Tre psicologə per Wonder Woman

Tiziana Metitieri | Spaziami |

Lo psicologo William Moulton Marston creò Wonder Woman nel 1941 solo tre anni dopo Superman e due anni dopo Batman con l’intento di diffondere un nuovo modello di donna che avrebbe governato il mondo.

Marston, come ha raccontato Jill Lepore nel libro del 2014 The Secret History of Wonder Woman, voleva combattere l’idea che le donne fossero inferiori agli uomini e ispirare le ragazze ad avere fiducia in sé e nei traguardi da raggiungere nelle professioni monopolizzate dagli uomini.

Tra i suoi diversi interessi, l’intraprendente psicologo, studiava le differenze nelle reazioni emotive tra donne e uomini ma, al contrario dei pionieri della psicologia scientifica dell’epoca, aveva un intento non discriminatorio, valorizzando in alcuni casi la migliore capacità decisionale delle donne.

Hugo Münsterberg che insegnò anche all’università femminile di Radcliffe oltre che ad Harvard, era un oppositore sia dell’istruzione femminile sia del voto alle donne. Per quanto ci fossero delle scienziate che avevano pubblicato studi degni di nota, si trattava di eccezioni, perché nella grande massa femminile, per Münsterberg, prevaleva l’inclinazione ad apprendere più che a produrre. Si poteva, quindi, anche tollerare l’istruzione femminile a patto che avvenisse con l’unico scopo di nobilitare il matrimonio. Lewis Terman, oltre a contribuire allo sviluppo dei test di intelligenza, inventò una misura che individuasse la mascolinità e la femminilità, considerando devianti tutti i casi che si discostassero dalla media. Per il comportamentista John B. Watson, il femminismo stesso era una devianza: la femminista era una donna che non riusciva ad accettare di non essere un uomo.

In questo contesto culturale e scientifico la creazione di un fumetto con una protagonista femminile era rivoluzionaria.

Le imprese di Wonder Woman rappresentavano anche un omaggio a Elizabeth Holloway e Olive Byrne, le due donne della vita di Marston che incarnarono le rivendicazioni femministe dell’epoca.

Il ménage anticonformista e segreto dei tre si consolidò a partire dal 1925 e li vide vivere insieme per il resto delle loro vite. La versione pubblica raccontava che Byrne era rimasta vedova e i Marston si erano offerti di aiutarla in cambio dell’aiuto in casa e con i bambini. Il padre dei quattro figli di casa era William Marston.

Conosciamo meglio il trio di psicologi che diede vita a Wonder Woman.

William Moulton Marston (1893-1947), studiò ad Harvard e ottenne il dottorato in Psicologia nel 1921. Insegnò all’Università di Washington e poi alla Tuft di Medford. Nel 1915 costruì un poligrafo per misurare la pressione arteriosa sistolica, che ipotizzava fosse un indice della variazione nelle reazioni emotive di un soggetto a una serie di domande. Marston si proclamava pubblicamente inventore della macchina della verità che, però, ebbe diversi sviluppatori, tra i quali Vittorio Benussi che nel 1914 costruì uno pneumografo per misurare le variazioni respiratorie dei testimoni in situazioni di verità e menzogna. Il laboratorio di psicologia però a Marston non bastava e così si impegnò ad applicare le sue ricerche a casi di rilevanza pubblica e a collaborare con istituzioni governative.
Nel 1922 fu interpellato nel processo a carico di James Alphonso Frye, accusato di aver ucciso un noto medico. Fu il primo processo in cui veniva portata in tribunale la macchina della verità che salvò Frye dalla pena di morte, nonostante in appello non fossero stati considerati i risultati del test ma il giudice tenne conto delle argomentazioni di Marston.
La macchina della verità dopo quel processo fu ammessa come prova nei tribunali statunitensi e, usata in modo indiscriminato, vi è rimasta fino al 2003, quando l’Accademia delle Scienze in uno specifico rapporto definì la gran parte della ricerca sulle applicazioni del poligrafo “inaffidabile, non scientifica e pregiudiziale”. 
Il 6 marzo 1923, ad alcuni giorni dalla conclusione del processo di appello per Frye, Marston fu arrestato per truffa nel caso di bancarotta di una società creata con due collaboratori. Non ci fu il processo ma lo scandalo – l’inventore della macchina della verità arrestato per falso! – gli costò i rapporti con il Dipartimento di Psicologia e l’insegnamento universitario. Diede allora avvio a una serie di altre avventure professionali, da solo o con collaboratori, che ebbero alterne fortune.
Nel 1938, ad esempio, fu protagonista della pubblicità dei rasoi Gillette, affermandone la maggiore qualità, senza sufficiente validità scientifica, con una tipologia di slogan in voga ancora oggi: «9 uomini su 10 testati dal Dottor Marston preferiscono i rasoi Gillette». Fu poi consulente a Hollywood, dove le sue teorie furono di riferimento per i film Frankenstein (1931), Dracula (1931) e L’uomo invisibile (1933). Alla proiezione del film Dottor Jekyll e Mister Hyde (1931) testò la reazione del pubblico, misurando con degli appositi polsini la pressione arteriosa sistolica degli spettatori. Per Marston, «nessuna sceneggiatura di successo può avere un contenuto emotivo universale a meno che non sia fortemente condita con l’erotismo». Gli sceneggiatori dovevano quindi conoscere la psicologia di genere e applicare le sue leggi sulle emozioni alla costruzione delle storie, a seconda del pubblico al quale erano destinate.

Elizabeth Holloway Marston (1893-1993) studiò psicologia e giurisprudenza. Nel 1915 sposò Marston e collaborò in modo attivo alle ricerche con la macchina della verità. Lavorò inizialmente in ambito universitario, poi come segretaria, redattrice e consulente assicurativa. Rappresentò la sicurezza economica della famiglia allargata e andò in pensione nel 1958 quando tutti e quattro i giovani Marston erano all’università.
C’è un asteroide che porta il suo nome: (101813) Elizabethmarston = 1999 JX7 = 2001 AM46

Olive Byrne (1904-1990), studiò psicologia alla Radcliffe, la sezione femminile dell’Università di Harvard ed ebbe Marston come professore. Era figlia dell’attivista femminista Ethel Byrne e nipote di Margaret Sanger. Nel 1926 fu ammessa al dottorato in psicologia dell’università Columbia. Quando andò a vivere con i Marston, si occupò principalmente della crescita dei suoi due figli e dei due figli di Elizabeth.
L’asteroide che a lei è stato dedicato è: (102234) Olivebyrne = 1999 TK20

Nelle varie storie di Wonder Woman si rintraccia la vita delle studentesse nelle università femminili, la macchina della verità e il terribile Duca della menzogna, l’auspicio di una donna presidente, il nemico Dottor Psycho, un professore di psicologia che vuole riportare le donne americane alla schiavitù, alle catene e alla cattività, ecc.

Ogni numero del comic book a lei dedicato a partire dal 1942 aveva anche una rubrica sulle biografie di scienziate, scrittrici, atlete, infermiere e altre donne che in quegli anni si distinguevano per le loro attività.

Ben presto i fumetti entrarono nel dibattito pubblico e si scatenò il panico morale, come fino a qualche mese fa accadeva per i videogiochi e continua a succedere per gli altri prodotti digitali. Superman, Batman e Wonder Woman iniziarono a essere visti da alcuni personaggi di rilievo come un pericolo pubblico, mentre giovani lettori e lettrici vi si appassionavano sempre più. Alla crociata contro i fumetti non mancò lo psichiatra Fredric Wertham che organizzò un simposio dal titolo La psicopatologia dei fumetti, durante il quale Gershon Legman attaccò sia William Marston, per aver creato, in Wonder Woman, una donna mezza nuda che lincia le sue vittime, sia Lauretta Bender, per aver dato una giustificazione psichiatrica alla produzione dei fumetti. Lauretta Bender era la psichiatra che dimostrò, attraverso le sue ricerche, una relazione positiva tra fumetti e comportamenti: per i bambini, i fumetti rappresentavano una forma di risoluzione dei conflitti, della confusione, della frustrazione e dell’ansia e costituivano quindi una via per canalizzare l’aggressività. Bender riteneva che, se c’era qualcosa nella cultura popolare americana che influenzava negativamente le ragazze, non era Wonder Woman ma Walt Disney, dato che nei suoi film le madri venivano sempre uccise o mandate in manicomio.

Tuttavia, come ricostruisce Francesco Milo Cordeschi in Wonder Woman. Un’amazzone tra noi appena pubblicato da Armillaria: «i precetti di Wertham si sono radicati nei comparti produttivi e distributivi. Parole come crime non devono più avere spazio sulle copertine. L’uso scenico del sangue è proibito. Le storie devono essere epurate da qualsivoglia riferimento al mondo delinquenziale, specie se coinvolge ufficiai federali, industriali o rappresentanti dei governi locali. Fu un cambio di rotta drastico, di cui risentirono non poche icone su carta».

«Questo», scrive Boris Battaglia nella Prefazione, «è un ottimo libro che, nell’occasione dei suoi ottant’anni, colma un vuoto (non esistono, ad esempio, edizioni italiane di due saggi fondamentali come quello di Jill Lepore e quello di Noah Berlatsky) su un personaggio così rilevante del nostro immaginario come Wonder Woman».


Questo articolo è una versione riveduta e adattata di Le origini di Wonder Woman: gli psicologi statunitensi, una macchina della verità e un ménage à trois

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