sonora, questa canzone non c’era. [PI]

#3 

Con i video game mica ci si diverte e distrae solo in sala giochi. Sul divano a casa possono essere una chiave per capire il gioco dei ruoli della vita domestica. Ce lo spiega bene Lana Del Rey, lasciando quel verso cantato con voce apatica («This is my idea of fun») che ci dice molto. [PI]

#4

Gli ultimi anni sono stati caratterizzati dalla nostalgia per un amalgama passateggiante per un non ieri, non ieri l’altro, ma nemmeno per un periodo a troppe rivoluzioni solari da qui. È possibile determinare concettualmente una data: abbiamo nostalgia di quel periodo in cui esistevano le sale giochi. Non un giorno in più, non uno in meno. Prolunghiamo la stomachevole mancanza dell’epoca d’oro dei consumi al silicio con un ipotetico amalgama medievale in cui si poteva suonare il tema di Tetris. [AA]

#5

La sinfonia dei giocattoli é un brano di datazione e autore incerti. Pare provenga dal XVIII secolo e il compositore potrebbe essere Leopold Mozart, il padre di Wolfgang Amadeus, o persino Joseph Hayden. [FP]

#6

La critica alla società mossa da Giorgio Gaber e Sandro Luporini, man mano che gli anni passano, si rivela sempre più reazionaria e populista. Rimangono però alcuni episodi di lucidità innegabile e sferzante, soprattutto nei primi anni della loro produzione teatrale. Polli d’allevamento è certamente uno di questi. L’Italia è ormai un’immensa sala giochi di stampo americano, e gli arrangiamenti orchestrali di Franco Battiato e Giusto Pio fanno sembrare il tutto una vera sinfonia di giocattoli. [FP] 

#7

E quale sala giochi più inquietante di quella di J. F. Sebastian? [FP]

#8

Forse solo quella di Max. [FP]

#9

Come dice Alpraz, la gran parte di noi è in preda alla nostalgia del periodo in cui esistevano le sale giochi. Pure chi è nato dopo è non le ha mai viste. Il retrogaming al gusto di cabinato estivo Adriatico è stomachevole. Dovremmo assolutamente abiurare a quella parte di noi. [FP]

#10

Arcade fire! Che non sapevo cosa volesse dire quel fuoco dell’arcata perché sono entrata in una sala giochi un’unica volta compagnia andò un fidanzato e giocando per ore a Tetris rompendo le palle e uscendo con stampate sulla retina una pioggia di figure barre, cubetti, elle… poi mi hanno spiegato che l’arcade è la sala giochi. Metto una delle mie preferite a caso. [AS] 

#11

Con i videogiochi e i giochi da sala non sono mai stato un granché, idem per quelli da casa. Al massimo ho fatto un, credo, notevole 75 milioni e rotti al flipper di Windows, uno dei rari momenti di flow in cui sono riuscito a entrare nella mia esistenza. Parlando di flipper, per me Pinball Wizard è associata in modo inestricabile e visuale all’Elton John con gli stivaloni, gli occhiali tondi glitterati e la papalina in Tommy. Rubava la scena a tutto. La farina autoriale però veniva dal sacco di Pete Townshed e quindi meglio esorcizzare quel pugno in un occhio che è il giocatore di flipper di Elton John e riprendere il pezzo in un’occasione dove i riccioloni di Roger Daltrey la fanno da padroni e John Entwistle, sempre di spalle rispetto alla camera, sfoggia un’imbarazzante tutina di pelle nera con su dipinto uno scheletro. Vatti a fidare del bassista… [LC]

#12

Vabbè. Come diceva Jorge Vacca quando pubblicava Hitler SS di Vuillemin, qualcuno il lavoro sporco deve pur farlo. Avete fatto a gara a dimenticarvi il pezzo che, in quanto a “Sale giochi”, ci ha formato tutti (anche quelli che, per loro fortuna anagrafica, non lo hanno mai giocato/ballato). Lo metto su io. E me ne assumo tutta la responsabilità. [BB]

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(Quasi)