Dune zeitgeist

Francesco Pelosi | Fuori tempo |

La sensazione è quella che Dune, la saga fantascientifica di Frank Herbert, la cui storia editoriale è cominciata nel 1965, non potesse essere adattata compiutamente per il cinema prima di questi anni Venti del XXI secolo.

Il fatto che in passato Alejandro Jodorowsky ci abbia provato senza successo, realizzando quello che è ricordato come il più grande film MAI realizzato (proprio nel senso che non si è mai fatto, come ho raccontato qui), e che un giovane David Lynch l’abbia invece portato a compimento (Dune, 1984), pur con considerevoli tagli imposti dalla casa di produzione e un risultato non certo esaltante, mi sembra leggibile, a confronto con il successo odierno della nuova trasposizione di Dennis Villeneuve, come un problema legato allo spirito del tempo. Insomma, la fantascienza complessa e articolata di Dune si è scontrata, prima di oggi, con uno scoglio nella coscienza collettiva che ancora non era pronta per digerirne le tematiche. 

Se pensiamo che i concetti di quarta dimensione e di fisica quantistica hanno ormai un secolo e la loro terminologia ha cominciato solo da poco ad affacciarsi nel linguaggio comune (mentre la reale comprensione dei loro enunciati rimane ancora un mistero, almeno per la maggior parte di noi), risulta abbastanza chiaro come i discorsi filosofici e metafisici di Dune fossero eccessivamente prematuri per il pubblico cinematografico generalista degli anni Settanta e Ottanta. Per non parlare poi degli intrighi politici e economici che mette in scena, per nulla lineari né moralisti, come lo stile mainstream del periodo imponeva. Fino ad almeno vent’anni fa ci bastava Star Wars, con la sua visione manichea dell’esistenza e la sua ambientazione fantasy camuffata da fantascienza, fatta di simpatici robot, buffi alieni e drammi familiari psicanalitico-mitologici all’acqua di rose. 

Dune è invece un’altra cosa, molto più complesso, molto più profondo nel suo scavare nella coscienza e nella società umana. E anche i concetti di crescita interiore e spirituale, di tempo circolare e realtà multidimensionali e, in definitiva, di fantascienza complessa, erano davvero troppo per una coscienza collettiva ancora ferma alla fisica classica e alle tre leggi della robotica di Asimov (non sto parlando ovviamente della diffusione dei romanzi di Dune, ma della diffusione e dell’accettazione comune e della loro versione cinematografica, per forza di cose ben più vasta).

Dovevamo prima assimilare lentamente gli assunti di Blade Runner e la sua idea di robot, che tendeva già pienamente all’Intelligenza Artificiale, poi Terminator e il concetto di macchine autocoscienti che si ribellano all’umanità, e infine Matrix che ha portato tutto questo verso la concezione post-orwelliana di una vita illusoria sotto il controllo delle AI, intrecciandolo con la spiritualità esoterica, sia orientale che occidentale. Ci volevano poi (persino) i cinecomics, per sdoganare le loro idee di continuity fumettistica e Multiverso e una visione allargata dell’opera in sé, un sapere implicito che ciò che stiamo vedendo nel film non finisce lì e nemmeno è lì che inizia. Un’idea di Lore insomma, di universo espanso, che ormai tutti abbiamo pienamente grazie alle serie TV e agli adattamenti di opere come Il Signore degli Anelli o Harry Potter, che nel corso degli anni hanno fatto ampio ricorso a queste tecniche narrative derivanti direttamente dalle regole che i cardini della pop-culture – fumetti e videogiochi – hanno imposto alla cultura “tradizionale”.

Molto interessante vedere infatti come Jodorowsky, fallito il suo Dune per il cinema, abbia potuto “sfogare” tutto il bagaglio immaginifico che aveva ereditato dall’opera di Herbert, direttamente nei fumetti (da L’Incal con Moebius, ai Metabaroni con Juan Gimenéz e i Tecnopadri con Fred Beltran), dove la complessità multistrato della narrazione e la mescolanza di generi e approcci era già ampiamente condivisa e accettata.

Oggi quella complessità sembra essere considerata anche dal cinema blockbuster, e così Dennis Villeneuve (che aveva già contribuito alla causa con il suo bellissimo Arrival, tratto da un racconto di Ted Chiang che parla di alieni trattando in realtà di linguaggio e multidimensionalità) ha potuto finalmente dare una degna trasposizione di Dune per il grande schermo, con i suoi Dune – Parte 1 (2021) e Dune – Parte 2 (2024), e un terzo futuro, e forse definitivo, capitolo.

Il doppio viaggio dell’eroe Paul Atreides, prima in “positivo”, in un’ascesa verso la parte luminosa degli insegnamenti spirituali delle Bene Gesserit e dei Fremen, e poi in “negativo”, abbracciando il versante opposto di quegli stessi insegnamenti, in una caduta che lo porta a diventare un Messia oscuro e un Imperatore tirannico, è infatti solo la punta dell’iceberg della storia di Dune. È quel che tutti vediamo e che in qualche modo dovrebbe legarci alla sua storia ma, come detto, i nostri tempi sono ben più oscuri e complicati di così, e le morali sono decisamente più sfumate di un mitologico Luke Skywalker che apprende le leggi della Forza per diventare cavaliere Jedi e sconfiggere la propria ombra-padre, o di un Anakin Skywalker che compie l’arco opposto divenendo Darth Vader (e rendendo esplicito uno dei tanti debiti che George Lucas ha verso Herbert).

E così, seppur costretti e sottomessi allo spietato minutaggio cinematografico, e in alcuni casi completamente sommersi da esso, ecco che nell’ultima versione su schermo di Dune si affacciano altri strati di significato che, mano a mano che vengono a galla, sembrano costituirne la reale ossatura e sostanza, nonché i motivi fondamentali del suo essere perfetto per lo zeitgeist contemporaneo.

La prima e più oscura sottotrama riguarda proprio l’Intelligenza Artificiale, uno degli smottamenti tecnologici attuali che più interessano la nostra specie. Herbert fa riferimento, senza mai approfondire troppo l’argomento, a una guerra tra umanità e macchine, la cosiddetta “Jihad-Butleriana”, avvenuta in passato e che ha fatto sì, dopo la vittoria degli umani, che la tecnologia come noi la conosciamo fosse completamente bandita dall’impero interplanetario di Dune. Questo perché, prima della guerra, gli uomini dipendevano a tal punto dalle AI, che queste avevano finito per emanciparsi e prendere il potere (questa storia verrà poi raccontata da Brian Herbert, il figlio di Frank, in un ciclo di romanzi successivi intitolato Legends of Dune, edito da poco in Italia e spesso criticato dai fan per le sue incongruenze con l’opera originale). Per questo motivo in Dune non vediamo mai nemmeno un computer, e il ruolo della tecnologia è stato ereditato da umani modificati dall’assunzione di Spezia (o Melange), lo psicotropo che si trova solo sul pianeta sabbioso di Arrakis che ha permesso all’umanità di evolvere e che per questo è divenuto centrale nell’economia interplanetaria.

Questo discorso ci porta direttamente a un’altra situazione sotterranea che nel film fa capolino, anche se timidamente: gli umani evoluti. Se infatti tutta l’umanità in Dune ha rinunciato alla tecnologia, ha però lavorato per evolvere la propria mente e la propria “interiorità” grazie all’assunzione di Spezia, e ci sono tre categorie di persone, tre gruppi, profondamente legati all’esistenza di questa droga.

Il primo, che anche nei film viene presentato e che ha un ruolo fondamentale, è l’ordine Bene Gesserit, una casta sacerdotale femminile, molto vicina a quello che potremmo considerare una società magico-esoterica. Quello che colpisce è che le Bene Gesserit sono al fianco di tutte le fazioni dell’intrigo politico di Dune, senza differenze di parte, avendo come unico scopo quello della nascita di un messia maschio, il “Kwisatz Haderach”, i cui poteri potranno piegare a piacimento il tempo e lo spazio. Per fare questo le Bene Gesserit, dopo essersi rese indispensabili per tutti gli altri gradi di comando dell’Impero, hanno portato avanti una sorta di “programma genetico”, sostenuto dalla loro capacità di decidere il sesso dei figli che portano in grembo. Come sottolinea Paolo Riberi, autore insieme a Giancarlo Genta di I segreti di Dune (Mimesis, 2024), l’ordine Bene Gesserit è stato modellato da Herbert, per sua stessa ammissione, su quello gesuita, con la loro lunga mano occulta che si espande dal potere spirituale fino a quello temporale e politico.

Gli altri due gruppi i cui poteri derivano dalla Spezia sono i Mentat e la Gilda Spaziale, che nella trasposizione di Villeneuve hanno avuto (quanto meno fino a ora) un ruolo decisamente minore. I Mentat, che fanno una breve apparizione in Dune – Parte uno, sono umani-computer che hanno fatto evolvere il loro cervello grazie alla Spezia in una direzione logico-matematica, mentre la Gilda Spaziale è composta da esseri ormai quasi per nulla umani, la cui capacità è quella di aver sviluppato i poteri della “preveggenza” tipici del Melange, così da essere i soli a poter viaggiare con le loro astronavi nello spazio e tra i mondi, e quindi a presiedere il commercio.

In un suo bell’articolo sul sito della rivista “Axis Mundi”, Daniele Palmieri mostra come questi tre aspetti della Lore di Dune, siano in massima parte riconducibili a una concezione vicina al Cosmismo, corrente filosofica nata in Russia alla fine del XIX secolo che mette al centro il superamento dei limiti mortali dell’umanità tramite l’evoluzione delle sue potenzialità. Un’immortalità non dell’anima, come vogliono le religioni e le varie dottrine spirituali ma, in maniera decisamente più “pratica” e materialista, direttamente del corpo. Palmieri fa notare come nell’universo fantascientifico di Dune non ci sia posto che per l’uomo, in un’ambientazione che non concepisce forme di vita aliene né tantomeno, come detto prima, robot o AI. Dune, pur mostrando una galassia sconfinata di pianeti e civiltà, ha una struttura totalmente antropocentrica, dove le capacità della nostra razza si sono evolute vertiginosamente per arrivare alla conquista totale dello spazio conosciuto.

Scrive Palmieri:

«Il Cosmismo è stato uno dei principali movimenti esoterici diffusosi in Russia tra il XIX e il XX secolo e sopravvissuto, seppure per via sotterranea, anche alle epurazioni materialistiche della cultura Sovietica. Fu un movimento decisamente eterogeneo, fondato da Fedorov, di cui fecero parte esponenti molto diversi tra loro come Tolstoj, Solov’ev, Florenskij, Berdjaev e Vernadskij, ma tutti accomunati da un ideale preciso: l’idea di evoluzione attiva della specie umana. 
Come illustra George M. Young ne I Cosmisti Russi [Tre Editori, 2017], uno degli studi più autorevoli sul tema, il Cosmismo fu contraddistinto dalla ricerca di tutti i grandi ideali della tradizione magica, ermetica e religiosa: l’immortalità, la resurrezione dei morti, la sconfitta delle malattie, l’onnipotenza, l’approdo ad altri mondi o a un paradiso edenico, in sostanza a una grande età dell’oro. Ma, nel Cosmismo, l’anelito a questi ideali che hanno sempre mosso l’afflato religioso, spirituale e anche magico dell’essere umano viene declinato non solo in termini mistici, ma anche in termini scientifici e prometeici. La materia non viene considerata esclusivamente la fonte di questi mali, o un ostacolo per realizzarli, ma anzi assurge a hyle, materia grezza, che l’uomo nuovo, novello Prometeo, deve imparare a dominare e a plasmare a proprio piacimento attraverso la conoscenza, in tutte le sue manifestazioni, e l’azione».

In definitiva, il racconto sotterraneo che muove Dune, e che si riflette anche nel “viaggio” di Paul Atreides, è quello della riconquista da parte dell’uomo del potere creativo della propria mente. È questo che succede fuori scena, dopo la Jihad-Butleriana, quando, smantellati tutti i grandi apparati tecnologici che l’avevano portata alla prigionia e all’annichilimento, la razza umana sceglie la strada dell’interiorità e la scoperta del reale potenziale della mente, appoggiandosi non più a un artefatto meccanico ma a qualcosa di immanente alla natura: la Spezia.

Seguendo questo rapido elenco di alcuni dei temi forti di Dune, si può allora intravedere un perché del suo successo in questo momento storico e della possibilità della sua realizzazione in una forma cinematografica accessibile a molte persone. In Dune, i cui riferimenti impliciti sono in gran parte derivati dalle tradizioni antiche sciamaniche e iniziatiche, e quindi da un sostrato “spirituale” della cui importanza l’umanità sembra cominciare a ricordarsi proprio in questi anni, si parla esplicitamente di manipolazione genetica, intelligenza artificiale e della conquista di altri pianeti su cui impiantare la civiltà umana: tutte tematiche ormai ben lontane dall’essere solo parte della narrativa fantastica in cui sono state concepite, e decisamente vicine a noi, attuali.

In mezzo a tutto questo poi, al centro del conflitto tra etica e sopravvivenza e tra spiritualità e materialismo, sta la più contemporanea delle vicende umane raccontate da Dune: la guerra. Nella triste e terrificante contingenza tra il racconto di Herbert, i film di Villeneuve e i fatti quotidiani di questo nostro 2024, troviamo una popolazione assediata per risorse naturali e controllo del territorio, una guerra di sterminio che prosegue da generazioni, e qualcuno che minaccia di mettere fine a tutto questo con missili atomici: è l’eroe della storia, il Messia dei Fremen, Paul “Muad’dib” Atreides, il personaggio con cui siamo portati ad identificarci dalla narrazione, nella sua ascesa come nella sua caduta, così da arrivare a chiederci, nel buio della sala, se quel carnefice siamo noi.

Dune – Parte 2, in quel suo finale che ti immobilizza nel profondo, parla direttamente al nostro presente, mettendone in scena le ambivalenze irrisolvibili, tanto eterne quanto immediate: morte-vita; cultura-natura; materia-spirito. E mentre noi, con rabbia e dolore, urliamo muti davanti alle immagini un disperato “Cessate il fuoco!”, il nostro eroe-alter ego Paul arma un arsenale nucleare per imporre la pace.

[A proposito di molte delle tematiche trattate, consiglio questa interessante diretta, proposta qualche giorno fa sul canale You Tube di “Axis Mundi”, con Marco Maculotti, Paolo Riberi e Daniele Palmieri.]

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