Cosa ci vai a fare a Gallarate se è morto Battiato?

Francesco Barilli | Il tradrittore |

Esistono tanti motivi per disprezzare i politici, anche senza rischiare di cadere nel cliché (stupido, prima ancora che populista) del “sono tutti uguali, tutti rubano, tutti [inserire banalità a piacimento]”. Ma se chiedessero A ME di scegliere UN SINGOLO elemento per cui li disprezzo direi: il banale protagonismo.
Facci caso: il politico parla di tutto. Dalla formazione della nazionale di calcio a Sanremo. Salvo poi dire, se il cantante X o l’attore Y dicono la loro su un tema di attualità, che X deve pensare a cantare e Y a recitare. Sembra che quattro voti nelle urne, oltre a dare quell’odiosa delega decisionale (quella per cui tu PENSI di partecipare alla vita della collettività quando in realtà, proprio mettendo la scheda nell’urna, alla partecipazione stai rinunciando) conferiscano un mandato a dissertare sull’universo mondo.

Però, rileggi, io ho parlato di “banale protagonismo”. Concentrati sull’aggettivo, BANALE. E quella sciatteria è amplificata oggi dall’uso dei social. NON sto magnificando i bei tempi andati (bei tempi “in quanto” andati?). Semplicemente, il dover intervenire su ogni argomento dello scibile umano, per di più nei tempi rapidi imposti dalla “dittatura dell’immediato” e facendo i conti coi pochi caratteri concessi da un tweet, non alza il livello intellettuale di un intervento. Mettici poi il carico da briscola che il tuo social manager, magari mal pagato e più scoglionato di te sull’argomento, manco verifica se quel tweet che stai inviando fa a cazzotti con qualcosa che avevi scritto/detto pochi anni prima…

Ti giuro, Mister Felpa lo cito solo perché è l’esempio più recente del twittare fuori dal vaso, ma con un po’ di impegno si possono trovare diversi esempi, assolutamente trasversali per collocazione politica. Insomma, niente di personale con lui. Non in quest’occasione, almeno.
Ecco il punto, il politico DEVE twittare su tutto: è un incontinente del commento. Sì sì, giuro, ne sono convinto: è una questione di ruolo. Di più, una missione. Twittare. Su tutto. Magari poi diventa un gioco, ma è soprattutto un ruolo.

Ma… e se lo facessimo diventare noi, un gioco? Ti ricordi quando ho decostruito un pensiero di Diego Fusaro, sottoponendolo a un lavoro di decostruzione pop?

Ecco, mi sono messo in testa qualcosa del genere. Parti dalla morte di Battiato (uno bravo sul serio), tanto per restare al recente caso di Mister Felpa. Il politico DEVE twittare. Ma non sa checcazzo dire. Manco il suo social media manager lo sa. E allora, che fare? Può affidarsi al compositore automatico della tastiera, che di solito qualcosa di senso compiuto tira fuori. Ma la faccenda del proseguire un post col T9 in realtà è un giochino che va avanti da un po’ sui social. Ci vorrebbe un’idea fuori dagli schemi… Insomma, un lavoro per il Tradrittore!

Seguimi. Conosci la Teoria della deriva?

«Per fare una deriva, andate in giro a piedi senza meta od orario. Scegliete man mano il percorso non in base a ciò che sapete, ma in base a ciò che vedete intorno. Dovete essere straniati e guardare ogni cosa come se fosse la prima volta. Un modo per agevolarlo è camminare con passo cadenzato e sguardo leggermente inclinato verso l’alto, in modo da portare al centro del campo visivo l’architettura e lasciare il piano stradale al margine inferiore della vista. Dovete percepire lo spazio come un insieme unitario e lasciarvi attrarre dai particolari.»

(Guy Debord, Théorie de la dérive, in Internationale Situationniste, n° 2, dicembre 1958; trad.it. Internazionale Situazionista, Nautilus, Torino)

La deriva è un vagare errabondo che NON è un “perdersi”, ma una diversa dimensione della conoscenza. Si collega a ciò che i Situazionisti chiamavano psicogeografia («Studio degli effetti precisi dell’ambiente geografico, disposto coscientemente o meno, che agisce direttamente sul comportamento affettivo degli individui»).

(Prima che tu ti faccia idee strane – speculari ed entrambe errate – una confessione. Io di Debord ho letto solo La società dello spettacolo, ormai diversi anni fa. Su deriva e psicogeografia le mie conoscenze sono a livello “Wikipedia+”, per intenderci… Dunque, nessuno sfoggio di cultura – che non ho – e neppure l’arroganza di proporre qualcosa di intellettualmente raffinato. Propongo solo un’analogia suggestiva a livello di approccio mentale)

Insomma, non fermarti al T9. Non fare come uno scimpanzè che pigia il primo suggerimento, ma non metterti neppure a riflettere (altrimenti fai prima a scrivere “normalmente”). Metti una canzone adatta all’argomento che vuoi trattare e danza col T9!!! Guarda le parole che ti vengono suggerite (sono almeno tre, ogni volta) e pigia coi pollicioni d’istinto, un po’ col sinistro e un po’ col destro. Segui il ritmo, su! Sinist, dest, sinist, sinist, dest, dest… ritmo, ritmo!!!

Un esempio pratico. Parliamo del DDL Zan contro l’omotransfobia (sacrosanto, sia chiaro).

In questo momento, visto che Battiato comunque VOGLIO ricordarlo, facciamo suonare Stranizza d’amuri, da L’era del cinghiale bianco. Lascio liberi i miei pollicioni e viene fuori:

«Il ddl Zan ha fatto anche la mia situazione di un bonifico fiscale e la speranza finale per le belle parole sante che non mi sono mai fatto. E non ho mai avuto una relazione mucca.»

Non una gran cosa, ma più sensato di qualsiasi cosa possa dire un Pillon qualsiasi, ammettilo…

Dunque (eccoci al momento atteso di questa rubrica, sebbene anche stavolta un po’ sui generis).

Protagonista: qualsiasi politico che DEVE twittare parole banali di cordoglio sulla morte di un grande artista. Per esempio: Franco Battiato.

VORREBBE DIRE:

«È morto [inserisci nome artista]. Dolore blabla … Maestro blablabla … ricordiamo blablabla + [inserire verso random di canzone del caro estinto].»

POTREBBE VALERE LA PENA DI DIRE

(interpretato da me, danzando col T9 al ritmo di Voglio vederti danzare, anche se la mia preferita sarebbe Mesopotamia):

«È morto Franco Battiato, che poi non disturbo e la sua vita eccessiva che non ha WhatsApp per il lavoro e il suo post su Facebook e non so cosa pensare… e sul serio e non è un rito che ti ho inviato ma è un casino…. Non so se basterebbe a te e tu senti il sindaco e non è un rito che mi ha fatto anche per me okay la mia proposta di fare un paio di cose che ho già mangiato. A che ora ti mando una cosa tipo a Gallarate?»

Un omaggio surreale e privo di senso compiuto, ma che – proprio nel suo essere privo di senso – potrebbe persino… Non lo so, prosegui col T9.

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