Wondering woman

Arabella Strange | Rorschach |

Non ricordo quasi niente di Wonder Woman. In Italia l’episodio pilota è andato in onda alla fine degli anni Settanta e nel 1982 sono andate in onda due stagioni della serie, ignorando completamente la terza: accadeva spesso con le serie sulle tv italiane, che per di più mandavano a cazzo gli episodi, senza rispetto per le eventuali sottotrame. Adesso penso che li lanciassero in aria come coriandoli e in quell’ordine li mandassero in onda.
Ero alle medie. Le odiavo. Allora nessuno sapeva cosa fosse la sindrome bipolare, quindi quando ero supergiù simulavo malesseri di ogni tipo. Mia madre fingeva di credermi e mi lasciava stare rannicchiata sulla poltrona davanti alla tv. Non ricordo neanche cosa guardassi. Ero alle prese con il mio cervello incomprensibile e mi bastava vedere delle immagini in movimento e non essere in quel banco di merda.
Mi ricordo benissimo la sigla però: Wonder womaaaan!
Il resto l’ho cercato su Google.

Non ricordo nemmeno l’impatto con una supereroina. Non capivo che era una cosa femminista. Io amavo Batman (quello dei POW e della sigla garage). Non mi ricordavo nemmeno che il suo alter ego si chiamasse Diana Prince. Ora mi sono imbattuta in un articolo di Nick Joyce, degli Archives of the History of American Psychology all’University of Akron, e scopro che la personaggia era stata creata da Charles Moulton (nom de plume di William Moulton Marston) negli anni della seconda guerra mondiale e che è stata una icona di riferimento per il femminismo. Scrive Joyce:

«L’apice della popolarità dei fumetti è coincisa con la seconda guerra mondiale, un’era che vide la creazione di Superman, Capitan America, Batman, Lanterna Verde e Flash. In un mondo devastato dalla guerra, questi supereroi combattevano le forze del male […]  e gli uomini arruolati richiedevano fumetti in grandi quantità. In effetti, un quarto di tutte le riviste ricevute dai militari durante la guerra erano fumetti.
Ma ciò che questi uomini trovavano in quei fumetti rifletteva spesso le loro vite violente. Lo psicologo di Harvard William Moulton Marston, ha affermato che “la peggiore offesa dei fumetti è stata la loro mascolinità agghiacciante”.
Fu allora che ebbe l’idea di creare un supereroe femminile che usasse l’amore e la forza per sconfiggere il male: Wonder Woman.
»

E io tutto questo contesto me lo sono perso.

Sto pensando che solo tre supereroi sono entrati nel linguaggio collettivo: Superman, Hulk e lei, Wonder Woman. Tipo, ma chi credi di essere, Wonder Woman? Va’ che ti do una mano. Crescendo mi sono dimenticata completamente di lei. Probabilmente perché non riuscivo a identificarmi, nemmeno per la durata di un episodio, in una supereroina.

Siccome non leggevo fumetti, so per caso che era armata del lazo della verità e di quei bracciali che usava come scudi. Adesso mi dispiace, povera WW, la mia coscienza femminista era davvero ancora molto vaga. Io ero più una wondering Woman.
Ero piena di domande su tutto, e ringrazio la letteratura di fantascienza e Dostoevskij di aver risposto ad alcune.
Per il resto: mondo confuso e crudele, incapacità di seguire le regole, disastro. Molte lacrime, giornate al buio. Se mi avessero detto che da grande avrei sviluppato un superpotere non ci avrei mai creduto. E invece BAM!

Evil Bra (Foto di Enzo Curelli)

C’è una parte di me che mi ha sorpresa e non cessa di sorprendermi: se devo salire su un palcoscenico dopo una crisi d’ansia, con 39 di febbre, aver vomitato ed essere stata lasciata da un fidanzato, io mi tramuto in un’altra versione di me stessa, infallibilmente, nel giro di un minuto. Ma non una specie di Arabella potenziata: mi trasformo letteralmente in un’altra persona, scintillante, euforica, innamorata di tutto e di tutti, carisma 19/divino, felicità che parte dalla mia voce e si diffonde, come MDMA, in tutto il corpo. E non ho vergogna di niente (come diceva Adam Ant, «ridicule is nothing to be scared of», non c’è niente di pauroso nel ridicolo, nell’eccesso, anzi è felicità pura, è libertà totale).

Questa mia versione ha un nome, JJ: il cognome è Jones, quindi non è difficile immaginare quale è stata la mia ispirazione, Jessica Jones. Ma la prima J è per Jemima, una ragazza ribelle della Bible Belt. Un po’ come me, che non so come ho fatto a lasciarmi dietro quella merda.
Questa me che sa che sul palco tutto andrà meravigliosamente e io sarò immersa in un mare di magia e di energia e mi sentirò potente come una dea. So anche che questo mondo di Estasi lo pagherò con giornate di devastazione completa: ma anche della vita privata di Wonder Woman e di come si sentisse la sera non sappiamo molto, magari crollava sul divano .

Non rimpiango mai queste esplosioni di adrenalina, serotonina, il prezzo da pagare poi. Per un po’ vivo dentro un diamante fragile, un prisma di colori, un mondo di sinestesia, e non mi sento mai nuda come in quei momenti.
E fiduciosa.

«Il tetto si è bruciato
ora
posso vedere la luna»

Misuta Masahide (1657-1723)
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