«E come nascondersi a ciò che non tramonta?»

Francesco Pelosi | Ritratti |

[Negli episodi precedenti: per salvare l’immaginario dalla reiterazione a cui l’hai condannato, devi uccidere i 12 Archetipi. Scopri così l’esistenza di Awa, una bambina che incarna l’immaginazione del futuro, poco prima che Lucifera, il vecchio Archetipo del Distruttore, la rapisca.]

disegno di alpraz

«Su Carlton Cat, il cosiddetto ‘Penetratore dell’Intimo’, personaggio di enorme successo creato da Damiano Calvi a metà anni Ottanta del ‘900, non c’è poi molto da dire. È stato bello finché è durato.»

da Fumetto. Un canone necessario di Alessandro Paoli (Oblò APS, 2017)

Intermezzo.
L’Ombra scappa attraverso il bosco vicino al Campo dei Miracoli. La finta pelle con cui si è travestito da Lucifera, giace abbandonata tra le foglie.
L’Ombra è tutta nera: non smentisce il suo nome. Un fulmine magro e scuro, completamente ricoperto da una tutina in spandex. Solo la piccola luce dei suoi occhi rimane esposta. Nel buio del bosco è completamente invisibile. Non fosse per la bambina che porta sotto braccio, e che emana una luce abbagliante, nessuno saprebbe della sua presenza. Ma la bambina è l’immaginazione del futuro, e non passa certo inosservata.
Al di là degli ultimi alberi, una sfera a mezz’aria promette la fuga da quel luogo, verso il centro dell’Inconscio, dove l’Ombra sacrificherà il suo fardello. Deve compiere quel tremendo gesto perché non ne vuole sapere di scomparire.
L’Ombra è un Archetipo. Non svanirà mai. Ha già messo fuori gioco chi ha provato a rubargli la bambina, e ora un suo alleato se ne sta occupando. È solo un mito quello dell’Ombra che viene sconfitta. L’Ombra non perde mai. Si nasconde. Aspetta. Nell’ombra.
Con un salto, l’oscura figura si getta nella sfera, scomparendo. La luce della bambina rischiara ancora per un istante il bosco, come fosse la coda di una canzone. Ma buio e silenzio la inghiottono subito. 

Dopo.
Apri gli occhi e la prima cosa che noti è la stanza attorno a te tappezzata di poster di film dell’orrore. Poi ti accorgi che il tuo corpo è nudo, coricato fra le lenzuola di un letto, e la trapunta è ricamata con un’inquietante texture di occhi. Occhi che sembrano guardarti.
Qualcuno nella stanza a fianco tira lo sciacquone. Senti i passi venire verso di te, la lampo che si chiude.
«Ehi, baby! Hai aperto gli occhi finalmente!»
Il tono è fastidioso, ammiccante e allo stesso tempo dolce (un’affaticata interpretazione di un tono dolce). Il tizio ha i capelli neri, il naso leggermente adunco e indossa solo un paio di jeans. Agguanta una camicia rossa dal pavimento e se la infila.
«Dove sono?», chiedi, «e dov’è… Dov’è la bambina?»
«Non preoccuparti, baby», risponde il tuo insopportabile ospite, «Immagino tu non sia ancora totalmente in te, dopo la nottata che abbiamo passato. E non so come darti torto… Sono famoso per le mie prestazioni!»
La stupidità del damerino ti fa venire freddo e il suo accento inglese ancor di più. Vedi che anche i tuoi abiti sono sul pavimento. Il trench.
«Stanotte non ci siamo presentati… Sono Cat. Carlton Cat. Conosciuto anche come il “Penetratore dell’Intimo”. Mi occupo dei mostri interiori… Capisci che intendo?»
Il sorriso con cui termina la frase ti riempie la schiena di brividi. Devi uscire il prima possibile da lì e trovare la tizia che ha rapito la bambina.
«Capisco…», sussurri mentre finisci di vestirti, implorando di non aver fatto assolutamente nulla durante la notte con quel cretino.
«Vieni, baby, ti mostro il resto della casa. D’altronde dovrai restarci per un po’, no?»
Lasci pietosamente cadere nel vuoto l’allusione di Carlton, e lo segui nel corridoio che attraversa casa sua. Un corridoio buio. Lungo e buio.
«Non fare caso al disordine, vivo qui da molti anni e non ho mai troppo tempo di fare pulizie… Non so se mi spiego! », fa lui, ammiccando ancora una volta.
Il corridoio esce piano piano dall’oscurità e comincia a mostrarti i suoi abitanti.
«Ti offrirei qualcosa da bere, ma ho smesso con l’alcol tanti anni fa, sai? Di tutti i vizi che ho avuto nella vita, eroina, alcol e sesso sfrenato, solo uno non l’ho mai perso… E come vedi non è quello di bere. Ehehehehehe!».
Il logorroico idiota inglese, mentre fa la sua battuta, si volta verso di te e ti fa pure l’occhiolino. La tua voglia di spaccargli la faccia aumenta esponenzialmente. Ma di colpo diventa serio.
«Ora però devi fare attenzione, baby. Stiamo attraversando il corridoio dei miei amici. Gente per nulla cordiale».
Quello che la penombra teneva nascosto prima, ora, con l’aiuto di alcune finestre che intervallano le gabbie, si mostra. Il corridoio è in realtà una prigione. Decine di celle con sbarre di ferro lo percorrono ai lati, fino alla porta d’ingresso, laggiù in fondo, più lontana che mai. Gli abitanti delle gabbie sono mostri, come in un museo di abomini. Creature incomprensibili alla vista e la cui contemplazione porterebbe alla follia.
Mentre pensi quest’ultima frase, ti accorgi che non ti appartiene. Somiglia  a qualcosa che hai letto tempo fa, nei racconti di quello scrittore americano misogino e razzista. Ma non hai tempo di ricordarti il nome, perché Carlton Cat si ferma davanti a una delle celle.
«Guarda qui, baby».
Dentro, un orrendo mollusco gigante sbatte disordinatamente le sue appendici. Quando si accorge di voi, un suono demente esce dall’immonda creatura, e un odore pestilenziale lo accompagna, come fosse il canto di mille cadaveri in putrefazione, la voce muffita e corrosa delle interiora di una bestia morta al sole. Non puoi però fare a meno di notare che un lieve barlume di intelligenza sembra dimorare in quella creatura, qualcosa che forse non appartiene a questa terra ma ai domini muti e lontani della vastità siderali…
Di nuovo hai la sensazione di non star pensando parole tue. Come se quel linguaggio stesse invadendo a poco a poco la tua anima, colonizzandola con il suo incedere.
«Non preoccuparti», ti dice Carlton. «Lascia fare, vedrai che poi migliora. Dovrai rimanere qui per sempre… Meglio accettare le abitudini del luogo, no?».
La testa ti batte forte e senti le gambe vuote, quasi non avessero più muscoli per muoversi.
«Ecco, guarda, concentriamoci sul mio amico».
E guardando più attentamente l’informe creatura davanti a te, credi per un istante di scorgere un  volto in quell’indescrivibile rigoglio di budella… La faccia di un comico del secolo scorso?
Ma Carlton ti parla ancora, con voce profonda stavolta, infernale.
«Baby… Io sono l’Archetipo del Distruttore. Il nuovo Archetipo del Distruttore. Lucifera lo è stata per alcuni anni… Ma ora ci sono solo io».
Le sue parole ti si confondo in testa, mischiate a quelle contorte e bizantine con cui non puoi fare a meno di continuare a descrivere con lunghe frasi l’irragionevole delirio involuto di urla e putridume che hai davanti…
«Non posso permetterti di portare a termine la tua missione», prosegue Carlton con tono ipnotico, «Io e l’Ombra siamo d’accordo. Tu morirai qui e noi continueremo a vivere, ormai è deciso. Ciò che stai facendo è profondamente sbagliato… Vedi, a volte dobbiamo sforzarci di capire che in fondo i mostri siamo noi.»
L’ultima frase ti fa ritornare improvvisamente in te. Di tutte le stronzate che hai sentito nell’ultima mezz’ora, quella le supera ampiamente. Così tanto, da farti completamente riprendere coscienza.
Avevi già notato l’insulso bottone rosso attaccato alla parete e il cartello al suo fianco con scritto “Non toccare. Apertura immediata di tutte le gabbie. Pericolo!” e già avevi pensato che la sua sola esistenza fosse una cosa molto stupida. Ma d’altra parte, tutta quella casa, a partire dal suo inquilino, è decisamente stupida.
Carlton Cat non fa in tempo a muovere un muscolo. Gli pianti un pugno sul naso (un gesto che stai sognando da quando hai aperto gli occhi nel suo letto), e mentre lui si china, con la faccia raccolta fra le mani, tu schiacci il bottone rosso, spingi Carlton verso la gabbia del suo amico e corri più forte che puoi in direzione dell’uscita.
Le gabbie si aprono tutte, come scritto nel cartello.
Carlton Cat viene divorato dal suo inconcepibile amico informe.
Tutti i mostri cominciano a mangiarsi fra loro, urlando e spandendo attorno un odore insopportabile.
Appena esci dalla casa, i tuoi pensieri tornano tuoi. Non più intricati e verbosi come quelli di uno scrittore del New England. Dai un ultimo sguardo alla scena dietro di te e vedi con innegabile orrore che i mostri, almeno quelli, sono certamente loro.
Quando chiudi la porta, la vecchia targhetta che vi era appesa si stacca, cadendo a terra.
Diceva: “Carlton Cat, Penetratore dell’Intimo”.
Ma non gli dai importanza. Non più.

[Continua]

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