Colpiti alla gola

Francesco Barilli | Il tradrittore |

Due vittime e due fatti, diversissimi ma con analogie, hanno acceso gli animi in un paio di giorni di settembre. Le due persone sono state colpite alla gola, e sia nel primo che nel secondo caso Donald Trump ha invocato la pena di morte. Entrambi gli episodi hanno portato fino a noi l’onda di critiche feroci verso “la sinistra”, per semplificare. Nel primo caso per la blanda gestione della sicurezza e di fenomeni come la marginalità, nel secondo per aver promosso (ad avviso di politici e opinionisti ascrivibili alla destra conservatrice, sempre per semplificare) la “cultura dell’odio” verso l’avversario.

Se non sei stato lontano dal pianeta Terra i video delle due uccisioni dovresti averli visti. Altrimenti cercali, io non li pubblicherò. Se proprio arrivi da Marte (lo so, bellissimo in questa stagione!) dovere di completezza e chiarezza mi impone di darti comunque una sommaria descrizione, ridondante per molti ma necessaria per te.

Iryna Zarutska, 23 anni, era arrivata negli USA nel 2022, in fuga dall’Ucraina in guerra. È stata uccisa da Decarlos Brown, uomo senza fissa dimora e con disturbi psichiatrici, già condannato in passato per reati violenti. Le videocamere di sorveglianza mostrano Iryna salire sulla metropolitana di Charlotte, North Carolina, e sedersi di fronte all’aggressore. Poco dopo, Decarlos estrae un coltello e la colpisce più volte al collo. La ragazza in pochi secondi muore dissanguata.

La morte di Iryna mi colpisce più profondamente di quanto tu possa capire da questa stringata sintesi. Su di lei tornerò più avanti. Ora è il momento di affrontare il secondo caso.

La tragedia di Iryna risale al 22 agosto, ma la notizia qui in Italia arriva in ritardo, uno o due giorni prima del secondo omicidio di cui ti parlo. Charlie Kirk era un trentunenne molto noto negli USA, attivista ultra-conservatore seguitissimo sui social, dove aveva fidelizzato milioni di followers, seguaci del movimento Maga (Make America Great Again) e risultati decisivi nella rielezione di Trump.

I video del suo assassinio sono numerosissimi. Il 10 settembre Kirk è seduto sotto un gazebo, davanti a una folla di studenti della Utah Valley University. Viene raggiunto alla gola da un colpo di fucile, sparato dal tetto di un edificio a più di cento metri di distanza, in una nazione dove si contano più armi che abitanti. Oggi sappiamo il nome dell’omicida, Tyler Robinson. Forse le indagini faranno chiarezza su personalità e movente, su cui per ora è stato detto tutto e il suo contrario. Mi soffermo invece su questa definizione della vittima, tratta da Il Giornale on line dell’11 settembre.

Mi colpisce subito la definizione, “maestro del dibattito”. L’articolo poco più avanti la chiarisce: «Il suo omicidio è avvenuto proprio durante questi incontri pubblici nei quali Kirk dibatteva con chiunque, in maniera energica ma sempre rispettosa». Ora mi è più chiara, ma la curiosità rimane e, se possibile, aumenta. Col mio inglese livello “the book is on te tebol” mi getto alla ricerca di video di questi dibattiti. Il web mi risponde, è pieno di ragazzi/e, evidentemente oppositori di Kirk, quasi sempre giovanissimi e appartenenti a quelle minoranze da lui bistrattate, tutti e tutte affascinati dall’idea di sfidare sul piano dialettico il carismatico ideologo Maga. In questi video Kirk usa abilmente il “Gish Gallop”, tecnica di dialogo in cui si sommerge l’interlocutore (grazie dell’aiuto, Wikipedia!) con «una rapida e numerosa serie di argomenti pretestuosi, mezze verità e distorsioni in un breve lasso di tempo, il che rende impossibile per l’avversario confutarli tutti nell’arco di un’unica discussione in tempo reale. In pratica, ogni punto sollevato dal “Galoppatore alla Gish” può essere enunciato molto rapidamente, ma richiede molto più tempo per essere confutato o verificato. Lo scopo della tecnica è di sopraffare la capacità di risposta degli avversari e di introdurre il dubbio nelle menti del pubblico». In altre parole il Gish Gallop (sia chiaro, utilizzato da molti, mica solo a destra) è la definizione più elegante della teoria della montagna di merda. Se uno riempie di sterco una stanza, o una discussione, fa meno fatica di quanta ne farai tu a spalarla via. E alla fine della pulizia, o del debunking, finisce che puzzi pure tu.

Insomma, quei video mostrano una schiera di giovani liberal, ridicolizzati (oggi si direbbe “asfaltati”: beato te che ogni tanto fuggi su Marte) dal “maestro del dibattito”. Una sorta di macelleria intellettuale, un ring sbilenco fra un pugile professionista (Kirk) e giovani sparring partner senza nemmeno il paradenti.

Già conosci il tema del mese, “parlare sporco”. Inteso come parolacce, certo, ma pure come: usare le parole in modo astuto e meschino, magari per influenzare la gente. Beh, se è così il Tradrittore ora potrebbe entrare in scena e andare a nozze, spulciando fra le frasi di Kirk oppure nel mare di quelle vomitate dopo il suo omicidio per sceglierne una o più da tradurre, tradire o raddrizzare. Alla faccia del talk dirty, c’è di tutto. Ipocrisia, opportunismo, sciacallaggio, falsità, doppiopesismo, banalità. Ci sarebbe l’imbarazzo dell’abbondanza, dicevo, nel citare una sola frase-tipo, in cui odio e intolleranza vengono branditi come clave dai vari ideologi della destra, made in USA o nostrani, verso avversari o, semplicemente, malcapitati. Ricordi, per dirne una, il gelido «Non ci mancherà» di Salvini a proposito di Moussa Diarra, ragazzo originario del Mali ucciso a Verona, mentre si trovava in condizioni di alterazione psico-fisica, da un agente della polizia ferroviaria?

Preferisco farti una citazione storica.

Giacomo Matteotti è stato ucciso sei mesi prima, quando Benito Mussolini alla Camera dei Deputati tiene un celebre discorso. È il 3 gennaio 1925, il discorso è lungo e ricco di spunti. Dall’assunzione della responsabilità politica e morale della morte di Matteotti fino al preannuncio di misure severissime che si sarebbero poi concretizzate nelle cosiddette leggi fascistissime. Ne avrai sentito parlare, è uno spartiacque nella storia del ventennio, un momento in cui un regime già feroce e sanguinario si trasforma definitivamente in una schifosa dittatura.

Di quel discorso voglio proporti un passaggio meno noto.

«… una campagna giornalistica durata nei mesi di giugno, luglio, agosto, campagna immonda e miserabile che ci ha disonorato per tre mesi. Le più fantastiche, le più raccapriccianti, le più macabre menzogne sono state affermate diffusamente su tutti i giornali! … E intanto c’è un risultato di questa campagna! Il giorno 11 settembre qualcuno vuol vendicare l’ucciso e spara su uno dei nostri migliori, che morì povero. Aveva sessanta lire in tasca.»

L’uomo definito da Mussolini «uno dei nostri migliori» era Armando Casalini, deputato fascista assassinato a colpi di rivoltella su un tram a Roma, davanti alla figlia Lidia. L’omicida, un certo Giovanni Corvi, avrebbe agito per vendicare la morte di Matteotti. Non so se la vittima fosse ricca o povera, sicuramente l’omicidio fu atroce e non fu utile a nessuna causa, anzi. E non soffermarti sulla crudele ironia del calendario (sì, 11 settembre).

Ripeto, il discorso è del 3 gennaio 1925. Lascia quindi in un angolo le tante atrocità di cui Mussolini si macchierà successivamente, credo che tu le conosca ma ora non contano. Ora devi fermarti a quella data: già in quel momento l’ascesa al potere del fascismo è stata rapida e le sue azioni caratterizzate da un uso costante, nonché teorizzato e rivendicato, della violenza. Era stato proprio Matteotti, insieme ad altri, a lavorare sulla Inchiesta socialista sulle gesta dei fascisti in Italia, pubblicato nel 1922 dall’Avanti! e oggetto di successivi aggiornamenti, figurati! In parlamento, però, nel suo discorso Mussolini si scaglia contro la violenza dell’opposizione. Ti ricorda qualcosa? Credimi, NON sto facendo un parallelo ieri/oggi accostando l’attuale maggioranza al fascismo. Sto parlando SOLO di strategie comunicative alla chiagne e fotte. Strategie in cui, sotto la crosta della condanna alla violenza, se gratti bene vedi cosa c’è. La repressione del dissenso.

Ma allora ha ragione Piergiorgio Odifreddi quando dice che «Sparare a Martin Luther King o a un rappresentante di Maga non è la stessa cosa»? La domanda è di quelle insidiose. Se te la rivolgono dovresti sentirti come una protagonista di quei film horror che, con il telefono fuori uso, la casa totalmente al buio e rumori inquietanti provenienti dalla cantina, invece che barricarsi in camera accende una candela e scende le scale. Non la senti quella colonna sonora da brividi? Non basta a dissuaderti, benedetta ragazza?

Uccidere qualcuno è gesto orribile, punto. Però, occhio, la vita di un essere umano non la giudichi certo per la sua morte. Fra nascita e decesso una persona, se ha vissuto almeno una manciata di anni, fa un sacco di cose. Chiunque sia stata, giusto riconoscimento alla sua vita è giudicarla per quelle, mica solo per l’istante in cui ha chiuso gli occhi per sempre. Sarebbe ingiusto per MLK e pure, lo dico senza ironia, per Kirk. Pure un epitaffio è poco, ma almeno può essere onesto. Proviamoci.

«Martin Luther King è stato un uomo fondamentale per il progresso di civiltà e diritti, un uomo di pace, tragicamente e barbaramente ucciso.»

«Charlie Kirk è stato un […], tragicamente e barbaramente ucciso.»

Come vedi la conclusione del secondo epitaffio è uguale a quella scritta per MLK. L’incipit è da compilare. Fallo tu, poi torna su Marte e tienimi un posto, che qui l’aria si fa grama.

Ora. Può essere che tu abbia una certa considerazione di me come commentatore politico, per i miei trascorsi. Okay, qualcosa in passato l’ho scritto e di certi fatti, accantonando la modestia, posso ritenermi un discreto intenditore. Ma su tutto il resto sono una frana, non ho timore di ammetterlo.

Tutto questo per confessarti una cosa apparentemente banale: non avevo idea di chi fosse Charlie Kirk prima del 10 settembre scorso! NON sto dicendo «sapevo vagamente» o robe del genere. No, proprio non ne avevo sentito parlare, totale ignoranza mia. Appena ho saputo della sua morte sono andato a cercare informazioni… Insomma, la sua esistenza è stata, nella mia vita, totalmente ininfluente. Non così, credo, saranno le conseguenze della sua morte.

Però la celebre poesia di John Donne mi invita a sentirmi vicino a ogni morte, parte dell’umanità. Ogni campana suona anche per me, mi riguarda. Fatico a essere nobile come Donne, ma in passato ho utilizzato una frase simile di Terenzio, nell’interpretazione grafica dell’amico Simone Lucciola. Te la ripropongo.

Sono umano, dunque dovrei sentirmi vicino a ogni essere umano, ritenere potenzialmente mio ogni suo gesto. Significa che dovrei avere la capacità di provare empatia, o almeno un certo grado di comprensione, per Iryna, per Kirk e persino per i loro assassini. Difficile, ma dovrei farlo per tutti. Per oggi mi accontento del “livello 1” di difficoltà. Con Iryna l’empatia mi riesce facile, e poi te l’avevo promesso che sarei tornato a lei.

L’immagine ha una potenza terribile. L’uomo sembra enorme, lei piccola, fragile e spaventata. Lui è letteralmente l’uomo nero. Nessuna bassa allusione di natura etnica, l’uomo nero delle favole, dei peggiori incubi. Lei, vittima di una violenza incomprensibile, sembra chiedere «Perché mi hai fatto del male?». Un pensiero mi sorprende e mi consola in un modo che non vorrei: per fortuna quella paura tremenda l’ha provata per poco, non credo abbia capito che la morte sta per coglierla. Li ho contati, passano 18 secondi dall’aggressione a quando Iryna scivola incosciente fra i sedili. Un video ripreso dall’alto (pure questo non lo posto e ti consiglio di NON cercarlo: ho DOVUTO guardarlo e ti basti il mio sacrificio) la mostra mente perde coscienza e un’agghiacciante macchia di sangue comincia a spandersi sotto i sedili, verso la porta di uscita della metropolitana.

Nell’ansia di commentare la tragedia molti hanno sottolineato l’indifferenza dei presenti. La mia impressione è diversa. L’aggressione è rapidissima e le reazioni dominanti sembrano essere sorpresa e incredulità. Così come la povera Iryna, già colpita, probabilmente non realizza pienamente quanto le è accaduto, gli altri passeggeri inizialmente sembrano pensare «Cosa diavolo è successo?!». Alcuni, sì, vergognosamente passano oltre. Voglio credere che ora se ne pentano o, in caso contrario, che siano colpiti da dissenteria cronica. Altri semplicemente capiscono in ritardo e provano a soccorrere inutilmente la ragazza. Il dettaglio sulla presunta indifferenza dei presenti non è importante, se non per sottolineare il consolatorio e arrogante «Noi siamo/saremmo migliori!» di chi commenta, affermazione di cui non sarei tanto sicuro.

È in quel momento che comincio a cercare notizie su Iryna. Sono molti ad accostare la sua morte a quella di Kirk. È tutto un «We will never forget you, Charlie!», «Non ti dimenticheremo, Iryna!». Mentono, magari in buona fede ma mentono. Dimenticheremo tutto, come è naturale che sia.

Però Iryna voglio sottrarla all’oblio ancora un po’. Cerco altre sue foto. Mi soffermo su questa.

La ragazza è ritratta all’aperto, in un bosco. È in piedi, la maglietta dei Nirvana me la rende ancora più simpatica. Nessuna concessione alla sensualità. Persino il sorriso non ha nulla di seducente, è solo buffo e, ora che ne conosci il destino, spietatamente tenero nella sua spontaneità. Lei sembra semplicemente voler concedere quella sua bellezza giovane e assoluta all’autore della foto. La testa leggermente reclinata su un lato, poco o niente trucco, sorride, bella e felice. Dannatamente bella e felice, e io penso a lei e a chi dedicò quel sorriso. Un fratello, un’amica, forse il fidanzato in un attimo in cui il futuro doveva apparirle un caleidoscopio di possibilità tutte radiose.

Ho trovato un articolo che parla della commemorazione funebre, il 27 agosto, quando ancora il caso non era arrivato ad avere un’eco planetaria. Chi la ricorda dice parole banali, scontate, sincere, toccanti. Parole però esemplari, in cui l’odio è totalmente assente. Iryna è descritta come una giovane sensibile e allegra, amante dell’arte e degli animali. Vicino alla bara, uno schermo mostra in loop alcune sue foto. Le guardo tutte. La ragazza è con amiche, familiari, fidanzato. Dipinge, si scatta dei selfie, gioca con un cane, sempre con quel sorriso buffo. In tutte ha l’aria scanzonata e leggera di una a cui piaceva ridere e far ridere.

Ti ho vista morire troppe volte, Iryna, senza averti visto vivere. Per il poco che posso aver capito, ho l’impressione che tu fossi una bella persona, e che quella natura gentile l’avresti conservata a lungo. E ora anch’io, come te, mi sento colpito alla gola.

Ti è piaciuto? Condividi questo articolo con qualcun* a cui vuoi bene:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

(Quasi)