E quanti personaggi inutili ho indossato

Francesco Pelosi | Fuori tempo |

«Ciò che deve accadere, accadrà, perché è già accaduto».
La canzone è Eri con me, dal disco Apriti sesamo. E Franco Battiato non sembra parlare di un déjà-vu. È più un sapere già. La certezza del possibile che arriva, con precisione quasi matematica, per vie nascoste. Somiglia a un inconscio volere fermamente, un’intuitiva disposizione dell’animo che non lascia scampo. Qualcosa che ha a che fare, forse, con l’Eternalismo, la teoria dell’universo blocco, o la concezione del tempo non lineare e dell’anima di molte filosofie mistiche. «Noi non siamo mai morti, noi non siamo mai nati», canta nello stesso disco, in Testamento.

Così questa mattina (oggi è il 29 Agosto del 2014), ho aspettato Juri Camisasca nella piazzetta di Milo, alle pendici dell’Etna. Con grande gentilezza e disponibilità, Juri si è offerto di accompagnarmi a casa di Battiato. Senza di lui tutto questo non sarebbe stato possibile, e non finirò mai di ringraziarlo.
Ci fermiamo davanti all’ingresso e Juri telefona per annunciare il mio arrivo. Poi scendo dalla  macchina, ci salutiamo, e vado alla porta aspettando che mi venga aperto.
Non capisco bene nemmeno io cosa stia succedendo, ma il mio grado di presenza nel corpo è alto. Mi sento perfettamente incastrato fra le pieghe del tempo e il piano terrestre. Vivo quest’attimo sentendomi nel posto giusto.
Mi apre una signora gentile dallo spiccato accento siciliano, entro e mi fa attraversare varie stanze. In ognuna ho quasi paura di entrare. Ciò che colpisce la mia attenzione nel breve e veloce tour sono le librerie, i quadri e la luce. Quest’ultima, attraverso la grandi finestre, invade ogni oggetto che sembra composto di atomi leggerissimi, di materia rarefatta. Chi ha visto i quadri di Battiato potrà bene immaginare di cosa sto parlando. In casa sua c’è la stessa atmosfera dei suoi dipinti. Gli stessi colori e la stessa aria pacata e verdeoro.
Dopo uno stretto corridoio a mezza luce, arginato alle pareti da librerie, entro in un salotto e alla mia destra, seduto sul divano, c’è lui. Sta lavorando al computer. Ci salutiamo, mi fa accomodare e, congedata la domestica, cominciamo la conversazione.
Sono molto imbarazzato. Lui mi guarda serio e un po’ mi studia. I primi minuti saranno duri, Battiato parla poco e forse, com’è normale, cerca di capire che tipo di persona ha davanti. Io, un po’ balbettando e poi prendendo sempre più fiducia, gli racconto del libro che vorrei scrivere su Giuni Russo, del tipo di discorso che vorrei impostare, legato alla “spiritualità” nelle canzoni, e gli faccio la prima domanda.

Un’ora dopo, finita l’intervista, mi accompagna verso l’uscita, facendo una battuta sulla mia altezza. Dice che anche a lui ne hanno fatte spesso negli anni. Per un attimo il suo accento siciliano diventa più marcato. L’istante si colma di un’aria familiare, una piacevole e calda sensazione che svanisce in un attimo. Quando rivedo la scena nella memoria, me la immagino come disegnata da Jiro Taniguchi, il mangaka che più di tutti ha creato l’intimità sinestetica fra la pagina e lo sguardo.
Uscendo non posso fare a meno di notare le icone appese alle pareti. Gli chiedo se sono dipinte da Juri Camisasca. Mi risponde che due sono di Juri.

In serata assisterò, nell’Anfiteatro dedicato a Lucio Dalla, a un concerto in omaggio a Fabrizio De André, ascoltando per la prima volta Camisasca cantare dal vivo. Canterà la sua Il Carmelo di Echt e La canzone di Marinella, accompagnato da Carlo Guaitoli a pianoforte e tastiere. Quando inizia a cantare, un silenzio estremo invade il teatro. La voce di Juri è indescrivibile. Io comincio a essere scosso da brividi e a piangere. La canzone di Marinella diventa, nella sua interpretazione, l’ultimo canto sacro.
Tornato al bed & breakfast, nel silenzio della notte insulare, provo a raccogliere le impressioni di quella giornata, pregna del sentimento estatico che vivevo in quegli anni.
Scrivo: «Battiato è in questo corpo, è pragmaticamente qui, e nello stesso tempo è molto molto lontano da qui. Mi pare di intuirlo nei suoi silenzi e nei suoi studi. Veramente un essere raro.
Le porgo la mia riconoscenza, signor Battiato. Che l’Eterno sia con lei. Che la grazia l’accompagni sempre.»

Il libro su Giuni Russo è ancora fermo in un limbo fatto di diritti e decisioni mai prese.
L’intervista ogni tanto la riascolto, e il personaggio che indossavo mi provoca imbarazzo. Ma più mi allontano, più provo affetto per lui.
Gli incontri di quell’estate (oggi è il 7 Giugno del 2021), vivono in un eterno presente che sfuma, già accaduto e da venire.
Paolo, durante l’ultima riunione online di Quasi, ha detto di avermi chiamato a partecipare alla rivista che non legge nessuno, proprio per quel libro che non ho mai scritto. Anzi, che scriverò, perché già scritto.

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(Quasi)