Storia confidenziale di Wonder Woman

Paolo Interdonato | Una pietra sopra |

Dicembre 1941, New York

Alle proprie straordinarie qualità fisiche e morali, un supereroe affianca quasi sempre una tecnologia sufficientemente avanzata, indistinguibile dalla magia e capace di renderlo ancora più forte. Cosa sarebbe Tarzan, nella giungla tra tigri e gorilla, senza la lama del suo coltello? O il possente Porthos senza la sua spada Balizarde? Come se la caverebbero 007, Batman o Paperinik senza i loro gadget tecnologici?

Wonder Woman ha goduto di alcuni degli strumenti più stravaganti dati in dotazione a un supereroe: l’aereo invisibile, i bracciali della sottomissione e il lazo della verità.
A quelli che, come me, faticano a ricordare dove hanno parcheggiato l’auto, verrebbe da chiedersi come facesse lei a ritrovare quell’aereo. D’altra parte bisogna riconoscere che un mezzo invisibile è una vera manna per i disegnatori: garantisce loro la possibilità di spostare l’eroina da un luogo all’altro senza la seccatura di tutti i dettagli di un velivolo riconoscibile.
Con i bracciali, Wonder Woman intercettava tutti i proiettili sparati contro di lei e, con movenze rapide ed eleganti, diventava virtualmente invulnerabile senza perdere un briciolo del proprio fascino.
Il lazo, infine, era l’accessorio definitivo per una scelta di abbigliamento e di stile che sembrava un manifesto bondage e con cui una supereroina discinta sconfiggeva gli uomini, li sottometteva e li costringeva alla verità.

Non è poi così strano che i fumetti di supereroi siano sottoposti a lettura psicanalitica: al livello più superficiale sono spesso racconti di donne procaci e uomini muscolosi che, inguainati in vestiti aderentissimi al limite del body painting, si aggirano per le città facendo sfoggio di armamentari fallici e giovani accompagnatori. Non stupisce allora che ognuna delle armi di Wonder Woman abbia un grande valore metaforico e possa rappresentare un aspetto diverso di una certa idea di femminilità. L’aereo invisibile è la condiscendenza e la leggerezza con cui le donne riescono a entrare in ambienti lavorativi intrisi di testosterone, aggressività e maschilismo: le armi del “mondo degli uomini” non possono abbatterlo mentre sfreccia a velocità supersonica. I bracciali rappresentano l’amore femminile e la sua capacità di sottomissione e controllo emozionale: grazie a essi si riesce a trovare un punto di equilibrio nelle pulsioni egomaniache maschili. Il lazo rappresenta il potere della seduzione che abbatte ogni resistenza.
Stupisce di più che queste interpretazioni dall’aspetto un po’ forzato rappresentino né più né meno le intenzioni dell’autore.

Wonder Woman appare per la prima volta nel dicembre del 1941 sulle pagine dell’ottavo numero di “All Star Comics”. È una brillante invenzione dello psicologo William Moulton Marston, che si firma Charles Moulton, portata sulla carta dal disegnatore Harry George Peter.

Un anno prima dell’uscita del fumetto, lo psicologo aveva rilasciato un’intervista a “Family Circle” in cui lodava il potenziale inespresso dal fumetto. Max Gaines, già ideatore del formato comic book (l’albo spillato del fumetto statunitense) ed editore di Superman e Batman, si era ritrovato a sfogliare con interesse il mensile femminile. Colpito dal valore pedagogico attribuito da Marston al fumetto, lo aveva subito ingaggiato come consulente per le sue case editrici. Poco dopo, lo psicologo aveva inventato un personaggio innovativo e dirompente.

Marston era un tipo quantomeno eccentrico. Nella sua multiforme carriera aveva identificato la relazione tra pressione sanguigna e menzogna e inventato un test che sarebbe diventato una delle componenti della macchina della verità. Dalla pratica psicanalitica aveva tratto la consapevolezza che le donne sono più oneste e affidabili degli uomini, e sono in grado di lavorare con maggiore precisione e velocità. La sua predilezione per le donne faceva sì che si trovasse a proprio agio con loro, al punto di costruire un nucleo familiare che oggi definiremmo poliamoroso.
William Moulton Marston aveva quattro figli da due donne diverse, la moglie Elizabeth Holloway e la compagna Olive Byrne. Questa famiglia espansa viveva in armonia, in accordo a regole precise: Elizabeth lavorava, incrementando il reddito del nucleo familiare, e Olive rimaneva a casa ad accudire la prole. Tutti insieme dialogavano e sviluppavano idee.
L’influsso delle due donne sulle creazioni di Marston è enorme: l’idea alla base della macchina della verità proveniva da un’intuizione di Elizabeth; l’intervista a “Family Circus” era firmata da Olive; entrambe avevano influenzato l’impianto metaforico, l’ambientazione e il carattere di Wonder Woman.

Quella delle origini di Wonder Woman potrebbe sembrare una storia ambigua che si colloca con difficoltà nelle idee di famiglia, amore, sesso, rispetto, condiscendenza, sottomissione e verità, se non fosse che, all’improvviso, si trasforma radicalmente. Il lieto fine inizia con un dramma: il 2 maggio 1947 William Moulton Marston muore per un cancro alla pelle. Ha appena 53 anni, la stessa età di Elizabeth e undici anni più di Olive. Le due donne decidono di continuare a vivere insieme in un nucleo familiare femminile e longevo.

Rappresenteranno un’idea di femminismo possibile fino alla morte di Olive nel 1990 e a quella di Elizabeth nel 1993, un mese dopo il suo centesimo compleanno.

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