Citando il sommo Marco Masini, ovvero perché l’operazione”Dylan Dog presenta: I racconti di domani” non riesce a convincermi

Stefano Tevini | Due calci al balloon |

Premessa doverosa: apprezzo di cuore lo sforzo di Sergio Bonelli Editore che da diversi anni ha capito che non può limitarsi a campare sulle proprie storiche collane di punta, se non altro perché i nonni che leggono “Tex” a lungo andare non potranno seguitare a sostentare la casa editrice per raggiunti limiti di età. Ergo, finiti i nonni, qualcosa per mantenere i bilanci entro parametri accettabili tocca inventarlo. E l’intenzione c’è tutta, da quel punto di vista davvero dieci e lode. I tentativi sono davvero tanti e diversi fra loro, non si può dire che in casa Bonelli manchi il coraggio di sperimentare. I risultati sono a volte felici, per esempio “Volto Nascosto” o “Adam Wild” o quell’UFO fumettistico scaramazzo quanto coraggioso che è “UT”, talvolta un po’ meno, vedi il “Dylan Dog” (ma anche gli altri fumetti) di Recchioni o i crossover con DC Comics.  E ci sta tutto, pure gli svarioni peggiori, quando scateni su librerie e quel che resta delle edicole un bombardamento a tappeto così intenso che ci potresti esportare la democrazia in uno stato canaglia. Perché anche dietro al cazzatone più madornale ci sta una logica. O almeno dovrebbe. Perché di certe operazioni mi sfugge il senso. Oh, magari è un problema mio e lo metto in conto, d’altronde a differenza di uno degli autori pocanzi citati ammetto la possibilità di avere dei limiti. A ogni modo, c’è quest’iniziativa bonelliana che tutte le volte che ci penso mi vien da citare i versi di un sommo poeta che dicono porti sfiga ma io non ci credo anche se da piccolino vidi un suo concerto e rubarono l’autoradio a mia madre che ancora le girano i coglioni. Il poeta l’avrete indovinato, il verso pure:

«Perché lo fai?»

Lo chiedo alla direzione di Sergio Bonelli Editore. Lo chiedo a Tiziano Sclavi. Lo chiedo a tutte le persone coinvolte nel progetto. Quindi la forma corretta sarebbe «Perché lo fate», ma son dettagli. Il punto è che mi sfugge il senso dell’operazione “Dylan Dog presenta: I racconti di domani”. Davvero, che senso ha? Pur non entrando nel merito del formato francese, con una foliazione striminzita a un prezzo non propriamente a buon mercato, d’altra parte è un dato di fatto che l’anima della casa editrice non è più così rigorosamente popolare da un pezzo e che i prodotti per le librerie non vanno affatto male, che senso ha pubblicare una serie di volumi di racconti brevi che sembrano la versione vecchia e spompata di Gli orrori di Altroquando, per lo più in un’edizione da flexare sulla mensola buona? Ribadisco, magari sono io che non ne colgo la profonda arguzia, che non ne apprezzo l’ironia fulminante, ma a me “I racconti di domani”sembrano una sequela di storie brevi inconsistenti che vorrebbero spiazzarti con un certo gusto del surreale tipico di Sclavi che qui tuttavia arriva molto debole, scarico, privo di quell’atmosfera tra il metafisico e il malinconico che ti lasciava in testa quel retrogusto di wow dopo aver chiuso albi come Orrore nero o Golconda. Per tacere di una cornice narrativa che, in fin dei conti, va poco oltre la pura funzione decorativa. Dylan è lì ma se pure non ci fosse, poco cambierebbe. Tiziano Sclavi vorrebbe essere quel Tiziano Sclavi lì e non è che non ne sia capace, Dopo un lungo silenzio è lì a far mangiare chili di polvere a vent’anni e passa di gestione dell’Indagatore dell’Incubo, ma questa volta manca il bersaglio, ed è palese. “Dylan Dog presenta: I racconti di domani” non ci arriva nemmeno vicino al miglior Sclavi, l’abisso è clamoroso. Quindi, per quale motivo pubblicarlo? Perché l’autore ha un suo star power e quindi le sue copie te le vende? Se è così ci sta, eh, pecunia non olet e riguardando i miei albi Bonelli non ho letto da nessuna parte la dicitura “ONLUS”, e questo spiegherebbe anche la presenza forzata di Dylan Dog a far da raccordo fra un raccolto e l’altro. Però, boh, come base per lanciare una serie di volumi deboli, poco riusciti e inconsistenti mi lascia perplesso ma, ribadisco, potrebbe essere un limite tutto mio.

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