Belle dame senza pietà: vampire e cacciatrici nei fumetti

Monia Marchettini | Io sono un unicorno |

Quando vogliamo approfondire qualcosa, a volte sprofondiamo nell’incubo dell’assenza di fonti: non troviamo libri o immagini. Niente che faccia al caso nostro. Non sarà un lavoro facile. Ma c’è un incubo peggiore: quando ci sono così tante fonti, documenti, audio-video, resoconti, racconti e interviste che sembra impossibile anche solo riordinarle (e comunque qualcuno verrà a dirti che la tua ricerca è incompleta). Il vampiro fa parte del secondo tipo di incubo.
Il fascino vampiresco colpisce l’immaginazione e crea una sovrapproduzione di materiale letterario e artistico. I vampiri nella letteratura, nel cinema e nei fumetti sono veramente tanti. e tanti sono anche quelli che li ammazzano. In questa moltitudine spiccano per qualità le quote rosa. Da Carmilla in avanti, queste belle dame senza pietà si fanno carico di un fascino tanto riservato e oscuro quanto quello dei colleghi maschi è diventato luccicante e mainstream.

Mina Murray in Harker

In Dracula (1897) di Bram Stoker Mina è la protagonista femminile. Dopo essere stata trasformata in vampiro da Dracula, viene poi usata dal gruppo di ricerca del conte (composto da Abraham van Helsing, il dottor Seward, Quincey Morris eJonathan Harker) come una specie di bacchetta da rabdomante grazie al legame che si è creato tra lei e il suo assassino. Guarita dalla “vampirosi” diventa la brava moglie di Jonathan Harker, gli sforna un pargolo che si chiama Quincey come l’amico che ha perduto nello scontro con Dracula. Poi?

Poi arriva Alan Moore. In La lega degli straordinari gentlemen Mina è a capo di una lega di uomini dalle capacità sorprendenti; è un vampiro, ma non proprio. In mezzo al suo gruppo di supereroi spicca per essere l’unica donna, più che per essere una mezza vampira. Non solo risulta fisicamente provata dal morso del vampiro ma è anche decisamente ferita dal divorzio con Harker. Per il tempo di cui parliamo (ultimi anni del 1800) Mina è (già nel libro) una donna emancipata. Per cominciare è una maestra, condizione che le permetteva una certa indipendenza, anche a livello economico, poi è una donna intelligente e coraggiosa. Moore ha enfatizzato queste caratteristiche nella sua serie, liberandola dalla figura del marito e del figlio ma gravandola di doni che non desidera.

Il Libro di Bram Stokerci dà infatti un finale insoddisfacente dal punto di vista psicologico, dando per scontato che Mina si riprenda dalle sue esperienze tramite la maternità e la condizione di donna sposata. Invece, in Moore, Mina nasconde una sofferenza che molte donne conoscono: la necessità di conciliare una natura diversa con una famiglia e con una posizione di comando. Temo che la storia di questa eroina sia qualcosa in cui molte donne possono riconoscersi. Come vampiro Mina è decisamente sui generis, perché viene guarita ma soprattutto perché possiamo vederla tanto come la prima Cacciatrice quanto come il primo vampiro usato per la caccia ai vampiri stessi, due figure che rappresentan un fenomeno di lunga durata quando si parla di fumetti.

C’è anche un altro aspetto che distingue la Mina di Moore dal vampiro classico: suscita interesse negli uomini ma non ha la sensualità propria di questa creatura. La descrizione del vampiro che seduce la vittima, il morso che la riduce all’impotenza è il contrario della personalità di Mina che è alla testa di un gruppo di uomini d’azione.

Il vampiro declinato al femminile innesca alcune riflessioni. Innanzi tutto, il contrario di una vampira è una donna sposata, in particolar modo  con prole. Proprio per questo le donne vampirizzate sono giovani in età da matrimonio ma ancora nubili: non hanno ancora un posto sicuro nella società; sono mine vaganti. La vittima, a quel punto, diventa carnefice forse proprio perché il percorso verso la tranquillità e il traguardo matrimoniale le sono preclusi.

Invece vampirizzare una bambina è un abominio: Claudia in Intervista col vampiro (1994) di Anne Rice è una creatura bloccata nella sua forma fanciullesca per l’eternità. Eli in Lasciami entrare (2004) di John Ajvide Lindqvist condivide la giovane età ma ha un genere più sfumato. Il problema è il sesso. Fare di un bambino una creatura sessualmente eccitante per le sue vittime va contro ogni sistema di valori, nemmeno i vampiri possono accettarlo con facilità. Il caso dei bambini diventa un corto circuito.

Zanne: una storia d’amore

«Mia cara, il tuo cuoricino è ferito; non giudicarmi crudele perché obbedisco all’irresistibile legge della mia forza e della mia bellezza; se il tuo cuore amato è ferito, anche il mio cuore stravolto sanguina»

Così dice Carmillanelromanzo omonimo (1827) di Sheridan Le Fanu. L’amore di Carmilla per la sua amatissima cena (Laura) è abusivo e la vittima, pur soffrendo, non ha la forza di liberarsene. Però l’amore vampirico, nel tempo, ha assunto molte sfumature domestiche, in molti libri vediamo il vampiro in famiglia.

Zanne (2020) di Sarah Andersen mostra una storia d’amore normale, tranne per il fatto che lei è un vampiro e lui un lupo mannaro. Si conoscono in un pub, si mettono insieme e poi formano una coppia fissa che ha la sua forza nel permettere al partner di essere se stesso. Alla fine è una delle storie d’amore più regolari che abbia incontrato in un fumetto.

Mi sono affezionata a questa storia, perché manca di tutta quella parte che ha reso famosi i vampiri: l’amore insano che letteralmente priva dell’energia. Nel fantasy, l’amore limitante della libertà dell’altro è ancora spesso scambiato con qualcosa di romantico. Perciò Zanne è una piccola perla. A proporre una narrazione diversa non sempre ci si rimette. La saga All Souls (2011) di Deborah Harkness, per esempio, presenta il vampiro che opprime la sua vittima, ma anche quello decisamente consapevole dei danni che il suo modo di amare crea. Dall’altra parte la trilogia di All Souls propone una protagonista, Diana, decisamente attiva. Abbiamo di nuovo una docente dell’università, una storica (ai vampiri piacciono le maestre?), una strega che colpisce sempre dove fa più male. Senza scordare che la povera Bella di Twilight era rappresentata come un’ adolescente, Diana è una donna di trent’anni, già indipendente, il progresso fatto in pochi anni è notevole.

Zanne, con le sue cento pagine, spero consolidi una tendenza. Se siete interessati alla narrativa di genere fantasy e ad approfondire i temi femministi che riguardano anche come creare storie d’amore adatte a un mondo in cambiamento (verso la parità di genere, intendo) seguite i passi di Giuliana Misserville autrice che spesso riflette su queste tematiche.

Il vampiro vien di notte, ma incontra Buffy

Buffy è una cacciatrice di vampiri, anzi è la Cacciatrice prescelta. Un’adolescente (ancora) di città che si trasferisce in un paesino della provincia americana. Già così è una storia dell’orrore. A questo si deve aggiungere che il paesino, Sunnydale, è una specie di bocca dell’inferno e, ogni tanto, sputa mostri assortiti. In realtà è il centro di un incrocio di energie negative. E dov’è il punto focale? Nell Liceo che Buffy deve frequentare, naturalmente.

Per fare un pochino di chiarezza diciamo che: il film Buffy l’ammazzavampiri è del 1992 e ha alcune differenze con i telefilm. Le sette stagioni della serie trasmessetra il 1997 e il 2003 e le 5 dello spin-off Angel che è andato in onda dal 1999 al 2004.

Più che cacciare, Buffy disinfesta. Attorno a sé crea una squadra di amici la “Scooby Gang” composta da amici buffi, bibliomani, streghe e ovviamente il vampiro di cui è innamorata (chi “shippavate”?) Angel (siete Bangel?) in alternativa Spike (siete Spuffy?). Buffy ammazza i vampiri corpo a corpo e li infilza con un paletto nel petto, questo perché come prescelta ha una forza comparabile a quella delle sue vittime. Il massimo è la serie televisiva principale ma esiste una quantità quasi estenuante di fumetti che continuano le storie dopo la conclusione della serie. Angel e Spike Asylum hanno serie dedicate, inoltre Angel ha una serie in comune con Faith (altra cacciatrice). L’ennesima prova che chi vuole stare dietro alle mille produzioni dedicate ai vampiri parte già sconfitto.

La caccia al vampiro è cambiata: intanto manca il momento in cui lo si trova addormentato nella sua bara e lo si infilza, forse dopo tutte le storie d’amore umano-vampiro pare brutto ammazzare un tizio o una tizia che dorme. Ecco la fine di Carmilla (o Mircalla, ma anche Millarca):

«Il sepolcro della contessa Mircalla fu aperto; e in quel volto, ora dischiuso alla vista, il generale e mio padre riconobbero entrambi la propria bella e perfida ospite. I lineamenti, nonostante fossero passati centocinquant’anni dal suo funerale, conservavano ancora le calde sfumature della vita […] Quindi, in accordo con l’antica pratica, sollevarono il corpo e conficcarono un paletto appuntito nel cuore del vampiro.»

Poi abbiamo un vampiro che caccia i vampiri. Anche Blade, il diurno, caccia conspecifici. I traditori della specie piacciono perché sono affascinanti, pericolosi alleati e potenziali storie d’amore drammatiche su due gambe. Una cosa che rimane in Buffy e viene spesso sottolineata è la forza del gruppo: il gruppo che va a caccia della tomba o della bara si è trasformato in un gruppo d’azione che combatte il soprannaturale a mazzate. Il non essere sola di fronte alle avversità è un buon messaggio per le giovani donne a cui viene chiesto di ricoprire non solo i ruoli che fino ad ora erano i soli possibili, ma anche di sgomitare sul lavoro e guai a lamentarsi.

La contessa Rossa

Lei è Elisabetta Bathory. La sua biografia è da paura. Elisabetta è l’esempio di come essere se stessi non è per tutti.

Nata nel 1560 al castello di Csejthe, obbligata dai genitori a sedici anni sposarsi con il Conte Ferencz Nadasdy è tristemente nota per comportamenti sessualmente spregiudicati, in realtà non ci sarebbe niente di male, il problema è che condiva il tutto rapendo povere ragazze, torturandole e uccidendole. Talvolta le mordeva privandole di brandelli di carne, il che aiutò a far circolare l’idea che si trattasse di una vampira.
L’albero genealogico della sua famiglia è legato a quello del Conte Dracula storico e ovviamente si diceva che avesse come amante un vampiro.

Quando Elisabetta vide le prime rughette decise di fare il bagno nel sangue di vergine, magari un’idea condivisa con la sua esperta di magia nera personale. Lo sapevano tutti, almeno secondo le dicerie. Il pastore del paese prima di morire scrive un memoriale che finisce nelle mani del suo successore, un tipo decisamente più dinamico che contatta il cugino della presunta vampira. I due le entrano in casa nella notte dell’ultimo dell’anno del 1610 e la trovano mentre gioca nella sua stanza delle torture. I cortigiani di Elisabetta vengono decapitati e lei viene murata viva fino alla morte il 14 agosto del 1614.

La sua morte viene insabbiata dal cugino che nasconde gli atti del processo. Ritrovati, andarono a condire la passione che gli illuministi avevano per la figura del vampiro.
In realtà qui la politica c’entra moltissimo, nonostante l’indubbia passione sadica della contessa (condivisa col marito). il comportamento del cugino (che era stato scavalcato politicamente dal nipote di lei) non era disinteressato e l’imperatore stesso non vedeva l’ora di liberarsi di Elisabetta: alla morte del marito la donna aveva ereditato un grande patrimonio che Mattia II di Ungheria non vedeva l’ora che tornasse nelle casse.

Georges Pichard ha tratto da questa vicenda un fumetto, La contessa rossa (1986), tra l’erotico e l’orrorifico, veramente d’impatto. Riuscire a rendere elegante questa vicenda richiede maestria: il sadismo qui ha la forma di moltissimi dei santi straziati nell’epoca barocca. Un tipo di erotismo lancinante e cupo. Sadismo sì, ma lontano dal vampiro classico, una morbosità tutta umana: il vampiro gioca con le sue vittime, le priva di forza, le manipola confondendole. Ha poco a che fare con stanze delle torture anche Dracula: dopo un passato da Impalatore sceglie metodi più puliti.

Le torture della Contessa Rossa sono molto carnali, in contrapposizione al vampiro rappresentato come un predatore che agisce in maniera molto pulita (giusto due forellini). Rapire le vittime è molto meno elegante che attirarle a sé. Straziare il loro corpo in orge estreme è molto diverso da vederle consumare lentamente davanti agli occhi di chi le ama mentre ci si intrattiene nottetempo in un gioco privato, quasi dolce. 

Con Il Vampiro (1819) di John Polidori Elisabetta ha in comune il desiderio di rovina: proprio come lei tortura vergini, al vampiro piace trascinare nel vizio donne di comprovata virtù e giovani inesperte. Vediamo cosa scrive Polidori:

«Si era scoperto che il suo disprezzo per l’adultera non era originato dall’avversione per il carattere della donna, ma perché, per aumentare il suo piacere, aveva voluto che la sua vittima, la compagna della sua colpa, precipitasse dalla vetta di una virtù immacolata fin nel più profondo abisso dell’infamia e dell’abiezione; infine, tutte quelle donne che lui.»

La donna è degradata dal contatto col vampiro. Non è più rispettabile. Il morso equivale quasi a una violenza sessuale che trasforma una ragazza in età da marito in una morta che cammina. Merce avariata che nessuno vuole più. Possiamo quindi capire i tanti tentativi di porre mano a questa narrazione che ora deve rispondere a un cambio significativo della nostra società.

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