Alan Moore, Dave Sim e La strana morte di Alex Raymond (3 di 4)

Quasi | La corsa dell’oritteropo, Mappaterra del Mago |

Un crossover tra Mappaterra del mago e La corsa dell’oritteropo di Francesco Pelosi e Omar Martini

Stiamo parlando di La strana morte di Alex Raymond (abbreviato: SDOAR), opera di Dave Sim in cui il fumettista espone anche le sue idee a proposito di ciò che chiama “metafisica del fumetto”, una sorta di ingerenza dell’immaginazione sulla realtà, e siamo così arrivati all’Eternalismo di Alan Moore, una teoria che vede la vita come un unico blocco di tempo congelato, dove le cose accadono, sono accadute e accadranno continuamente, in un’eterna compresenza.
Omar stava giusto dicendo che questa concezione potrebbe essere molto in linea con la mentalità di Sim…

(La prima e la seconda parte della chiacchierata)

Francesco: Direi che Sim ha confermato quest’ultima tua affermazione ventisei anni fa (tanto per restare in tema di Eternalismo…). Nel già citato carteggio via fax con Moore, a un certo punto dice che «una delle grandi soddisfazioni di realizzare una sola storia per ventisei anni, è il senso di sottomettersi a un’inevitabilità deterministica. I trecento numeri [di Cerebus] esistono e sono sempre esistiti (tralasciando la possibilità del mio prematuro decesso) in una forma specifica. La storia è sempre finita in quella stessa maniera. Questo diventa una specie di ancora di salvezza molto più facile a cui restare aggrappato rispetto al pensiero “mi rimangono da finire ottantadue numeri e 15 pagine e un quarto… E se le sbagliassi?”. Molto rassicurante sapere che, in un certo senso, la storia è già fatta».
Tralasciando l’inaspettato ripetersi dei “ventisei anni” sia nella conversazione di Sim e Moore che nella nostra (fatto che, a questo punto, Omar, ci lega indissolubilmente a questa storia), quest’ultimo discorso credo decreti definitivamente la distanza fra il punto di vista dei due autori. Moore, come ha più volte affermato in interviste, ma anche scritto specificamente in un passo di Jerusalem, non considera questa visione dell’Eternalismo come «un’ancora di salvezza». Anche perché l’assenza di libero arbitrio e il conseguente determinismo che ne deriverebbe li si possono percepire soprattutto analizzando le cose in grande, nel macrocosmo, per così dire, mentre nella nostra vita di tutti i giorni, nel microcosmo, queste “costrizioni” non vengono percepite. Moore fa sempre l’esempio delle statistiche relative alla mortalità o ai posti di lavoro: non possiamo dire con sicurezza chi morirà oggi, né chi troverà o perderà il lavoro. Ma analizzando invece la cosa a livello nazionale, e magari anche annuale o decennale, possiamo arrivare a una stima piuttosto precisa di quanta gente morirà nel prossimo anno o quale sarà il tasso di disoccupazione in Inghilterra o in Italia da qui al 2033.
Ecco, quel che sembra dire Moore nella maggior parte delle sue opere (e quelle che hai citato sono esattamente quelle che sto prendendo in esame in questa Mappaterra del Mago, proprio perché i concetti che esprime sono sempre quelli dell’Eternalismoo, dello spaziotempo e della sua visione magica dell’esistenza) è proprio che tutto è sempre e solo una questione di punti di vista. A seconda della prospettiva dalla quale noi guardiamo una cosa che ci accade, quella, seppur avendo una base oggettiva data dalle sue conseguenze materiali, può cambiare radicalmente il suo significato, perlomeno rispetto alla nostra individualità, al modo in cui la leggiamo. Il discorso che fa Sim invece, sembra voler attribuire ai fatti una valenza univoca, sembra voler dire che le cose vanno in una sola direzione, come dici tu, qualcosa di già deciso a priori che non può essere cambiato. Moore invece dice: “Sì, le cose non possono essere cambiate, ma può cambiare il tuo modo di vederle e rapportartici. E questo fa tutta la differenza”.

Omar: Io però ho dei dubbi su questa visione eternalista quando si parla di Cerebus. È vero che Dave Sim ha avuto l’illuminazione di fare trecento numeri di una collana che si sarebbe conclusa con la morte del protagonista (nota bene: a serie già iniziata, non prima di concepirla), ma questo significa tutto e nulla. Era cosciente che il suo cammino narrativo lo avrebbe portato a quel punto… Ma come ci sarebbe arrivato è tutta un’altra cosa. Non ho approfondito molto la documentazione che si trova (soprattutto in rete) sull’evoluzione della serie e sugli eventuali cambiamenti che sono avvenuti in “corso d’opera” (ho come l’impressione che non abbia mai approfondito pubblicamente questo aspetto), ma se la leggi tutta di seguito, come ho fatto per gli articoli usciti su “Quasi”, percepisci che a un certo punto (se non ricordo male, proprio con Reads), c’è un cambio di direzione, non solo perché inizia a esplicitare quelle posizioni e quelle idee che avrebbero segnato la sua “caduta”. È come sea un certo punto la storia prendesse una strada che inizia a scorrere in parallelo,rispetto alla via principale, e poi, gradualmente, sterza in maniera sempre più decisa, fino a prendere una via completamente diversa. La materia che racconta Sim nella “seconda parte” della serie non ha praticamente più nulla a che fare con quello che c’era all’inizio. A certi personaggi (su tutti, Jaka) rimane solo il nome, ma pensano e si comportano in modo completamente diverso, come se fossero delle creazioni differenti. Non c’è coerenza e il mondo che viene rappresentato è colmo di incongruenze e di contraddizioni, perché quello che interessa a Sim non è più raccontare una storia, ma avere un palcoscenico per snocciolare concetti ed esprimere le proprie idee… Lo stesso tipo di approccio che utilizza anche in SDOAR. Ci sono stati momenti, mentre lo leggevo, che se Dave Sim fosse stato accanto a me, gli avrei chiesto la ragione di quelle scelte: raggiunge vette altissime nella disamina del segno, nell’esposizione di quella che era stata l’evoluzione della striscia, nella riproduzione quasi mimetica del tratto degli autori di cui parla… E poi ci inserisce la sua visione della “metafisica del fumetto” o le sue opinioni su quello che rappresentano e significano certe foto (per esempio, quando parla del “passaggio del testimone” da Milton Caniff ad Alex Raymond alla presidenza dell’associazione dei disegnatori, rappresentato dall’immagine che immortala la loro stretta di mano). A volte, quindi, degli sproloqui insensati inframmezzano osservazioni e studi decisamente notevoli. Quello che lascia stupefatti è che, quando passa ai suoi ragionamenti, non ha il minimo dubbio che le sue siano solo delle ipotesi: non ha il minimo dubbio nel ritenere che quello che scrive è effettivamente accaduto.

La questione dei punti di vista e della distanza che osservi è fondamentale e, come dici correttamente, Sim sembra completamente alieno alla possibilità che si possa relativizzare. Non voglio fare della psicologia spicciola, ma a volte ho l’impressione che il modo estremo con cui Sim si rapporta al mondo del fumetto e a quello “reale” sia una sua tecnica per provocare una reazione in coloro che lo circondano perché non conosce altro modo con cui relazionarsi o perché, altra valutazione spicciola, forse non ha quel riconoscimento che si aspetterebbe di ricevere (come invece accadeva un tempo). Di conseguenza, l’unico modo di attirare l’attenzione e di avere dei “rapporti” è quello di fare delle uscite volutamente controcorrente e, potenzialmente, incendiarie. Provo una grande tristezza nell’osservare tutto questo perché, come accadeva nella seconda parte di Cerebus, mi sembra che utilizzi il fumetto non tanto (o non solo) per parlare di sé (cosa per cui, con la tradizione di fumetto auto-biografico, non ci sarebbe nulla di male), ma perché sembra usare il fumetto come veicolo per dire quello che pensa perché altrimenti non avrebbe altro modo per farsi sentire ed esprimere le proprie idee. È un atteggiamento conflittuale che, invece di portargli quella visibilità che probabilmente anela, lo ha allontanato dalla scena.

Un elemento che mi ha colpito perché non mi sembra perfettamente riuscito (quando invece in passato, lui era un maestro in questo), è la forma narrativa di questo libro. La mancanza di uno sviluppo coerente della “storia” è sicuramente dovuto al fatto che quest’opera è nata e si è sviluppata come una sorta di flusso di coscienza, ma trovo che l’espediente del comic book letto dalla ragazza, quando siamo all’interno di un libro, non sia così efficace, soprattutto perché non c’è una reale “ricreazione” del comic book, a parte il cambio della copertina e, di conseguenza, del contenuto. Sembra più il tentativo di rimanere legato a come era nato originariamente quel materiale, all’interno della testata “Glamourpuss”, e, forse, anche al tipo di formato che aveva sempre caratterizzato la produzione di questo autore. È vero che ha dato origine ai “phonebook”, influenzando profondamente il mercato del fumetto nord-americano, ma è anche vero che quello che si ricorda di lui (e per cui è anche entrato nel Guinness dei Primati) è che ha realizzato trecento albi di un personaggio.
Qual è la tua opinione a riguardo, Francesco: lo vedi anche tu come un elemento debole, oppure sono io che ci “leggo troppo”?

F: Guarda, SDOAR è stato per me una grossa delusione. E lo è stato nella misura in cui ogni volta che lo apro e lo sfoglio mi sembra splendido e le sue pagine mi lasciano abbacinato per la loro bellezza. Ma la narrazione si perde totalmente per strada, lasciando chi legge nel limbo di un discorso contorto e criptico che sembra saltare di palo in frasca, e il pretesto della ragazza che legge il fumetto “SDOAR” all’interno di SDOAR stesso sembra anche a me, appunto, nient’altro che un pretesto.
Più andiamo avanti con questa nostra conversazione (a proposito, grazie di aver riportato il discorso su SDOAR: ci stavamo effettivamente un po’ perdendo per strada anche noi), più l’immagine della “sbandata” mi sembra calzante. È bellissimo guardare Sim che parla delle origini del fumetto fotorealistico, che racconta e “copia” gli stili di Raymond, Caniff, Hal Foster e gli altri (persino Jack Kirby!), ma è altrettanto frustrante vedere che, pagina dopo pagina, la narrazione si fa sempre più nebulosa e Sim si smarrisce sempre più nel caos degli elementi che mette in gioco. Sembra appunto perdere il controllo e schiantarsi contro il muro della realtà e della razionalità, un minimo comune denominatore con cui ogni autore deve sempre confrontarsi, pur quando va a toccare le vette ideali più lontane e metafisiche.
Ecco, alla fine – anzi, in questo caso prima della fine – anche Sim ha avuto il suo incidente mortale, come Raymond. L’indisposizione al polso che non gli permette più di disegnare è la sua morte da fumettista (e infatti poi si è messo a fare “Cerebus in hell?”). In più, mi rendo conto solo ora che quel che è successo a Sim è perfettamente in linea con la sua idea di “metafisica del fumetto”: lavorare alla Strana morte di Alex Raymond ha portato anche lui a una “strana morte” come autore. Certo, guardando le cose in prospettiva, come mi insegni tu nella Corsa dell’oritteropo, questa “morte” era già in essere da un po’ o perlomeno si stava annunciando attraverso il graduale crollo della qualità in Cerebus. Ma in definitiva, e perlomeno dal suo punto di vista, Sim ha avuto ragione: il suo fumetto ha cambiato la sua realtà.Lasciando stare ovviamente il fatto che SDOAR e le condizioni del suo polso potrebbero non avere nulla a che fare, anche se il secondo ha certamente contribuito a creare il primo, per cui… Non posso che confermare quanto detto all’inizio: quest’opera, anche con tutte le criticità sue e del suo autore, mi ha sconvolto e continua a farlo.

[continua]

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