Mi sono innamorato di Graziella

Francesco Pelosi | Affatto |

Parlare di un fumetto che non ha parole è quasi un’eresia. Sono in difficoltà dunque, lo ammetto. Voglio assolutamente scrivere di Graziella di Luca Genovese, ma lui ha privato questa sua piccola opera del mezzo attraverso il quale mi esprimo qui, e mi sembra quasi di fargli un torto.
Cercherò allora di essere breve, telegrafico, spogliando il più possibile il mio scritto di circumnavigazioni e panegirici. Andando subito al punto, come fanno le immagini. Come ha fatto lui.

Graziella è un fumetto senza parole, ma colmo di quella pura esperienza che solo il contatto diretto con le cose, solitamente, concede. Un fumetto che ti fa provare esattamente quello che ti mostra. Di più: se assecondi il suo autore nella scansione delle vignette, te lo fa provare nel tempo esatto in cui l’azione avviene sulla carta.

È un fumetto breve – 24 pagine – come ne mancano sempre più nel mercato italiano e come ne vorrei leggere ancora e ancora. Per questo motivo, e per il fatto che è muto (ma non silenzioso), lo puoi finire in cinque minuti. Ma non è detto che tu voglia farlo: potresti starci su anche mezz’ora. Tanto lo sai, che il tempo lo decidi tu. Ecco, così come è un fumetto muto ma non silenzioso (perché i due protagonisti, che non vedrai mai in faccia, li senti perfettamente negli ansimi e nei sussurri senza bisogno di onomatopee), è anche un fumetto breve ma non limitato. Nell’animo, ad esempio, potrebbe durarti per un bel po’.

Hai mai avuto una Graziella, quelle infide e straordinarie biciclettine pieghevoli, pronte a richiudersi e a farti capitombolare al minimo bullone allentato? Ricordi l’odore dell’erba, quella volta che andandoci su in due siete caduti? Il sudore del suo corpo accanto al tuo, rovesciati sul prato, mentre il sole che filtra dagli alberi vi tocca? La tensione al basso ventre, il respiro affannato, il livore delle guance mischiato al sapore nella bocca, come miele caldo? Graziella riverbera tutto questo e molto altro ancora, affidandosi completamente al segno del suo autore (si, come già annunciato dal titolo, questo pezzo è un elogio sperticato, un atto d’amore, ma non posso farci nulla: è raro trovare qualcosa di così perfetto nella forma e puntuale nel cuore, che quasi ferisce).

La maggior parte delle narrazioni italiane contemporanee, o meglio, le narrazioni italiane contemporanee che vanno per la maggiore, hanno un problema: raccontano costantemente la contemporaneità (o al massimo una contemporaneità appena passata). Certo, questo vizio è storicamente legato alla nostra letteratura (termine che uso qui in senso allargato, comprendendo anche cinema, fumetto e ogni altro tipo di narrazione di fiction): in Italia il racconto di genere, dalla fantascienza al noir, ha avuto i suoi straordinari rappresentanti, ma non è mai diventato fondante per il grande pubblico. Ci piace farci raccontare quello che viviamo tutti i giorni, ci piace vedere quanto siamo brutti e stronzi, bravi e generosi, o semplicemente mediocri, direttamente allo specchio (uno specchio consolatorio, ma tant’è). Senza mediazioni metaforiche, senza ellissi immaginifiche di tempo e spazio, additando le narrazioni di genere come infantili, oppure producendone in maniera derivativa e autosqualificante. Un grande limite, insomma.
Il contemporaneo passa subito, e il suo racconto funziona per fare satira, per corrodere meccanismi, per rivendicare diritti e evidenziare ingiustizie. Ma la coscienza si nutre anche di miti e archetipi eterni, di immagini simboliche che parlano al profondo. Di storie.

Per questo ho amato subito Bob 84 di Vincenzo Filosa e Paolo Bacilieri. Un racconto di genere, fatto e finito, con al suo interno tutte le tensioni autoriali tipiche dei due fumettisti, e colmo delle migliori suggestioni del cinema e dei fumetti degli anni Settanta del secolo scorso, a cominciare dal formato. Filosa dice che volevano rifare Diabolik, certo, si vede, ma per me hanno rifatto Magnus. Hanno portato avanti quello straordinario modo di raccontare che in un’unica pennellata mostra al lettore società, intimità e immaginazione, mettendo tutte e tre al centro e alla base della storia, con un linguaggio direttamente riconducibile al paese in cui viviamo, così come al resto del mondo (lo faceva anche PazienzaZanardi è l’esempio perfetto di questa sintesi – ma purtroppo è stato travisato).
E per questo, mi sono innamorato di Graziella. Perché è un racconto senza tempo e senza limiti, racchiuso in poche pagine e in cinque minuti di storia. Perché senza la velleità di insegnare qualcosa né di tracciare un grande affresco del mondo, fa una cosa rara: comunica intimamente con chi lo guarda.

Graziella fa parte della collana “Finestrini” di MalEdizioni, piccola casa editrice bresciana vicina al mondo dell’autoproduzione, fondata da Nadia Bordonali e Luigi Filippelli nel 2011, che ci regala spesso perle e scintille. Il fumetto di Luca Genovese esce esattamente nel decennale della loro attività, come fa notare un appunto a fine libro, mentre la quarta di copertina dice che quello che hai fra le mani è un fumetto erotico. Tu, però, non darci troppa importanza, Graziella è semplicemente un fumetto bellissimo.

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