Diritto d’autore: I casi Gianni De Luca e Romano Scarpa

Quasi | Visiting Professor |

di Michele Ginevra

Nuova premessa

Lo scritto che segue uscì sull’ottavo numero della terza serie della rivista “Schizzo” nel gennaio del 2000. “Schizzo” fu pubblicata da Arcicomics a partire dal giugno 1986 e proseguita poi assieme al Centro Fumetto “Andrea Pazienza” fino all’aprile del 2006. Uscirono in tutto 36 numeri più vari supplementi. La testata è rimasta attiva con la collana Schizzo Presenta e altre uscite rivolte alla pubblicazione di autori esordienti o sperimentali.

Questo numero appartiene a una fase in cui venivano pubblicati saggi molto ampi, provenienti anche da tesi di laurea, in un’ottica critica di approfondimento e classificazione tematica. In particolare l’argomento di apertura riguardava Grazia Nidasio, esplorata da Roberta Occhi, che rielaborava la sua tesi discussa nel 1995 presso l’Università degli studi di Bologna, Facoltà di magistero, Corso di laurea in Pedagogia, relatore Antonio Faeti. Si parlava inoltre di Geppo, Igort, Mattotti, Pazienza, vari festival italiani ed esteri, con ulteriori interventi. Oltre alla mia e quella della Occhi, c’erano (in ordine di apparizione) le firme di: Luca Boschi, Edo Chieregato, Andrea Brusoni, Giovanni Formento, Gabriele Ferrero, Marco Pellitteri, Andrea Rossetti, Carlo Cattivelli, Andrea Tardito, Francesco Mazzetta, Paolo Interdonato, Giuseppe Peruzzo, Claudio Curcio, Carlomaria Pilloni, Angelo Molinari, Igor Prassel, Mario Benenat, Giuseppe Azzoni, Alvise Mattozzi, Barbara Boaglio, Dario Morgante, Emanuele Di Giorgi, Salvatore Oliva, Carlo Ardissono e Marco Cottarelli.

Trovo ancora corretto e utile quanto scritto all’epoca, anche se nel frattempo molte cose sono cambiate. Se allora la possibilità di rientrare in possesso delle proprie tavole originali rappresentava almeno un risarcimento parziale dei guadagni immoralmente trattenuti da certi editori, oggi la digitalizzazione di molte fasi creative e produttive ha permesso di superare il problema alla radice: l’autore può inviare direttamente i file di stampa e, anzi, un numero crescente di autori disegna direttamente in digitale. Contemporaneamente il mercato degli originali è esploso e alcuni pezzi hanno raggiunto cifre incredibili, pari al valore di appartamenti e pietre preziose.

Altre dinamiche invece rimangono purtroppo attuali, come il riconoscimento di una giusta remunerazione per le opere realizzate, pur in presenza di contratti assolutamente validi e corretti, e dei diritti d’autore nel caso di collaborazione a personaggi altrui e a properties estere. Dunque la morale di questo studio rimane valida: comprendere come funziona il diritto d’autore e tutelarsi, con la consapevolezza del proprio lavoro creativo.

Ho così apportato pochissime modifiche. Ringrazio Paolo e Boris per aver voluto riproporlo.

Michele Ginevra

Premessa originaria

«Non è più come una volta». Nonostante i tanti gravi problemi, le tante ingiustizie e l’assenza di una normativa specifica, gli editori riconoscono agli autori maggiori diritti. In particolare, la proprietà delle tavole originali viene sempre più spesso attribuita all’autore che le ha realizzate, indipendentemente dalla paternità dei personaggi raffigurati. Non mancano però le situazioni in cui l’attribuzione del diritto di proprietà rimane a favore della parte più forte, l’editore. Nel corso della realizzazione della mia tesi sul diritto d’autore[1], da cui è tratto il presente saggio, ho cercato sentenze che facessero luce su questo problema. Nell’esaminare il materiale raccolto, tenete conto che nel nostro sistema giuridico le sentenze non costituiscono un precedente a cui sia obbligatorio uniformarsi nel corso di procedimenti successivi, anche se possono essere utilmente richiamate. Ogni decisione del giudice si basa sulle leggi vigenti[2] e sulla loro interpretazione.

La ricerca si è rivelata estremamente difficoltosa. Nonostante fossi a conoscenza di numerosi conflitti sorti tra autori ed editori e tra gli stessi autori, in rarissimi casi questi sono sfociati in procedimenti conclusi con sentenze. Lo scarso peso economico del fumetto rispetto al volume complessivo degli affari dell’editoria italiana, i lunghi periodi necessari per concludere le cause civili, la sproporzione tra le spese da sostenere e i disagi da affrontare rispetto al valore economico dei diritti di cui si richiede il riconoscimento, la soggezione preventiva nella quale l’autore, desideroso di pubblicare, si trova verso l’editore, sono le cause principali di questa situazione.

Le sentenze seguenti riguardano due autori importantissimi per la storia del fumetto italiano, Gianni De Luca (colonna portante de “Il Vittorioso” e de “Il Giornalino”) e Romano Scarpa (autore Disney tra i più apprezzati nel mondo). In entrambi i casi, l’autore ha cercato di ritornare in possesso dei propri originali. L’esposizione non sarà breve, ma è necessaria in questa forma soprattutto a beneficio degli autori più giovani (che drizzino bene le antenne…). I lettori di “Schizzo” perdonino il linguaggio tecnico, ma si parla di cose assai concrete, con risvolti anche poco piacevoli. Per cui è opportuno tentare di essere precisi. Non mancheranno considerazioni e analisi, che sono disponibile a confrontare.

Il caso “De Luca contro Azione Cattolica”

L’autore De Luca Fortunato Giovanni aprì un contenzioso verso l’Azione Cattolica Italiana per la restituzione delle sue opere originali e il conseguente risarcimento danni in materia di    diritto d’autore. All’udienza tenutasi il 19 maggio 1989, l’avvocato di De Luca chiedeva la restituzione delle tavole originali utilizzate dall’editore o, in alternativa, un adeguato risarcimento[3]. La convenuta (l’Azione Cattolica) concludeva, invece, per il rigetto della domanda dell’attore in quanto infondata di fatto e di diritto, previo rigetto delle avversarie richieste istruttorie in quanto irrilevanti e comunque inammissibili. De Luca chiamava in giudizio l’A.C.I., dinanzi al Tribunale di Roma, con atto di citazione notificato il 26 maggio 1982. Rappresentava di essere l’autore di numerosi fumetti pubblicati nel corso degli anni sulle testate “Il Vittorioso” e “Il Corrierino”, di cui era stata editrice la G.I.A.C. (“ramo” dell’Azione Cattolica) e successivamente l’Azione Cattolica subentrata alla prima dal 12 ottobre 1970; in  particolare le pubblicazioni de “Il Vittorioso” erano cessate nel 1966. L’attore affermava di aver realizzato per la convenuta ben 631 disegni, tra tavole e illustrazioni, di cui chiedeva la restituzione o il pagamento del controvalore. La convenuta, costituitasi, chiedeva il rigetto della domanda perché infondata.

La decisione veniva comunicata all’udienza del 29 gennaio 1990[4]. Il collegio giudicante accolse in parte la domanda attrice. Dall’esame della documentazione agli atti risultava essere intervenuto tra le parti un contratto di edizione, secondo quanto previsto agli artt. 118  e segg. in riferimento alle opere collettive di cui all’art. 38 della Legge speciale, concernente la pubblicazione su vari giornali di «storie narrate secondo il sistema dei fumetti (successione di riquadri disegnati e testo inserito a corredo dell’azione raffigurata – proprio così viene definito il fumetto), realizzate dall’Autore; nell’ambito delle obbligazioni di detto contratto appariva compreso l’obbligo a carico dell’Editore di conservazione e restituzione degli originali consegnati dall’autore (ciò può desumersi “a contrario” da quanto statuito nell’art. 43 della Legge speciale secondo cui l’editore non è tenuto a conservare o restituire i manoscritti non pubblicati che sono prevenuti senza sua richiesta). Si ravvisavano elementi attestanti che l’attore sin dal 1971 aveva chiesto la restituzione delle tavole. Peraltro, per il periodo anteriore al 1955, le parti risultavano aver sottoscritto un accordo valido a tutti gli effetti in cui si pattuiva la cessione a titolo definitivo alla G.I.A.C. di tutta la produzione portata a compimento sino a quel momento. Il collegio giudicante riteneva che il tenore letterale e logico della scrittura andasse nel senso che, in cambio del corrispettivo, la cessione aveva riguardato non solo il diritto di utilizzazione economica ma anche la proprietà dello stesso oggetto materiale costituito dagli originali. Il diritto alla restituzione poteva essere fatto valere dall’autore solo per gli originali realizzati successivamente al 1955. Sulla base della valutazione    compiuta    dal Consulente Tecnico d’ufficio (Rinaldo Traini), il valore degli originali non restituiti veniva fissato in lire 20.000.000 (equivalenti a 10.329,14€ di oggi). L’A.C.I. aveva tempo 30 giorni per restituire gli originali. Trascorso il termine scattava l’obbligo di pagare l’importo stabilito, con gli interessi nella misura legale della domanda, a titolo di risarcimento del danno subito dall’attore.

La sentenza dava ragione, almeno in parte all’autore, il quale, però, aveva dovuto attendere molto tempo (vent’anni a partire dal giorno in cui chiese all’Editore la restituzione di ciò che gli apparteneva e otto a partire dal giorno della citazione in giudizio) per ottenere giustizia. Appena in tempo: sei mesi dopo la lettura della sentenza De Luca morì.

La sentenza apparentemente costituisce un contributo importante per la regolazione dei diritti d’autore delle opere a fumetti. Il principio fissato dalla corte giudicante è che, nell’ambito di un contratto di edizione, il materiale originale consegnato dall’autore deve essere conservato e a lui restituito. La mancata restituzione comporta l’obbligo del risarcimento danni da parte dell’Editore. In questo caso, l’Editore, non solo non era in grado di effettuare alcuna restituzione, ma aveva venduto parte delle tavole ad un terzo, l’editrice Spada che, nel 1978, ripubblicò alcune storie. Ma la decisione finale non ha soddisfatto completamente l’Autore. I difensori della convenuta erano riusciti a far valere un contratto risalente al 1955 per cui l’Autore aveva ceduto ogni diritto di utilizzazione sull’opera, e quindi anche sugli originali. L’Avvocato Mario Marchetti, rappresentante dell’Autore, aveva argomentato in senso contrario. Innanzitutto eccependo riguardo alla validità di quel contratto, carente nell’oggetto. Le opere che si pretendevano cedute non erano indicate, cioè né determinate né determinabili, aprendo la strada all’applicazione degli articoli 1325 (requisiti del contratto) e 1346 (oggetto del contratto) del Codice Civile: quel contratto era da ritenere nullo. In secondo luogo, essendosi comunque verificato un rapporto contrattuale avente come causa il trasferimento dei diritti di pubblicazione in cambio di un corrispettivo, l’autore onorava il contratto consegnando sì le tavole originali, veicolo fisico dell’opera immateriale,  ma costituenti  a loro volta  un ”corpus unicum” separato.  Infatti, una volta fotografate le tavole, l’editore non aveva più bisogno degli originali. In caso di ristampa, aveva la possibilità di utilizzare gli impianti esistenti. Invece l’autore avrebbe potuto utilizzarli in altre forme: come quadro-oggetto ornamentale, come modello ornamentale per cartotecnica e stoffe, per cederlo a terzi collezionisti e anche per stipulare nuovi contratti con altri editori, naturalmente rispettando la Legge e i patti stipulati. In effetti, il vero danno subito da De Luca consisteva nell’impossibilità di poter far realizzare nuove edizioni che raccogliessero definitivamente le opere da lui create. De Luca, uno dei più grandi autori italiani, ritornato titolare dei diritti di utilizzazione sulle opere create per l’Azione Cattolica Italiana, avrebbe potuto finalmente aspirare a vederle ripubblicate in edizioni di prestigio, magari di formato diverso. Era necessario tornare in possesso degli originali, anche perché egli non poteva neppure effettuare delle nuove riproduzioni dalle pagine su cui erano stampate le sue opere, in quanto troppo porose e dai colori ormai sfumati. Un’edizione poteva essere tentata, ma con risultati non all’altezza della qualità dell’autore e delle aspettative degli appassionati.

In base a questi elementi, la decisione del giudice di primo grado è da contestare per la parte riguardante le opere anteriori al 1955, in quanto la cessione di tutti i diritti di utilizzazione economica non può che riguardare l’opera come bene immateriale. Il passaggio di proprietà degli originali impedisce all’autore l’esercizio dei suoi diritti residui esistenti durante il periodo di validità del contratto, o complessivi una volta scaduti i termini. L’editore non ha bisogno di essere proprietario degli originali per esercitare il diritto di pubblicazione. La proprietà degli originali può essere trasferita solo con un preciso accordo separato dal contratto di edizione o analoghe fattispecie. Tanto è vero che uno dei principi cardine della Legge speciale consiste che, salvo casi particolari esplicitati in appositi articoli, il trasferimento di ogni diritto di utilizzazione deve essere provato per iscritto. A maggior ragione, il trasferimento di un bene  mobile così importante come l’originale non può accompagnare automaticamente i diritti di utilizzazione. E l’art. 43 (l’editore non ha l’obbligo di conservare materiali pervenuti senza una sua richiesta) della Legge speciale, utilizzato al contrario per comprovare l’esistenza del diritto dell’Autore a ricevere indietro i propri originali, non può essere fatto valere solo per le parti di opere collettive acquisite con un contratto di edizione.

In questo modo, l’effetto finale della sentenza esaminata ha il sapore di una beffa ai danni dell’Autore (beneficiario di un risarcimento quasi ridicolo) perché non ha sanzionato adeguatamente i comportamenti “disinvolti” dell’Editore, riuscito persino ad ottenere un ricavo grazie alla vendita a terzi del materiale non proprio. Inoltre la proprietà delle tavole originali permane in capo all’autore solo in presenza di un contratto di edizione, principio confermato nella decisione che segue.

Il caso “Scarpa contro Mondadori”

La problematica ritorna in una famosa causa, la cui sentenza finale è pubblicata[5]. Il procedimento ha visto opposti l’autore Romano Scarpa e l’editore Mondadori. La controversia riguardava la pretesa dell’Autore di riavere le tavole originali relative a circa quattrocento storie con personaggi Disneyani, pubblicate su Topolino e su altre testate italiane e straniere. Il processo si è articolato in due gradi. In primo grado Scarpa si rivolgeva al Pretore di Milano convenendo la Spa Mondadori. Scarpa esponeva di aver realizzato numerose opere, su incarico dell’Editore, tra il 1953 e il 1988. L’attività veniva svolta presso il «proprio domicilio, con materiali propri e larga autonomia creativa». Fino al 1972 non era stato  stipulato alcun contratto scritto. I rapporti economici venivano regolati, prima e dopo tale data, da fatture indicanti come causale la cessione del diritto di riproduzione e la cessione del diritto di autore. Scarpa chiedeva la restituzione delle tavole all’indomani della scadenza definitiva del contratto tra Walt Disney Production e Mondadori, avvenuta nel 1988[6]. In seguito alla risposta negativa dell’Editore, Scarpa ricorreva al Giudice, sostenendo che ogni singola cessione per il diritto di riproduzione per la stampa del fumetto doveva essere inquadrata nello schema del contratto di edizione e che pertanto l’esemplare originale dell’opera doveva rimanere all’autore. La mancata restituzione comportava il risarcimento del danno. La Mondadori resisteva spiegando di essere licenziataria, su concessione della Walt Disney Productions (unica titolare dei diritti di autore sulle opere create da Walt Disney), del diritto di pubblicare in esclusiva in Italia le storie create e pubblicate dalla concedente e di crearne e pubblicarne di nuove basate sugli stessi personaggi. Inoltre, in base agli accordi stipulati, l’Editore italiano doveva consegnare alla casa madre tutti i negativi e i disegni utilizzati. Infine si sosteneva che i contratti stipulati fossero contratti di lavoro autonomo, per cui la restituzione di quanto richiesto era da escludersi a priori. L’attribuzione della proprietà degli originali all’Editore era poi una consolidata prassi pluriennale. Scarpa aveva già avanzato un’analoga richiesta nel 1981. Nonostante il rifiuto raccolto proseguiva la sua collaborazione con l’Editore. Mondadori terminava spiegando che, anche se Scarpa avesse dovuto ritornare in possesso degli originali, non avrebbe comunque potuto utilizzarli a causa delle esclusive a favore della W.D.P., «circostanza che escludeva l’esistenza di un danno risarcibile». Il Pretore respingeva la domanda con sentenza pronunciata il 7 febbraio 1990.

Scarpa appellava alla sentenza del Pretore, rivolgendosi al giudice di secondo grado, il Tribunale di Milano, Sezione Lavoro. Scarpa insisteva nel qualificare come contratti di  edizione le varie cessioni operate, negando la sussistenza di qualsiasi contratto d’opera. L’unico diritto trasferito era quello di utilizzazione, non quello sul bene necessario per l’esercizio dei diritti di utilizzazione. Il diritto sul bene (la tavola originale) non poteva essere ceduto a terzi. Le richieste avanzate in primo grado dal disegnatore  venivano replicate, così come le opposizioni dell’Editore, che indicava il contratto d’opera come lo schema utilizzato per regolamentare i termini della prestazione richiesta a Scarpa e affermava di aver acquisito tutti i diritti di utilizzazione senza limiti di utilizzazione e con compenso a stralcio. L’Editore aggiungeva che le storie non erano ideate da Scarpa ma rientravano in un canovaccio preesistente e ideato da Walt Disney. L’Autore era tenuto a rispettare i comportamenti tipici dei personaggi. La pretesa restituzione del materiale in questione non era quindi in alcun modo fondata.

Anche il Giudice di secondo grado respingeva l’appello del ricorrente (Scarpa).

La motivazione è ampia e ricca di spunti. Innanzitutto viene affrontato il problema della esatta identificazione del tipo di contratto vigente tra le parti, elemento fondamentale ai fini della decisione. Entrambe le parti concordano, infatti, che l’esistenza del contratto di edizione[7], regolamentato dall’art. 118 e seguenti della Legge speciale, comporti l’obbligo di restituzione delle tavole. Viceversa, l’esistenza del contratto d’opera, previsto dall’art. 2222 del Codice Civile, implica il trasferimento definitivo della proprietà degli originali.

Il Giudice ritiene che il negozio intercorso tra le parti sia qualificabile come contratto d’opera. I dati formali, cioè le fatture di pagamento, sono definiti “ambigui”. Non tali, quindi, da qualificare con certezza il rapporto. Il periodo di 35 anni di rapporto tra le parti viene suddiviso in quattro periodi. Le fatture emesse i primi anni non contengono alcun dato utile. In un secondo momento compare la dicitura “prestazione” professionale. In un terzo periodo viene formalmente indicata la “cessione di diritti di riproduzione”. Dal 1972 si applica un contratto quadro, valido per tutti i collaboratori della Mondadori, dove si specifica la cessione del diritto di autore “senza limiti di tempo, territorio e numero di edizioni”. Il Giudice conclude che le diverse indicazioni riguardano una stessa “realtà sostanziale, rimasta immutata nel tempo quanto all’oggetto e alle modalità di attuazione”. Le stesse parti rifiutano di ammettere il susseguirsi di diverse figure negoziali, propendendo per un unico inquadramento contrattuale. Il Giudice ritiene, inoltre, che il modello del contratto di edizione non è in alcun modo evidente. La sentenza recita: “… nel terzo periodo la formale e menzionata cessione dei diritti di utilizzazione descrive piuttosto l’effetto di un negozio che non la sua struttura” e infatti la giurisprudenza e la dottrina concordano nel non ritenere il contratto di edizione l’unico tale da produrre gli effetti presi in considerazione. Anche il rimando all’art. 130 della 633/41, contenuto nel contratto vigente nel quarto periodo, va inteso solo come criterio per la determinazione del compenso. Lo sforzo interpretativo deve andare nella direzione di risalire all’oggetto vero del contratto.

Gli elementi certi sono che: 1) L’Editore si rivolge all’Autore per compiere un lavoro di realizzazione di fumetti aventi come protagonisti i personaggi appartenenti all’universo disneyano; 2) Scarpa accetta la proposta e vi da esecuzione realizzando quanto richiesto presso il proprio domicilio e con i propri mezzi. Sono gli elementi caratteristici del contratto d’opera, per cui una parte si obbliga nei confronti dell’altra a compiere una determinata opera, al contrario del contratto di edizione dove è l’autore a proporsi all’editore. Il Giudice definisce il rilievo comunque indiziario, dato che il contratto di edizione può riguardare anche opere create su commissione. Indiziario ma utile, in quanto manca completamente l’oggetto del contratto di edizione: l’opera dell’ingegno. Il Giudice distingue tra l’opera dell’ingegno e “l’esecuzione o specificazione artistica ancorché di altissimo pregio”. Romano Scarpa ha l’incarico di elaborare fumetti appartenenti all’universo disneyano, cioè “l’attuazione di un’opera di esecuzione e specificazione che presupponeva e doveva muoversi all’interno di un’invenzione già definita”. La Mondadori  sostiene di non poter commissionare un’opera originale, atto di appropriazione di una  “invenzione altrui”: il conseguente contratto avrebbe un oggetto impossibile.

In base al principio di conservazione[8], il contratto va salvato “nella direzione possibile e non smentita da altre risultanze”, per cui è stata pattuita “l’effettuazione di un’opera di attuazione nei modi del fumetto dell’invenzione originaria e quindi nell’ambito del contratto d’opera”. Scarpa non ha creato un’opera originale, ma ha lavorato su una creazione altrui, i cui personaggi hanno caratteristiche fisiche e psicologiche da rispettare. La domanda del disegnatore deve essere respinta perché proprio le tavole originali sono l’oggetto del contratto, l’opera commissionata che, dopo essere stata eseguita, è acquisita dall’Editore in ragione del compenso pagato.

La sentenza fin qui riassunta contiene una decisione che ha determinato un risultato diverso da quella che aveva visto opposti De Luca e l’Azione Cattolica Italiana. Al disegnatore non è stata riconosciuta la proprietà delle tavole originali. Gli elementi, però, che hanno orientato entrambe le decisioni sono analoghi. Innanzitutto la qualifica di autore, riconosciuta a De Luca ma non a Scarpa. In secondo luogo lo schema di contratto adottato tra le parti: la stipula di un contratto di edizione comporta la restituzione delle tavole, la stipula di un contratto d’opera include il trasferimento della proprietà delle tavole, così come la cessione di tutti i diritti di utilizzazione economica.

Scarpa è stato per trentacinque anni solo un prestatore d’opera e non un autore. Non solo. La Mondadori non avrebbe comunque potuto commissionare opere dell’ingegno basate su personaggi disneyani a terzi. Quindi, Scarpa non poteva realizzare opere originali. Purtroppo su questo punto fondamentale vengono dati per certi troppi elementi. Innanzitutto si riporta testualmente nella sentenza che la Mondadori aveva il “diritto di pubblicare in esclusiva … le storie già create e pubblicate dalla concedente e di crearne e pubblicarne di nuove basate sugli stessi personaggi”. L’utilizzo del verbo    “creare”, dall’inequivocabile contenuto, sta a significare che i casi sono due: o questo passo    contraddice il successivo dove si sottolinea l’impossibilità per la Mondadori di commissionare opere originali disneyane oppure occorre riconoscere che alla Mondadori era stato trasferito il diritto di creare un qualche tipo di opera, che non contrastasse però con le opere originarie. Essendo concessionaria di tale diritto di utilizzazione, Mondadori ha stipulato vari contratti con disegnatori e sceneggiatori professionisti per creare opere da pubblicare sul settimanale Topolino e sulle altre testate del gruppo. Si tratta di identificare quale genere di opera poteva creare l’editore italiano. Mondadori poteva utilizzare i personaggi disneyani (tra l’altro non tutti creati da Walt Disney[9]), rispettandone le caratteristiche grafiche e psicologiche. A questo punto il problema da risolvere è se le storie edite da Mondadori possono essere considerate opere dell’ingegno, pur essendo basate su personaggi già esistenti.

Nel nostro ordinamento manca una definizione di opera dell’ingegno. Sia il Codice Civile che la Legge speciale elencano le categorie di opere protette. Le caratteristiche che differenziano le opere dell’ingegno dalle altre elaborazioni umane sono due: il loro carattere creativo e la destinazione specifica di rappresentazione intellettuale, diretta, almeno potenzialmente, ad una comunicazione con il pubblico. L’opera così connotata sembra coincidere con un’unità narrativa o estetica compiuta.

Il caso in esame riguarda opere che si basano su personaggi già esistenti. E’ doveroso, allora, porsi il quesito se la realizzazione denominata “personaggio” sia un’opera dell’ingegno. L’interrogativo è stato posto dalla dottrina in quanto la categoria “personaggio” non rientra nell’elenco delle opere protette. Una prima considerazione a favore della tutelabilità del personaggio è che le voci presenti in detto elenco non sono esaustive. Ma ciò non basta per riconoscerne la qualifica. Eppure il ruolo che i personaggi hanno assunto nella nostra società è rilevante.

Scrive lo studioso Massimo Pavolini[10]: “Nella maggior parte dei casi nelle fiction sono proprio i personaggi di fantasia ad essere maggiormente ricordati; i personaggi delle opere letterarie o dei cartoni animati rappresentano, il più delle volte, l’elemento più importante delle opere in cui sono inseriti; gli stessi autori hanno un grande interesse affinché venga loro riconosciuta la paternità dei personaggi… che potrebbero costituire la base di futuri sequels …”. Lo studioso prosegue presentando il quadro giurisprudenziale relativo alla tutela dei personaggi negli Stati Uniti e in Italia. L’ordinamento giuridico statunitense è molto diverso dal nostro. Non è possibile operare un raffronto normativo. Due sono però gli aspetti in comune tra i due paesi. Nel Copyright Act del 1976 i personaggi non sono menzionati, così come nella L. 633/41. Le corti statunitensi hanno affrontato il problema della loro tutela e, così come in Italia, hanno emesso sentenze che sono andate per lo più nella direzione della protezione[11]. In Italia, dal 1933[12] i nostri giudici hanno sancito più volte la protezione dei personaggi di fantasia. In particolare la sentenza    della    Pretura    di Roma, riguardante il personaggio James Tont[13], ha fissato due criteri di valutazione dell’originalità del personaggio: 1) il grado di sviluppo e il livello di caratterizzazione; 2) “la possibilità (o il dovere) di interpretare nella maniera più ampia possibile le categorie di opere comprese nell’art. 2, della legge sul diritto d’autore”. Un’altra sentenza ha riguardato i personaggi disneyani. La Walt Disney Company conveniva in giudizio gli editori Tattilo e Publishing Magazine[14], responsabili di aver pubblicato alcuni servizi di carattere erotico che abbinavano alcune modelle ad attori mascherati da Topolino e Jessica Rabbit. Il Tribunale accoglieva la domanda della Disney, specificando che la tutela dei diritti di utilizzazione economica dei personaggi, in questo caso di fama mondiale, “non può essere circoscritta alla pedissequa imitazione delle vicende originali o all’abusiva utilizzazione del personaggio in altre storie o film …”.

Lo studioso Pavolini ritiene comunque non sufficiente la tutela garantita ai personaggi di fantasia, non essendo ancora pacificamente ammesso il concetto di vita indipendente del personaggio di fantasia. Nonostante ciò, la giurisprudenza è riuscita a tutelare i personaggi, riconoscendone la qualifica di opere dell’ingegno, in attesa che nuove disposizioni di legge riempiano la lacuna esistente.

Se il personaggio gode di una sua autonoma protezione, ci troviamo davanti a due categorie di opere dell’ingegno, distinte ma profondamente legate tra loro: l’opera “personaggio” e l’opera “storia”. Entrambe sono delle creazioni. Entrambe sono riconducibili a degli autori. Ogni storia consiste in una composizione di elementi che possiamo riassumere in: l’ambientazione, i personaggi, il messaggio, la trama. Un’opera di questo tipo si distingue dalle altre per l’originalità con cui questi elementi sono sviluppati e interconnessi tra loro e costituisce una creazione a sé stante, compiuta e fruibile come    tale.    Il personaggio, che nel caso del fumetto presenta sia l’aspetto della personalità che quello della caratterizzazione grafica, può essere invece più volte riutilizzato e, quindi, fruito nell’ambito di più opere, una per una create nel corso del tempo.

Torniamo al caso in esame. Si è già detto che può capitare che le storie aventi come protagonista un determinato personaggio non siano proseguite dall’autore originario ma da altri professionisti. Possiamo definire anche questi autori? Sì. Anche se il collaboratore, ingaggiato per lavorare a nuovi episodi, deve rispettare ambientazione, modo di stendere la trama, caratteristiche del personaggio, sicuramente produrrà, alla fine, un’opera che potrà distinguersi dalle altre, magari per il diverso stile grafico, per il finale a sorpresa o anche per il particolare andamento della trama. Se così non fosse, basterebbe riprodurre all’infinito la stessa opera a fumetti. Invece c’è una larga fascia di pubblico che desidera sempre novità nella continuità. A questo punto è necessario introdurre una nuova tipologia autoriale che rappresenta un livello creativo fondamentale nella produzione dei fumetti seriali: l’autore della serie. Sembra un’osservazione scontata, ma non è così. Molti personaggi come Tex, Dylan Dog e Martin Mystére contano sull’apporto creativo di autori che lavorano a singole storie i cui protagonisti sono stati creati da altri e che rientrano in intrecci narrativi di lungo periodo, concepiti e seguiti dagli autori originari. Anche la serie deve essere considerata un’opera dell’ingegno. Serie, storia e personaggio sono i tre concetti chiave attorno a cui ruota ogni opera a fumetti seriale. E’ anche il caso di molti personaggi Disney, protagonisti di migliaia di storie realizzate da centinaia di autori diversi. Per questi personaggi, il concetto di “serie” va applicato su scala nazionale. Il Paperino italiano è diverso da quello brasiliano. Per rimanere su Paperino (Donald Duck) c’è da osservare che ha avuto più creatori, come è ormai noto[15]. Probabilmente disegnato per la prima volta da Ferdinand Horvath (animatore) o da Albert Hurter (animatore), è stato poi ripreso e sviluppato da Al Taliaferro (disegnatore), Bob Karp (sceneggiatore), Jack Hannah (sceneggiatore) e Carl Barks (disegnatore e sceneggiatore). I contributi di questi autori sono talmente rilevanti che è impossibile attribuire la paternità di Paperino ad uno solo di questi e non è ugualmente possibile non definirli autori. L’immagine che noi abbiamo del simpatico papero è il risultato di una continua stratificazione di storie e situazioni dovute all’apporto di più autori, a tal punto che possiamo parlare di Paperino come di un personaggio a “creazione progressiva”. Se gli autori citati hanno contribuito in modo fondamentale a dare vita al personaggio, non per questo può essere negato agli autori successivi, statunitensi e no, di aver creato singole storie particolarmente originali e creative.

Nel valutare se Romano Scarpa possa essere qualificato come autore dobbiamo tenere conto di tutti questi elementi e del ruolo effettivo che ha avuto nella produzione di storie italiane con personaggi disneyani. In particolare, la critica fumettistica ha più volte delineato e celebrato la sua figura[16]. Romano Scarpa ha anche vinto, nel 1995, il premio Yellow Kid alla carriera. Una carriera fortemente voluta dall’autore, ma iniziata per caso. Nel 1955, l’agenzia che distribuiva il materiale Disney ai giornali decise di imporre all’editore di non produrre più storie lunghe. Le opere a fumetti disneyane proseguirono solo nel formato striscia autoconclusiva giornaliera, a parte l’eccezione costituita dai comic books di Barks. In Italia usciva con successo da anni il periodico Topolino, che si basava inizialmente proprio sulle storie lunghe precedentemente realizzate negli Stati Uniti. Già allora venivano pubblicate storie di autori italiani, ma si trattava di una produzione limitata. La carenza di materiale originale spinse l’editore italiano a crearne di nuovo. Scarpa era un grande appassionato di storie Disney e si era già proposto qualche anno prima. La circostanza favorevole gli permise di centrare l’obiettivo che si era da sempre prefissato: realizzare storie Disney. Il contributo dato da Scarpa deve qualificarsi come creativo. Le ragioni sono molteplici. Innanzitutto l’autore ha scritto e disegnato storie celeberrime come Topolino e il mistero dell’uomo nuvola, Topolino e la dimensione Delta, Topolino e la collana Chirikawa, Topolino e l’uomo di Alcatraz, Paperino e la leggenda dello Scozzese Volante, Paperino e l’uomo di Ula-Ula, Paperino e le lenticchie di Babilonia e l’elenco potrebbe proseguire a lungo. La critica ha messo in rilievo la capacità di Scarpa di tratteggiare psicologicamente i personaggi, di tessere trame avvincenti e mai banali, di inserire notazioni satiriche o moralistiche, di introdurre sapienti citazioni. L’autore ha sicuramente attinto dall’universo disneyano e dai suoi personaggi, ma ha saputo rielaborarlo utilizzando invenzioni narrative personali, tali per cui le opere Disney a fumetti entrate nell’immaginario collettivo degli italiani non sono solo quelle realizzate dagli autori statunitensi, ma soprattutto quelle elaborate dagli autori italiani: da Scarpa a Cavazzano, da Carpi a Bottaro, da De Vita a Martina… Non è vero che Scarpa si sia semplicemente inserito in un canovaccio preideato da Walt Disney, come ha sostenuto Mondadori. Ugualmente non è vero che l’opera di esecuzione o di specificazione si muovesse all’interno di un’invenzione già definita, come ha argomentato il Giudice. Va inoltre ricordato che la persona fisica di Walt Disney non è la creatrice di tutti i personaggi ad essa associati (Disney è stato soprattutto un geniale coordinatore e organizzatore del lavoro creativo altrui: la sua vera “opera dell’ingegno” è stata la realizzazione del suo impero economico culturale), attribuire a lui la paternità di tutto ciò che è definito “Disney”, anche quando prodotto dopo la sua morte (!), significherebbe, oltre che violare il diritto morale dei veri autori, conferire al nome “Disney” quasi un potere magico di attrazione su tutto ciò che ha come protagonista Topolino o personaggi analoghi (ma il potere del capitale può questo ed altro…).

Riprendendo il rilievo relativo al presunto “canovaccio preideato”, un’ulteriore riprova della relativa parentela con le creazioni Disney è costituita dal fatto che Scarpa ha preso spunto,  per sviluppare le trame, anche da autori del cinema, come Alfred Hithcock. Invece, il Tribunale di Milano ha dato per scontato che tutti i tratti caratteristici delle opere disneyane fossero stati delineati dall’autore originario. Non è stato così. Pur rimanendo apparentemente fedele alla tradizione, per quanto riguarda alcuni elementi di fondo della psicologia dei personaggi, Scarpa ha oggettivamente rielaborato e innovato l’universo Disney, addirittura introducendo nuovi personaggi come Gedeone De Paperoni, Atomino Bip Bip, Bunz, Zia Topolinda, Sgrizzo, Paperetta Ye Ye, Trudi (la compagna di Gambadilegno), Filo Sganga e Brigitta (l’eterna pretendente della mano di Paperone). Gli ultimi tre, in particolare, più volte utilizzati, hanno assunto la statura di veri protagonisti e arricchito autorevolmente l’olimpo dei personaggi disneyani. E per concludere, gli studiosi hanno perfino trovato in albi Disney, realizzati negli Stati Uniti, delle citazioni di antecedenti episodi di Romano Scarpa[17].

Il mancato riconoscimento della qualifica di autore a Romano Scarpa, ingaggiato per creare nuove storie Disney, rappresenta l’aspetto più sconcertante della sentenza. Non si comprende come si sia potuti arrivare ad un simile risultato senza entrare nel merito specifico delle sue opere, perché in nessun altro modo possono essere definite, e far discenderne la qualifica sia dalle presunzioni sopra esposte che dal tipo di contratto adottato. Criticate le prime, non può essere lo schema di quest’ultimo ad attribuire ad una realizzazione umana lo status di “opera dell’ingegno”. Stabilire il contrario significherebbe espropriare l’autore dei suoi diritti morali nei casi in cui questi abbia maldestramente (o perché costretto) stipulato un negozio sbagliato. Quando, invece, la Legge attribuisce il diritto morale al creatore dell’opera, non al contraente più furbo o potente. In questo quadro, la Mondadori era perfettamente autorizzata a commissionare la creazione di nuove storie, rispettando le caratteristiche di fondo dei personaggi già esistenti. Se a Scarpa, e agli altri autori, non doveva essere concesso di apportare le numerose innovazioni creative che conosciamo, la Mondadori poteva sempre rifiutare le relative storie realizzate. Non lo fece. Non subì alcun danno. Anzi ne ottenne incredibili benefici economici (le storie Disney italiane sono tradotte in tutto il mondo). E’ quindi ingiusto non riconoscere ciò che è giusto agli artefici di questo piccolo miracolo economico-culturale del fumetto italiano a causa dell’avidità e del cinismo del potente di turno.

La proprietà delle tavole originali: Ulteriori riflessioni

Entrambe le sentenze esaminate hanno associato il trasferimento dei diritti sull’opera al trasferimento dell’originale, a meno che non sia stipulato il contratto di edizione o un patto contrario. Eppure la natura intrinseca delle opere dell’ingegno per immagini, destinate alla riproduzione in più copie, è in contrasto con l’associazione data per scontato dalla giurisprudenza. I moderni sistemi di fotocomposizione e stampa, come già detto, permettono di pubblicare e ristampare a piacimento tutte le opere dell’ingegno di questo tipo, come i fumetti, le illustrazioni e le fotografie. Basta disporre delle pellicole. L’opera dell’ingegno a fumetti, proprio per la sua caratteristica di essere fruibile contemporaneamente da un numero illimitato di persone, è un bene immateriale. E’ questo il bene oggetto del trasferimento, non la tavola originale, il cui passaggio deve essere espressamente pattuito. Il confronto con altre categorie di opere può rinforzare questa opinione. Le opere musicali, per essere duplicate necessitano di un “master” cioè un supporto speciale in cui è impressa la migliore esecuzione degli interpreti. Il “master” è analogo alle pellicole di stampa. Entrambi sono destinati a durare nel tempo, anche più degli “originali”. Le voci e le musiche si sono dissolte nell’istante dell’esecuzione. Il disegno del fumettista è destinato a durare decenni, ma anche la    pellicola, se ben conservata, ne rappresenta la vera versione definitiva, quella che arriva al pubblico. L’avvento dell’informatica ha reso così inutile la distinzione tra copia e originale. Grazie all’uso degli adeguati supporti magnetici, un software può essere pubblicato in un numero illimitato di copie esattamente identiche all’originali, in pratica “originali” a loro volta. Ciò non fa che confermare l’immaterialità di questa categoria di opere dell’ingegno, la cui riproducibilità è possibile grazie all’esistenza di determinate tecnologie più che dei manufatti originali. E’ quindi perlomeno discutibile ritenere oggetto di un contratto d’opera la tavola originale. Il prestatore d’opera adempie il contratto compiendo l’opera o il servizio concordati. In questo caso il prestatore d’opera svolge un lavoro intellettuale e l’originale ne è il veicolo materiale. Salvo patto contrario, tale manufatto deve essere riconsegnato a chi l’ha realizzato. Non può neanche essere fatta valere, come ha sostenuto la Mondadori, l’obbligazione a carico della Mondadori di consegnare il materiale realizzato, disegni e pellicole, alla Walt Disney Production. Semmai è l’editore statunitense che si può rivalere verso quello italiano che non si è premurato di ottenere il titolo (cioè il tipo di contratto) corretto per conseguire il trasferimento degli originali di Scarpa. Ha scarso rilievo anche la circostanza per cui l’Autore ha proseguito la sua collaborazione con Mondadori: aveva forse altra scelta?

Invece, ha rilievo, apparentemente, la circostanza che l’autore abbia ceduto tutti i diritti di utilizzazione economica senza limiti di tempo. Il nuovo titolare di detti diritti potrebbe progettare altre versioni dell’opera, diverse dalla prima, e avere la necessità di produrre nuovi impianti per la stampa. Anche in questo caso i ritrovati della tecnologia ci vengono in aiuto con le seguenti soluzioni: realizzare un fotocolor, cioè un’immagine di alta definizione da cui possono essere tratti tutti i tipi di impianti necessari, oppure scannerizzare l’immagine e conservarla in appositi registratori magnetici. In passato mancavano queste opportunità. L’editore aveva sicuramente diritto a trattenere in possesso l’originale per il periodo necessario al suo trattamento. Ma anche allora, prima o poi, o comunque su richiesta, l’editore era tenuto a restituirlo. Come già spiegato, l’autore poteva volerlo vendere o, magari, esporlo in una mostra. Se l’editore ne avesse ancora avuto bisogno, l’autore poteva tranquillamente riconsegnarglielo per la nuova elaborazione.

In conclusione, la sentenza esaminata non appare convincente ad un esame approfondito. L’impressione è che la causa sia stata male impostata dalla parte attrice che si è inutilmente impegnata nel far riconoscere che il rapporto instauratosi tra le parti consistesse in un contratto di edizione, quando, al contrario, il vero problema era quello di ottenere dal Giudice il riconoscimento della qualità di autore, scendendo nel merito del lavoro realizzato da Scarpa in trentacinque anni. L’esame doveva riguardare questo punto e, come si è visto, gli elementi favorevoli a questa tesi sarebbero stati numerosi e, forse, decisivi.

Ma l’atteggiamento giurisprudenziale continua ad essere particolarmente restrittivo su questo punto, come conferma una recente sentenza che ha visto opposti il famoso disegnatore Walter Molino, appena scomparso, e gli editori Universo e Telesette[18]. La controversia non riguarda opere a fumetti ma opere dell’illustrazione. Molino chiedeva la restituzione dei propri bozzetti originali. L’Autore riconosceva di avere ceduto tutti i diritti di utilizzazione economici, specificando che questi non comprendevano il trasferimento della proprietà degli originali. L’Autore, inoltre, aggiungeva che il contratto di lavoro autonomo che lo legava ai due editori aveva ad oggetto un facere e non un dare. La consegna degli originali era finalizzata esclusivamente a rendere possibile la loro riproduzione. Non era intervenuto nessun accordo circa la proprietà di tali disegni. Al limite erano le due società editrici che dovevano dimostrare che la cessione dei diritti comportasse anche quella dei disegni. Entrambi i gradi del processo respingevano la domanda di Molino. Pur riconoscendo che anche i bozzetti e le caricature possono rientrare tra le opere figurative protette dalla 633/41, si argomentava che la Legge non allude alla distinzione tra corpus mysticum, l’opera come bene immateriale, e corpus mechanicum, supporto fisico in cui essa si materializza. Come criterio di valutazione, la Corte riteneva di scegliere quello della verifica della “relazione funzionale tra la proprietà del corpo dell’opera originale e l’esercizio dei diritti su di essa riconosciuti al suo autore ed aventi causa”. Avendo le due società acquisito “sui bozzetti e le caricature realizzate dall’appellante in corso di contratto d’opera la piena ed esclusiva titolarità di tutti i diritti di utilizzazione” e l’appellante non rivendicando altro che la proprietà degli originali, ne conseguiva che il trasferimento del “corpo materiale dell’opera diventi il veicolo sufficiente ed indispensabile per l’esercizio dei diritti trasferiti”. La Corte aggiungeva che la riproduzione delle immagini in questione e l’esercizio di tutti gli altri diritti richiedevano la disponibilità degli originali. Gli adattamenti tecnici necessari erano irrealizzabili senza questi. L’Autore, al contrario, in quanto titolare dei diritti morali non aveva la necessità di mantenere la proprietà degli originali. La Corte concludeva “In mancanza di riserve o condizioni di qualsiasi genere frapposte alla tradizione la consegna delle tavole originali viene in definitiva ad atteggiarsi come mezzo al fine…”. Alla sentenza pubblicata segue un commento di Paolo Guido Beduschi[19], il quale definisce nuova la questione e richiama come unico precedente la sentenza Scarpa c. Mondadori. Il commentatore rileva che la Corte sembra aver ribaltato il principio contenuto nell’art. 109 della Legge speciale, che esclude il trasferimento del diritto di riproduzione in caso di cessione del suo supporto materiale, stabilendo al contrario che il trasferimento del diritto implica la cessione dell’originale. Beduschi prosegue la sua analisi interrogandosi se sia veramente certo che l’utilizzazione dell’opera dell’arte figurativa richieda necessariamente la disponibilità del suo supporto fisico, soprattutto in considerazione delle nuove tecniche provenienti dal settore dell’informatica. Inoltre Beduschi si chiede se “non sia più idoneo, per il bilanciamento degli opposti interessi, considerare la consegna dell’originale un obbligo connesso all’esecuzione del contratto, da restituire all’autore una volta esaurito lo scopo”. Il commento di Beduschi prosegue in modo acuto con un richiamo all’art. 119, che riserva all’autore, anche nelle cessioni in assoluto, i diritti attribuiti da leggi successive che comportino una protezione più ampia nel contenuto e nella durata. Recentemente sono stati allungati da 50 a 70 anni i termini di protezione dei diritti. La maggiore estensione del termine va a beneficio dell’autore o dei suoi eredi e legatari. È evidente che l’indisponibilità degli originali impedisce l’esercizio dei diritti. Beduschi aggiunge un ulteriore riflessione che, in questo caso, avrebbe potuto avere rilievo decisivo. Accordarsi con un artista di chiara fama, come Molino, per riprodurre le sue opere non significa certo acquistarne la proprietà. Se nulla fosse specificato, basterebbe “confrontare il corrispettivo determinato tra le parti e i valori di mercato delle opere dell’artista”. L’interesse del committente è quello di riprodurre, non collezionare opere d’arte, quali sono quelle realizzate da Molino, che altrimenti avrebbero dovuto essere adeguatamente pagate. A questo commento non c’è molto da aggiungere se non che, su questa problematica, l’orientamento giurisprudenziale ha prodotto decisioni che, in base a diversi criteri e principi, hanno respinto o solo parzialmente accolto le domande degli autori e approvato i comportamenti assai discutibili degli editori.

Epilogo: successivamente alla discussione della mia tesi, sono state pubblicamente poste in vendita tavole originali di autori Disney italiani a partire da £ 300.000 (154,94€) l’una. A testimonianza delle bontà delle argomentazioni sopra esposte, è stato stipulato un apposito contrattino di cessione degli originali tra l’editore e i rispettivi autori, remunerati con una cifra sostanzialmente simbolica. Si dice che l’eroico Bottaro non abbia voluto firmare. Agli specialisti disneyani il compito di approfondire.


Note

[1] La Tesi, intitolata Il diritto d’autore e l’opera a fumetti, è stata discussa presso la facoltà di Scienze Politiche della Statale di Milano, il 24/3/98. La tesi è stata poi premiata a Expocartoon con il Premio “Mario Marchetti” (consistente in un milione di lire – 516,46€) dedicato al compianto avvocato esperto di diritto d’autore.

[2] La legge di riferimento sul diritto d’autore è la L. n. 633 del 22 aprile 1941, che ha subito parecchie modifiche, soprattutto riguardo alla durata dei diritti (prima o poi, qualunque opera è destinata a diventare di dominio pubblico, cioè utilizzabile economicamente da chiunque). Presso le librerie giuridiche (come la Giuffrè di Milano) è possibile reperire ottimi manuali che spiegano nel dettaglio la Legge (d’ora in poi, per “Legge speciale”, si intende quella sul diritto d’autore). Scegliere i più aggiornati se cercate la Legge e tutti gli altri riferimenti necessari. Un testo semplice e chiaro, che spiega bene i meccanismi del diritto d’autore, è invece il seguente: Giorgio Jarach,   Manuale del diritto d’autore, Mursia, Milano 1991.

A dimostrazione delle carenze della dottrina italiana sull’argomento, si veda il volume: Benoit Van Asbroeck (a cura di), Droit d’auteur et bande dessinée, Bruylant, Bruxelles, 1997.

[3] Ecco le richieste specifiche avanzate dall’Autore: a) accertare e dichiarare il diritto dell’attore (De Luca), quale autore, alla restituzione degli originali delle opere consegnate all’editore per la riproduzione a mezzo stampa; b) accertare e dichiarare che l’Autore aveva consegnato all’Editore de “Il Vittorioso” per riproduzione a mezzo stampa sul detto periodico e su pubblicazioni di vario genere le opere descritte in un elenco a parte; c) accertare e dichiarare la proprietà della testata “Il Vittorioso”, dalla fondazione ad oggi, come sempre detenuta dalla Azione Cattolica Italiana; d) per l’effetto condannare la convenuta (l’Azione Cattolica) alla immediata restituzione delle opere elencate in favore dell’attore quale autore esclusivo e titolare di tutti i diritti di utilizzazione economica; e) in difetto della restituzione e in via alternativa condannare la convenuta a rifondere all’attore il valore delle opere, occorrendo anche ex art. 2041 C.C., se del caso proporzionalmente e conseguentemente alla mancata restituzione, in tutto o in parte, delle opere determinando l’indennizzo, nel totale, in L. 100.000.000 o in quella somma che si riterrà giusta; f) ordinare il pagamento della somma, in favore dell’attore, che sarà stata come sopra determinata oltre rivalutazione monetaria ed interessi sino al soddisfo. Infine l’attore chiedeva di ammettere prova per testi sulla circostanza che De Luca, in occasione di incontri avuti nel novembre 1971, nel 1972 e 1973 con il segretario dell’A.C.I. e i direttori editoriali e amministrativi dell’Associazione, richiedeva la restituzione delle proprie tavole disegnate ricevendo assicurazioni di risarcimento economico.

[4] La    sentenza è inedita e mi è stata consegnata dal compianto avvocato Marchetti.

[5] Vedi Il Diritto di autore, n. 2 ,1993, da pag. 273.

[6] La Walt Disney Production americana    creò la Walt Disney Company Italia che, dal 1988, gestisce i diritti di tutto il materiale Disney italiano. Per la cronaca, l’attività dell’azienda italiana ampliò considerevolmente il fatturato relativo alla gestione delle opere Disney, rispetto ai livelli raggiunti dalla Mondadori, aprendo anche una scuola (l’Accademia Disney) per disegnatori.

[7] Il Contratto di edizione è descritto dagli articoli che vanno dal 118 al 135 della Legge speciale e riguarda i diritti di utilizzazione che l’autore concede all’editore. Una volta stipulato il contratto di edizione, l’editore, al pari dell’autore, può agire a difesa dei suoi diritti sull’opera. Il contratto d’opera e regolato dagli articoli che vanno dal 2222 al 2228 del Codice Civile. Con questo contratto, il prestatore d’opera si obbliga a compiere un’opera o una prestazione dietro corrispettivo, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincoli di subordinazione verso chi gli ha commissionato il lavoro.

[8] Il principio enunciato dall’art.1367 Codice Civile: il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono produrre qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbe avuto alcuno”.

[9] Topolino (Mickey Mouse) fu creato da Walt Disney con l’apporto di Ub Iwerks, Pippo (Goofy) apparve come comprimario in un cortometraggio diretto da Disney ma acquisì le sue ben note caratteristiche grazie all’ingegno di Floyd Gottfredson che ha creato graficamente anche Eta Beta (Eega Beewa) assieme allo sceneggiatore Bill Walsh. Zio Paperone (Uncle Scrooge) e la Banda Bassotti sono stati creati da Carl Barks. Per ulteriori riscontri vedi le relative voci in Franco FOSSATI, Fumetti, Mondadori, Milano,1992.

[10] Vedi Tutela dei personaggi di fantasia negli Stati Uniti ed in Italia o “sei personaggi in cerca di diritto d’autore in Il Diritto di Autore, n. 3, 1995, da pag. 405.

[11] Meritevoli di menzione sono il criterio elaborato dalla dottrina e i due metodi di valutazione formulati dalle corti statunitensi: 1) il duality approach, che presuppone lo smembramento del personaggio nelle due componenti del nome e della caratterizzazione, proteggendo il primo attraverso i principi della concorrenza sleale e il secondo tramite il diritto di autore; 2) il Nichols Test, in base a cui il personaggio deve essere sufficientemente delineato e il personaggio che si ispira a quello originale deve strettamente imitare il personaggio da cui prende spunto; 3) Sam Spade Test per cui il personaggio è tutelabile se sufficientemente delineato nell’ambito della storia in cui è inserito. I criteri elencati esprimono la necessità pratica di affrontare il problema e la varietà di soluzioni delineate, che garantiscono la protezione, in particolare, anche dei personaggi disneyani.

[12] Corte di Cassazione, 22 giugno 1933, Mottura ed altri c. Soc. Filli Bempoard, in Rivista del diritto d’Autore, 1933, pag. 307.

[13] Pretura di Roma, 2 maggio 1976, Grimaldi c. Donati, Carpentier ed altri    in Rivista del diritto d’Autore, 1966, pag. 390.

[14] Tribunale di Milano, 1a Sezione Civile, 28 giugno 1992, Walt Disney co. c. Tattilo Ed. S.p.A. e Publishing Magazine S.r.l. in    Il diritto di autore, 1993, pag. 278.

[15] Vedi il numero monografico dedicato alla figura di Walt Disney in Paralleli n. 6, aprile 1992. Ma vedi anche    Topolino n. 2011, 14 giugno 1994, che ufficializza definitivamente le origini “composite” di Paperino.

[16] Tra tutti i testi e articoli redatti su Scarpa si veda il capitolo “Romano Scarpa e la filologia disneyana” in Luca BOSCHI, Leonardo GORI, Andrea SANI, I Disney italiani, Granata Press, Bologna, 1990. In generale, si raccomanda la lettura dell’intero libro.

[17] Carl Barks cita in The Flying Duthman (1959), l’episodio di Scarpa Paperino e la leggenda dello Scozzese Volante (1957), pubblicato su Topolino n.174 e n. 175. La segnalazione è a pag. 102 di I Disney Italiani (op. cit. vedi nota 16)) corredata da due illustrazioni tratte dagli episodi nominati e che dimostrano inequivocabilmente la somiglianza delle situazioni.

[18] Sentenza pronunciata il 17 marzo 1995 dalla Corte di Appello di Milano e pubblicata in Il diritto industriale, n. 3, 1996, pag. 233 e segg.

[19] Vedi nota 18.

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