«Custodi dei vivi e dei morti»

Francesco Pelosi | Ritratti |

[Negli episodi precedenti: se proprio vuoi, puoi rileggere tutto da capo qui]

«Lo so, se hai avuto la pazienza di leggermi fino a qui, attraverso tutti questi fumetti e questi autori di fumetti che ti sto raccontando, avrai certamente notato il mio tono sarcastico. Perdonalo, è solo un vezzo o al massimo una debolezza, niente di più. Quello che spero ti sia arrivato è invece l’amore che provo verso quest’arte e verso i suoi autori. Tutti, anche se non li capisco (o non li sopporto), hanno il mio rispetto. Tutti loro contribuiscono a creare il mio immaginario e a farmi sentire, nonostante tutto, in un bel mondo. Questi occhi che mi hanno regalato gli autori di fumetti, me li son trovati in faccia da bambino e i primi che me li hanno riempiti di gioia sono stati proprio loro tre, i più grandi: Milos Baffo, Errantes e Il Biondo. Quasi come fossero un’unica entità, quei tre re si imprimono eternamente sul paesaggio del mio inconscio con i loro segni di matita e china.»

Fumetto. Un canone necessario di Alessandro Paoli (Oblò APS, 2017)
Il disegno è di alpraz.

Adesso.
«Allora, da che punto della storia vuoi cominciare?»
A poco a poco, nel mezzo di un bagliore bianco, si delinea una figura. È il vecchio Mago, e ti sta parlando. Tu guardi fisso la sua bocca che si muove lentamente. Articola parole più simili a formule esoteriche, intervallandole, quasi una per una, con il fumo delle silk cut ininterrotte fra le labbra.
«Certo, resta ancora da capire chi sei tu», ti dice.
Il Mago veste un impermeabile logoro, e sotto ha un completo altrettanto sgualcito. Ha la barba e i capelli biondi e lunghi, questi ultimi raccolti in una grossa coda dietro la nuca. Le mani, grandi, rugose e avvizzite, sono tempestate di anelli di ogni forma e dimensione.
Ti passa un foglietto e un potente dejà vu ti scuote. Aprendolo ti aspetti ancora una volta una rivista rivoluzionaria stampata in bianco, nero e rosa. E invece -ancora- c’è solo un disegno. Sembra la ruota di una bicicletta.
«Te l’ho già detto», fa lui, «gli antichi egizi vedevano la nostra anima come il centro di una ruota dalla quale partono infiniti raggi».
«Ognuno di quei raggi é una vita che viviamo», continui tu, «una nostra incarnazione o una fantasia sulla quale ci intestardiamo, un sogno…».
Il Mago aspira lungamente dalla sua silk cut. Poi butta fuori tutto e in quella nuvola di fumo ti sembra per un momento di poter leggere le sue parole, che proseguono le tue: «La vita che crediamo reale, quella che consideriamo il presente, è solo il raggio su cui la nostra anima é concentrata in questo momento. Quello che potremmo chiamare una storia».
È a questo punto che ti guardi intorno: sei nel bar che non c’è.
Big En dorme sul bancone, Testa Grossa è seduto a quel tavolo laggiù in fondo e qualcuno sta suonando una vecchia canzone (non vedi, ma di certo è quella gattina con la chitarra).
Oh, no!, pensi. Era tutto un sogno, come nei racconti peggiori!
«Non esattamente», ti dice il Mago, rispondendo ai tuoi pensieri, «ma ci sei quasi. Certo, se continui a venire qui, ci sarai sempre e soltanto quasi…»
Lo guardi e non capisci. Ma ti accorgi che hai ancora addosso il trench. Frughi in tasca e le armi magiche sono ancora tutte lì: la Sparinchiostro che fa CRACK, il Gommartello che fa BONK e la Matita-da-battaglia che fa ZAC.
Il Mago aspira ancora dalla sigaretta e quando espelle il fumo capisci che ciò che hai intravisto prima non era un effetto ottico. La sua voce è muta. Quel che ti sta dicendo lo leggi direttamente nella nuvola.
«Non siamo in un sogno. Siamo al bar che non c’è, ma siamo anche nella pancia del gigante. Non siamo né prima né dopo. Siamo adesso. Non hai letto lassù in alto, dove comincia il racconto?»
Una pausa. Aspira, espira, nuvola di fumo.
«Siamo al centro della ruota. Da qui puoi vedere tutte le storie contemporaneamente… Ma questo non ti esenta comunque dai tuoi compiti. Ti ho portato qui, dopo tutto quello che è successo per–»
«Ma cos’è successo esattamente?», lo interrompi. «Ho i ricordi confusi, mi sembra di aver fatto avanti e indietro fra due linee temporali, non so più dire cosa è successo prima o dopo!»

Il Mago sorride.
«È una storia complessa questa. Se proprio vuoi, rileggila da capo tutta in una volta. Vedrai che capirai meglio. Ti basti sapere che  anch’io sono un Archetipo dell’Immaginazione e che dovrai fare fuori anche me».
D’improvviso lo scenario cambia e siete nella Galleria Dozzinale, al cospetto del Re dalle tre facce, Milos Baffo, Errantes e Il Biondo.
«Dovrai far fuori me, che sono l’Archetipo del Mago, neanche a dirlo, e dovrai far fuori loro… l’Archetipo del Sovrano».
Sapevi che sarebbe finita così, ma non ne puoi di tutta questa violenza.  
«E la bambina? Awa? È stata rapita dall’Ombra, io… Io non ho potuto impedirlo».
Il Mago ti poggia una mano sulla spalla, mentre vi dirigete al cospetto del Re, che ti guarda impassibile dai suoi sei occhi profondi.
«Di lei riparleremo nella terza stagione. Questa storia ha un finale sospeso, poi vedremo se avrà tempo e spazio per continuare. Siamo letti da pochissime persone, esistiamo solo nell’etere, virtuali come i pixel che stai guardando per ascoltare le mie parole. Vedremo come andrà. Ma se vuoi salvare la bambina, dovrai prima capire chi sei tu. Ormai è la terza volta che te lo chiedo, è il momento di rispondere».

Ora, se vuoi, puoi fermarti qui. Non continuare a leggere. Puoi tornare al bar che non c’è, raggiungere il bancone, farti un ultimo goccio e poi solleticare il naso del vecchio Big En con le dita. E in meno di un secondo sarai altrove. Oppure spegnere lo schermo, cambiare pagina, chiudere il libro.
Se invece una parte di te vuole sapere chi sei, non devi far altro che abbassare ancora un po’ gli occhi verso la riga sottostante, scrollare col dito, voltare il foglio e proseguire la lettura.

Chi sei tu? La domanda ti travolge. Non sei prima, non sei dopo, sei adesso. Soltanto adesso. E se adesso fosse sempre? I pensieri ti si affollano in testa, come le nuvole di fumo del Mago. Chi sei tu? Cosa ci fai in questo mondo di immaginazioni morte che lottano per sopravvivere? Perché hai impedito che il gigante le mangiasse tutte e le rinnovasse?
Lo sai già perché. Anche tu sei un Archetipo. Anche tu devi sparire, farti fuori, smetterla. Sei l’Archetipo dell’Orfano, abbandonato da te stesso.

«Non ne posso più di tutta questa violenza. Non c’è un altro modo?», chiedi guardando il Mago con gli occhi pieni di lacrime. Ma il Mago non esiste più. Anche lui è fuso nelle tre facce del Sovrano. E allora, quattro voci eterne ti parlano:
«Non preoccuparti. Tu punta la tua Sparinchiostro su di noi. Niente più violenza, niente più morte. Il passato, così come la sua nostalgia, sono un’illusione. Il passato non muore. Il futuro non nasce. Coraggio, spara. Poi ci pensa il montaggio. La magia del fumetto».
Alzi esitante l’arma sui tuoi eroi. Tiri indietro il cane. Avvicini l’indice al grilletto e chiudi gli occhi. Non vuoi più guardare. E premi il dito contro il ferro.

STACCO.
Vignetta tutta nera.
SILENZIO.
La DIDASCALIA nella parte in basso a destra della pagina dice:

[Continua?]

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(Quasi)