Francesca Ghermandi: Come ti creo un personaggio (uno di quattro)

Quasi | Plat du jour |

di Francesca Ghermandi

Anni Sessanta

Ho ricordi molto precisi della mia infanzia, perché mio padre si dilettava con la fotografia e con la cinepresa Super 8.
Vivevo in collina, in un posto dove c’erano altre due famiglie e tanti bambini. Ero la più piccola. Il posto era ricco di luoghi misteriosi e a me sembrava una specie di città con tutti i suoi quartieri. I bambini per me avevano caratteristiche precise, come animali di specie diverse.
Ogni tanto, andavamo a vedere, tutti insieme, la TV a casa di un vecchissimo contadino che abitava nello stabile e che era l’unico a possederne una. Tra discussioni su cosa si dovesse vedere, è lì che ho visto per la prima volta il Carosello, un programma che conteneva, una volta al giorno, tutta la pubblicità in TV. Era particolarmente amato dai bambini perché c’erano i cartoni animati e tantissimi personaggi.

Anni Settanta

Dalla campagna alla città, il cambio era stato duro. Sembrava di essere in prigione. Qui ho iniziato a disegnare per forza di cose, dato che non potevo uscire liberamente.
Restavo da mia nonna tutti i fine settimana. Era una signora anziana che raccontava fiabe macabre, molto elaborate. Abitava a due passi da casa mia. Da lei, in un’altra prigione, giocavo e disegnavo su una quantità infinita di riviste che lei conservava. C’erano anche i fumetti: intere annate di “Diabolik” e “Topolino”.
Le storie e i personaggi microscopici che disegnavo, avevano come luoghi le enormi scritte della pubblicità dei prodotti. In assenza di carta bianca, disegnavo nei pochi spazi bianchi che rimanevano sulle pagine delle riviste.
I personaggi erano così piccoli che quelli che li guardavano non vedevano mai i dettagli.
I miei fratelli più grandi avevano i loro fumetti. Tramite loro ho scoperto “Il diario Vitt”, “Linus”, “AlterLinus”, “Il Corriere dei Piccoli”, “Mad”, “Alan Ford”. Ma anche fumettacci porno e fumetti politici. Di mio avevo un abbonamento a “Topolino” e i libri, Paperino e Topolino disegnati da Carl Barks e Floyd Gottfreson, La Mula Checca & Co. di Frederick Burr Opper, Arcibaldo e Petronilla di Geo McManus, Braccio di Ferro di Segar e l’amatissimo Dick Tracy di Chester Gould.

I personaggi delle illustrazioni, mi piacevano per via dei disegni, ma le immagini rappresentavano storie che dovevano essere capite (come in Steinberg) o lette (come nei volumi dell’enciclopedia I Quindici o nei libri di fiabe e racconti). Avevo poca voglia di leggere e così, per capire quello che c’era scritto, cercavo di prendere più informazioni possibili dalle poche immagini. C’erano anche altri libri a casa e quello che mi piaceva di più era Kitsch: Antologia del cattivo gusto di Gillo Dorfles, con tantissime immagini assurde.
Le fiabe sonore dei 45 giri avevano un’unica immagine. Ma tutto ti veniva spiegato a voce.
Poi c’erano gli amatissimi cartoni animati in tv. Il signor Rossi, Supergulp, il Carosello, i film per ragazzi – come Pinocchio di Comencini, Pippi Calzelunghe, le comiche con Stanlio e Ollio, Alf l’extraterrestre… –  e i film per adulti – come Belfagor, Fantomas, la serie Il Brivido dell’Imprevisto, Uccellacci e Uccellini, la commedia italiana con Tognazzi, Gassman, Totò

Dopo la scuola, giocavo con oggetti e pupazzi.
Erano recite improvvisate.
Avevo ricostruito in una stanza sopra la cucina una sorta di paese. In un angolo c’erano certi personaggi o luoghi. Avevo anche addobbato un termosifone come un altare/santuario (dato che ero troppo piccola, non andavo in chiesa come i bambini più grandi e così avevo pensato di inventarmi una religione faidate).
I personaggi avevano certe caratteristiche che scoprivo mano a mano nella recita. A volte alcuni personaggi molto antipatici, interpretandoli, cambiavano carattere, venivano umanizzati e magari degli esseri orribili avevano anche un cuore. O per lo meno, capivo il perché delle loro azioni buone o cattive che fossero.
È qui che ho iniziato a conoscere i personaggi, perché li interpretavo.
Bambole, pupazzi, cani in plastica, gatti in ferro, peluche, soldatini, oggetti… tutti erano personaggi.

Durante le vacanze estive al mare, con altri bambini organizzavo recite in cui costruivamo vestiti e oggetti. E ci inventavamo personaggi che interpretavamo per tutta l’estate. Queste storie venivano anche trasposte con pupazzi, bamboline, macchinine, soldatini.
Questi personaggi vivevano in plastici sulla spiaggia con case fatte di sabbia e arbusti, nel giardino, in casa. Usando i materiali che trovavamo. Gli ambienti andavano in scala con i personaggi, per lo più Barbie e altri umani sempre più piccoli (come i microscopici soldatini Atlantic).

Direi che tutti i bambini fanno questi giochi, poi con l’avvicinarsi dell’adolescenza spesso li abbandoniamo.
Durante il liceo non ho più disegnato, anche se ho scoperto attraverso i miei fratelli riviste come “il Male” e “Frigidaire” con un’ironia dirompente e fumetti bellissimi. Scoprivo che le storie potevano essere raccontate anche in altre maniere.
La voglia di inventare personaggi e storie è ricominciata quando ho finito il liceo e ho conosciuto dei veri fumettisti, dei fantastici fumetti e molto altro.

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