Market Day di James Sturm: Una questione di qualità

Claudio Calia | Affatto |

È una questione di qualità
È una questione di qualità, è una questione di qualità
O una formalità, non ricordo più bene, una formalità

(Io sto bene, CCCP, Affinità – Divergenze fra il Compagno Togliatti e Noi del Conseguimento della Maggiore Età,1986)

Credo che la prima apparizione in Italia di un lavoro di James Sturm sia stata su “Mano, fumetti scritti disegni” n. 7 del febbraio 2002, vale a dire la prima volta che ho visto qualcosa di suo. Ma non era la prima volta che ne sentivo parlare.

Negli anni Novanta, quando mettevo ordine nella mia passione per i fumetti, per scoprire nuovi autori bisognava accendere il tasto della curiosità, ma non su una App. Per fare un esempio: io ho saputo dell’esistenza di Chester Brown perché ho letto un’intervista a Frank Miller, su uno degli ultimi numeri di “Mostri” della casa editrice Acme, in cui alla domanda «Quali sono i tuoi fumetti preferiti?» rispose citando “Yummy Fur” (la prima rivista antologica di lavori di Brown, nella quale ha serializzato i suoi libri più noti). Letto quel nome e pensando che il fumetto preferito di Frank Miller non potesse essere brutto, mi misi alla ricerca di lavori di questo autore; credo che il primo che mi capitò in mano fu la prima edizione in volume di Ed the Happy Clown e poi The Little man. Short strips 1980 -1995. Come autore, mi conquistò, e mi introdusse a un certo mondo del fumetto alternativo americano portandomi immediatamente a rimediare alcuni numeri di “Palookaville” di Seth e “Peepshow” di Joe Matt, autori spesso ospiti come comparse nei suoi racconti autobiografici. Considerate che, piuttosto a caso, in fumetteria mi ero abbonato a “Cerebus” di Dave Sim, da cosa nasce cosa ma ecco, in breve mi ritrovo abbonato anche al “The Comics Journal” che da allora mi fornisce, tra altre fonti, più o meno regolarmente consigli e spunti per i miei percorsi di lettura.

Non ricordo dove, nel 2002, avessi letto in precedenza di James Sturm. Ricordo che sapevo di questa sua strana serie, “The cereal killings”, e ricordo la sensazione di soddisfazione quando a sorpresa me ne trovai un numero (il quarto) stampato su “Mano, fumetti scritti disegni”.
Cereal killings è una storia piuttosto fuori di testa di vecchie mascotte – personaggi antropomorfi – delle scatole di cereali che interagiscono con cinici uomini dell’industria del cereale per non finire dimenticate nell’oblio, alla continua ricerca di contratti pubblicitari e disposti più o meno a tutto nel prevaricare i propri colleghi, tra sbronze colossali e decine di sigarette fumate.

Sempre nel 2002, mentre cominciava a serializzare negli Stati Uniti la sua opera più nota, Unstable Molecules disegnata da Guy Davis e che gli varrà un premio Eisner nel 2004, Coconino Press pubblica in Italia Americana, un libro antologico che raccoglie le storie “Il colpo mitico del Golem” (2001), The Revival (1996) e “Decine di metri sottoterra” (1998). Quest’ultima apparirà anche in Black n. 3, nella primavera dello stesso anno.

A parte Unstable Molecules, su cui spenderò due parole, se non erro in Italia rivedremo il suo nome in copertina solo nel 2012 su Avventure tra le nuvolette, insieme a Andrew Arnold e Alexis Frederick-Forst, da Proglo edizioni. Un divertente manuale per bambini per giocare imparando a raccontare storie avventurose attraverso il fumetto.
La prima edizione italiana di Molecole instabili avviene all’interno di un volumone dedicato a storie dei Fantastici Quattro che non hanno trovato altra collocazione,  Marvel Monster Edition – Fantastici Quattro 1 (Panini Comics, 2005), e solo nel 2011 uscirà anche in un volume a sé stante.
A questo punto già so che James Sturm è stato un assistente di produzione di “Raw”, la rivista di Art Spiegelman, so che ha fondato il prestigioso Center for Cartoon Studies e che è un opinionista del magazine americano “Slate”. Insomma, una di quelle figure, diffuse seppur poco note nel mondo del fumetto, che a una ridotta produzione artistica contrappongono una incredibile attività da agitatore culturale per la diffusione del linguaggio. Persone importanti che l’industria del fumetto non ringrazierà mai abbastanza.
Devo fare un altro piccolo inciso: ho un problema, personalissimo, con i Fantastici Quattro. Certo, ho tutto Kirby, certo, ho tutto Byrne e tutto Simonson, e ho pure molto di altri trascurabilissimi cicli. Però, questa cosa che fossero una famiglia, a me piccino che leggevo i fumetti per non pensarci, alla famiglia, mi ha sempre respinto.

Molecole instabili, già lo sapete, è una riscrittura “realistica” delle origini dei Fantastici Quattro, una sorta di “What if” alla rovescia: cosa sarebbe successo se… i Fantastici Quattro fossero state persone assolutamente normali in un mondo normalissimo?
«Sarebbe stato un fumetto noioso come quello vero», mi rispondo io leggendo Molecole instabili ma so che dicendo così non rendo giustizia né a uno ne all’altro. Per me Molecole instabili è un po’ quel tipo di progetto che si fa per far vincere un Eisner a un autore/agitatore culturale la cui produzione artistica è fuori dai radar: prendi James Sturm, lo metti insieme a Guy Davis che seppur ostico e indie lo è meno di Sturm ai disegni, gli dai in mano i Fantastici Quattro per un volume maturo e via, una candidatura all’Eisner è sicura, poi vincere è cortesia.
Detto ciò, è un po’ come “Ken Parker” e Berardi e Milazzo: sono autori i cui lavori mediamente mi potrebbero piacere, ma la mia intolleranza per i cavalli nelle storie mi impedisce di apprezzare “Ken Parker”, pur riconoscendogli tutti i meriti del caso. Anzi potrei dire che “Ken Parker” e “Jonah Hex” sono le uniche storie a fumetti con cavalli per cui provo a combattere la mia ritrosia naturale al western. Probabilmente per occhi meno irritabili dai Fantastici Quattro, Molecole Instabili può essere una buona lettura, non lasciate che siano le mie intolleranze a tenervici lontani.

Detto ciò, The cereal killings è sempre stata una serie che mi ha intrigato e l’antologico Americana mi è piaciuto molto, ho trovato divertente Avventure tra le nuvolette per cui non mi sono fatto scappare, nel 2017, Market Day, uscito con Coconino Press.
Poi… il tempo tiranno, le mode, le urgenze, eccolo là che dall’oblio di una scatola sul pavimento della mia camera il libro mi rispunta fuori questa estate e, finalmente, lo leggo.

L’ambientazione è quella di un villaggio ebraico dell’est Europa agli inizi del ventesimo secolo.
Rachel aspetta un figlio.
È incinta di otto mesi e per la prima volta non accompagnerà Mendleman al mercato.
Gli affari non vanno bene come un tempo, e con pensieri oscuri sul futuro il tappezziere si avvia verso il paese con il suo carretto, di notte, in una lunga marcia.
Mendleman mette tutto sé stesso nel cucire i suoi tappeti, «Io e mio figlio dovremmo entrambi studiare il Talmud con la stessa devozione e concentrazione che tu impieghi nella realizzazione dei tuoi tappeti», gli dirà il rabbino Soyer, tra i primi a incrociarlo appena arrivato al villaggio affollato, dopo il faticoso viaggio notturno.
La delusione di Mendleman prende forma quando arriva alla bottega del vecchio Finkler per trovarci a lavorare al suo posto un giovane parente, troppo impegnato nell’inventariare quanto presente nel negozio per poter acquistare nuovi prodotti dagli artigiani in visita. La questua tra commercianti per vendere i suoi tappeti sarà straziante: i suoi tappeti non sono più competitivi in un mercato cambiato, sono troppo grandi, o troppo cari, sono troppi la dedizione e il tempo dedicati per ognuno perché siano profittevoli, quello che rende inefficace il prodotto commerciale di Mendleman è, in sintesi… la troppa cura.
La cura artigianale di Mendleman per confezionare i suoi tappeti è la prima causa del suo ritrovarsi improvvisamente fuori mercato.

Nelle mie prime esperienze di giovanissimo editor per pazzi progetti editoriali, ricordo che una volta mi trovai coinvolto in una discussione con un autore ancor più giovane e alle prime esperienze di me. La sua storia non mi sembrava andare da nessuna parte, non capivo cosa volesse raccontare. E alla domanda, «Cosa vuoi raccontare?» continuava a rispondermi parlandomi di scontri tra questi personaggi fantasy, una sorta di violento videogioco con livelli sempre più cruenti. Ma io continuavo: «Cosa vuoi raccontare?»
E gli feci l’esempio di Sandman: io dubito che Neil Gaiman avesse la fissa di raccontare le avventure di un tizio con i capelli cotonati e pallido di carnagione che saltella tra sogno e realtà, inferno e paradiso. Neil Gaiman (che è un autore che rispetto tantissimo ma non considero tra i miei preferiti) ha scritto Sandman perché voleva parlare di storie e di come queste incidono nella nostra realtà: Sandman è un inno all’importanza delle storie, del racconto, dell’immaginario. Quegli dei, quelle persone che vediamo agitarsi e con cui talvolta empatizziamo leggendolo sono solo pupazzetti in mano a un demiurgo che sa esattamente dove vuole andare a parare.
Ogni volta che leggo un fumetto o una storia, non posso fare a meno di chiedermi: «Cosa voleva raccontare?»
Cosa voleva raccontare James Sturm, con Market Day?

Di sicuro ci ha voluto raccontare, con una storia esemplare ambientata all’inizio del ventesimo secolo, le ripercussioni sociali di un sistema economico che preferisce la velocità alla qualità, il guadagno immediato alla sedimentazione di un mestiere, il lavoro alla famiglia. Non riesco in tutto ciò a non vedere anche una critica implicita al mondo dell’industria del fumetto, in cui libri meditati e curati in ogni loro aspetto, come questo, hanno un impatto decisamente minore di titoli raffazzonati e confezionati in tutta fretta per cogliere in tempo il prossimo anniversario o raccogliere le briciole del prossimo grande tema su cui discuteranno tutti fornendone una interpretazione a fumetti. Il tutto divorando tempo, dedizione e passioni in prodotti di scarso respiro e durata, in una corsa perpetua come criceti sulla ruota.

Proprio per la sua ambientazione nel passato Market Day è un libro, invece, potenzialmente senza tempo. Forse, anche, un monito, da un autore che ha dedicato la sua vita al fumetto pur producendo, tutto sommato, pochi libri, a chi vuole intraprendere questa strada. Pensate alla qualità del vostro lavoro. Pensate alla vostra famiglia, ai vostri cari, ai vostri figli. Non fatevi divorare dalle necessità di un mercato che deve andare avanti per riprodursi continuamente al solo scopo di sopravvivere: i libri durano per sempre (e questo è molto positivo se fai cose belle, meno se produci continuamente mosso dalla fretta e dall’ansia), le nostre vite no ed è meglio, mentre facciamo il nostro lavoro con la cura e la dedizione che merita… viverle.

L’ultimo libro di James Sturm si intitola Off Season, è uscito nel 2019 e per ora non è stata annunciata una sua pubblicazione in Italia.

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