La Wilma, la Karla e le altre

Francesco Pelosi | Ritratti |
disegno di alpraz.

Fuori sembra che il disgelo sia cominciato. Qualcuno stamattina azzardava pure le maniche corte. Qualcun altro era senza sciarpa, col rischio di ammalarsi. E un raffreddore di questi tempi è una cosa pericolosa. Quasi come uscire la sera. Ma allora cosa ci fai in giro a quest’ora di notte? Sono di nuovo le dieci e tu sei di nuovo in quel bar. Quel bar che non c’è.

Stasera è pieno. C’è baracca.
Tentenni sull’ingresso, magari è una festa privata. C’è anche la musica. Sembra una di quelle feste natalizie da racconto vittoriano, con gli avventori festanti, i bicchieri pieni e il fiato che appanna i vetri. Ma è quasi primavera ormai, e le feste sono proibite. La ronda si aggira per il quartiere, non c’è dubbio. Non si sente e non si vede, ma c’è. Perché allora questa festa sembra poter continuare indisturbata?
Nell’angolo a destra del bancone un’anziana donna asiatica con i capelli viola, canta quello che deve essere stato un successo pop di tanti anni fa, ma lo fa tutto in minore, quasi che le rughe abbiano invaso anche i tasti del piano elettrico con cui si accompagna. Il resto del locale è pieno di vecchie signore con cappellacci da cowboy, sigari, sigarette e pistole alla cinta.
Ti avvicini, vorresti presentarti, brindare con loro, ma davanti a te, appena uscita dal bagno, si para la Wilma, una donna tutta d’un pezzo. Un tempo era uno sceriffo o qualcosa del genere.
«Hey, vecchia cammella», urla alla Karla, la sua inseparabile compagna di avventure e di vita, «un fiorellino di campo è volato sin qui stasera!».
«Peste! Siediti con noi, dolcezza!», ti dice quella, «stanno giusto per arrivare dalla cucina un paio di bistecche alte due dita, affogate nelle patatine fritte! Le condividiamo volentieri!».
E così, con il sottofondo di quello strano pop giapponese in minore, ti godi la cena insieme alla Wilma e alla Karla, le due ranger in pensione.

Dopo un’ora di chiacchiere e birre, la Wilma è sbronza persa. Comincia a piangere. La Karla, pulendosi la schiuma dai baffoni grigi, prova a consolarla. Piange perché suo figlio non la vuole più vedere. Da quando hanno fatto coming out si rifiuta di parlarle, dice che non la riconosce più, la disprezza.
«È proprio uno stronzo», ti sussurra all’orecchio la Karla, «ma non dirglielo alla Wilma… È all’antica, per lei la famiglia è tutto. A proposito: sai che ci sposiamo il mese prossimo? Se vuoi fare un salto, ti aspettiamo! Festeggiamo qui dal vecchio Big En, ovviamente».
Big En. In mezzo a tutta la confusione sovrastata dal suono metallico di quella Casio, lo avevi dimenticato.
Big En, al centro della festa, dorme. Con il gomito appoggiato al bancone e la faccia sdraiata sulla mano. Dorme di un sonno eterno e inamovibile, gremito di sogni.

È quasi mezzanotte ormai e d’un tratto si apre la porta del bar.
«Oh, no!» esclama la Karla, mentre anche tutte le altre signore in abito da cowboy, guardano i nuovi arrivati con terrore e tristezza.
La Wilma si asciuga le lacrime. «Ed ecco i moralisti, infine… Ce lo dovevamo aspettare!».
Le due figure sulla porta avanzano di qualche passo e così puoi vederli meglio anche tu.
L’uomo, pur avendo certamente passato l’ottantina, ha i capelli biondi e un vestito da scout indiano, con tanto di fucile a canna lunga a tracolla. Sembra un divo del cinema.
La donna, elegantissima e con i capelli corti, anche lei più che ottuagenaria, è ancora molto bella. Una diva, come lui. Ma ha l’espressione più appuntita e noiosa che tu abbia mai visto.
«Forza, signore», esclama lei, «è ora di rientrare! Vi abbiamo cercato per tutta la città. È mai possibile che dobbiate sempre rintanarvi in questi posti dalla dubbia morale? E l’alcol poi, è un’abitudine malsana tanto quanto il fumo!».
«Meno male che non ci hai messo in mezzo anche il sesso, piccola!», le dice il Biondo, strizzando l’occhio. Giancarla, così si chiama la generalessa in tailleur, si limita a guardarlo male, poi, visto che nessuno la sta ad ascoltare, si dirige con passo marziale verso la cantante dai capelli viola. È chiaro: vuole staccare la corrente, fermare la musica e far finire la festa.

«È stato un piacere conoscerti», ti dice la Karla, carezzandoti la testa e schioccandoti un sonoro bacio sulla fronte.
«Già, davvero un piacere», sottolinea la Wilma, aggiustandosi il cinturone e alzandosi da tavola. «Ma non possiamo permettere a questi censori bigotti di guastarci la festa e riportarci all’ospizio!».
E così dicendo, mentre la Karla si getta addosso al Biondo per immobilizzarlo, la Wilma va diretta verso Big En. Gli si ferma davanti, lo studia per qualche secondo e poi, delicatamente, gli solletica l’orecchio destro con le dita.
La Karla e il Biondo intanto sono avvinghiati in un’inquietante lotta fra anziani, mentre Giancarla, a quattro zampe, cerca freneticamente la presa della luce.
Big En, dopo aver scacciato due o tre volte la mano della Wilma come fosse una mosca, scuote la testa, sbatte le palpebre, spalanca gli occhi e guarda fisso davanti a sé. Sembra ipnotizzato. Tutti a quel punto si immobilizzano. Tacciono. Trattengono il respiro. E Big En, mentre la sfiancante base di pop giapponese continua in sottofondo, finalmente, starnutisce.

«CHOW!», fa.

E la Wilma scompare.
Scompare la Karla e con lei tutte le altre signore vestite da cowboy. Scompare quella riccia coi capelli rossi, quella col ciuffo lungo e nero, quella con la divisa dell’Unione.
Anche il Biondo e Giancarla, scompaiono. Persino la cantante coi capelli viola e persino Big En.
Ora nel bar ci sei soltanto tu. Tu e la sensazione di resa di ogni festa finita. Le cartacce a terra, i bicchieri mezzi vuoti, le bottiglie rotte. E un cappello da cowboy, che nella confusione è rimasto lì. Lo raccogli, te lo infili in testa, e quando fai per girarti verso il vetro del bar in cerca di uno specchio, ecco che finalmente, scompari anche tu. 

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