Say You Want a Revolution

Beniamino Malacarne | Squared Circle |

Da sbarbato lavoravo in un negozio di fumetti. Che poi, sbarbato, già all’epoca mi crescevano peli ovunque, ma non è questo il punto di quel che stai leggendo. Era il 2005 e la fumetteria in questione vendette, per qualche mese, i DVD del wrestling originali WWE. Era l’epoca dell’ultima grande ondata di wrestling sulla TV in chiaro e lo guardavano tutti, erano gli anni di Christian Recalcati e Ciccio Valenti, dell’ascesa di John Cena e della morte di Eddie Guerrero che ci avrebbe stesi tutti di lì a poco. Insomma, in televisione davano un wrestling tutto sommato digeribile, non cartoonesco come quello anni Ottanta ma qualcosa che ai figli si faceva guardare senza tante menate, tanto più che i giocattoli di Bautista e di Kane si vendevano anche nei supermercati. Ecco, uno di quei DVD catturò il mio occhio di persona curiosa come una scimmia. The Rise + Fall of ECW. Copertina nera, filo spinato stampigliato ovunque, foto sgranate di lottatori coperti di sangue. Oh, bella. Interessante. Me lo sono preso e SBAM, mi sono sparato tutti i dischi in un binge watching a base di Sandman che prima ancora di salire sul ring si era fracassato una lattina di birra in fronte mentre fumava una paglia, Rob Van Dam che saltava da un angolo all’altro del ring calciando un bidone della spazzatura in faccia all’avversario e Terry Funk nel pieno dei suoi cinquanta che si squartava la fronte davanti a un pubblico che si portava da casa gli oggetti che i wrestler avrebbero dovuto fracassare sul muso degli avversari.

ECW. Extreme Championship Wrestling. Una federazione rilevata da quel genio matto in culo di Paul Heyman che offriva uno shot di adrenalina con un’atmosfera da TV pirata, tipo «Ci stanno tracciando, stacca, stacca!» ma con ettolitri di sangue in più, con promo fatti in uno scantinato con colonna sonora tipo Pulp Fiction, sesso, volgarità, botte senza regole e tutto l’eccesso che si poteva infilare in uno show di wrestling. Come ha steso me nel 2005, ECW ha steso il fandom americano che giusto allora se ne stava uscendo dall’epoca dei personaggi da cartone animato, negli anni Novanta, divenendo in breve la terza federazione statunitense nonostante una produzione fatta con due spicci nel portafoglio e più incoscienza di quella che Guccini si portava da giovane nel basso ventre (perché la cit. colta in mezzo a sangue, rutti e sedie spaccate sul cervelletto ci vuole). Ecco, uno dei volti della federazione era Sabu.

La faccia era quella di uno che non avresti voluto incontrare la sera in un vicolo. Il corpo era coperto di cicatrici. Talvolta entrava sul ring legato a una barella e con la museruola, tipo Hannibal Lecter, altre volte con un copricapo arabo. The homicidal, genocidal, suicidal, deathdefyin’ maniac Sabu. Una roba mai vista, almeno da me. Sabu non si fermava davanti a niente. Usava le sedie e le corde come trampolini per spiccare questi balzi assurdi per andarsi a schiantare contro gli avversari, possibilmente facendoli passare attraverso un tavolo che andava inevitabilmente a frantumarsi. Ecco, il tavolo rotto è uno dei simboli dell’hard core wrestling, e Sabu di tavoli ne ha attraversati tanti da non contarli più. E non è la follia più assurda che abbia mai combinato. Il 9 agosto 1997, a Philadelphia, in occasione dello show Born to be Wired, Sabu ha sfidato per il titolo dei pesi massimi ECW il decano Terry Funk, che ribadiamo non era né di primo pelo né aveva nulla da dimostrare essendo un campione di levatura internazionale, in un barbed wire match. Sì, hai letto bene. Questi due si sono sfondati di mazzate in un ring con il filo spinato al posto delle corde. Filo spinato vero. Del tipo che a fine match li hanno dovuti districare con le cesoie. Del tipo che Sabu si è aperto un braccio e ci sono voluti, questo dice la vulgata, un centinaio di punti. Una delle tante cicatrici che disegnavano la carta geografica che Sabu aveva al posto della pelle. Questo era Sabu, che tutti quei soprannomi inquietanti mica li aveva per niente.

E mica li aveva solo perché era matto. Sabu, insieme ai suoi compagni in ECW, rappresentava un’attitudine, quell’FTW – Fuck The World che è anche stata il nome di un titolo della federazione. Fare bordello senza paura di niente e nessuno, esagerare sempre, tirarsi indietro mai, ribellione totale contro tutto e tutti. L’equivalente nel wrestling del punk. Ecco, Sabu era fottutamente punk. Lo era quando prendeva a cazzotti un fan che gli aveva tolto il copricapo mentre saliva sul ring, lo era mentre, dopo aver ottenuto un contratto con la WWE, roba che per un lottatore come lui era impensabile, si è fatto beccare mentre si fumava un sontuoso cannone alla guida insieme al suo grande amico e compagno di ring, The Whole F’n Show Rob Van Dam. Fottersene di tutto e di tutti, vivere per quei fan con la bava alla bocca che hanno reso famoso il coro che si urla nelle arene quando un lottatore fa qualcosa di fuori di testa: E-C-Dub! E-C-Dub! Alternato a Ho-ly-Shit! Ho-ly-Shit!

Infausto è tuttavia il destino del ribelle. ECW ha chiuso i battenti nel 2001, assorbita dalla WWE, perché Paul Heyman era un genio creativo ma finanziariamente non altrettanto. E Sabu ci ha lasciati, a soli 60 anni, e quando leggerai queste righe saranno passati giusto pochi giorni. Ed è simbolico che il punk più punk del wrestling muoia proprio in un periodo storico che le ribellioni le strangola, le bombarda o nel migliore dei casi le spegne annegandole in una cacofonia che le riduce al silenzio. Il fatturato è un dio demente ma inarrestabile che si mangia tutto il mondo senza che gli si riesca a mettere un freno, e nessuna contrada sembra essere più patria del ribelle. E allora, Sabu, usa la sedia, il tavolo e le corde del ring per salire fino alle stelle, e poi guidaci da lì prima di schiantarti sugli oppressori.

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