E pure quella la chiamiamo arte: a proposito di Vivès

Paolo Interdonato | Pantomime del Calisota |

I fatti li conosci. La decisione del festival di Angoulême di dedicare una mostra a Bastien Vivès ha scatenato un profluvio di proteste. I canali social dell’autore e del festival sono stati presi d’assalto da persone che ravvedono nell’opera e nelle dichiarazioni di Vivès istigazioni alla pedofilia. Alcuni autori, anche importanti, hanno dichiarato che avrebbero boicottato il festival, annullando la propria partecipazione. Il festival ha cancellato la mostra di Vivès, dicendo che era necessario proteggere l’autore che, nel frattempo, ha ricevuto minacce di morte.

Claudio Calia, l’editore, mi fa notare che QUASI è l’unica testata che si occupa (ANCHE) di fumetti a non aver speso una singola parola sulla questione Bastien Vivès. Lo sottolinea con la sua usuale veemenza plastica di rimbalzo, quella infarcita di «voi fate quello che volete», «figurati se impongo qualcosa», «sono solo il ragazzo che porta le buste in posta»… Alla terza frase con questo tono, mi sgancio dalla chat a tre e scrivo a Boris in privato: «Parlaci tu… sennò oggi ci sfanculiamo per l’ennesima volta e poi ti tocca di riappacificarci o di gestirti QUASI da solo».
Boris, pur non avendo fatto tre anni di militare a Cuneo, è un uomo di mondo. Interviene in chat con la consueta boria: «Scrivo io il #pezzodefinitivo su Vivès e sulla censura!»
Frequento Boris da vent’anni; è il mio miglior amico (ma tu non dirglielo che sennò diventa languido); lo conosco benissimo: non tratterrò il fiato in attesa del #pezzodefinitivo.

Chiudo la chat, apro il mio quaderno e con la Lamy che mi ha regalato Titti faccio un disegno che vorrebbe sintetizzare la mia posizione sulla questione Bastien Vivès. Questo.

Poi però mi accorgo che un disegno così è fraintendibile. Puzza di “me ne frego” e, visti i nomi che si muovono nell’italico parlamento, non è un bel momento per sbandierare quel vessillo. Allora cerco di precisare la mia posizione per punti.

Primo: Reputo Vivès un autore mediocre e furbino, molto bravo a disegnare e con un grande senso del ritmo. Due fumetti di Vivès (scegli quelli che vuoi) sono divertenti, dal terzo inizi a leggere senza mai stupirti. Un raccontare meccanico, fatto apposta per scatenare emozioni a comando. Mentre leggi, sguazzi tra stereotipi, corpicini efebici erotizzati, misoginia a palate, scrittura da adolescente fuori tempo massimo, pagine spesso tirate via, furbizia e tanta – tantissima – tecnica.

Secondo: Oltre al Vivès che fa fumetti ce n’è uno che respira, parla e rilascia interviste e dichiarazioni. Quello mi è proprio insopportabile. Uno che non vorrei mai avere non dico seduto al mio tavolo durante una cena, ma neanche nello stesso edificio in cui abito. Lo trovo antipatico e quando sfodera il suo animo punk e parla di incesto e sesso con i bambini mi fa schifo. La vita è ingiusta e quasi mai posso scegliere le persone che si muovono nel mio stesso stabile.

Terzo: Evidentemente, in qualche momento della sua vita, ha reputato che fosse opportuno fare dichiarazioni come «L’incesto mi eccita da morire» e «Visto che non posso avere rapporti incestuosi nella vita vera, e che non ho sorelle maggiori per farlo, lo faccio nei miei libri»). A me, quelle affermazioni, fanno venire una gran voglia di prenderlo a sberle, a mano larga e morbida. Una di quelle sberle che, dopo aver esaurito la loro traiettoria circolare ed essersi infrante su quella guancia mal rasata, rimbombano nella stanza. Le sue e le mie sono solo parole: lui non è un pedofilo; io non sono un violento.

Quarto: Sono assolutamente contrario al fatto che un’istituzione censuri una mostra. In particolar modo se dichiara di operare questo atto di rimozione dell’osceno per difendere l’autore dalle minacce di morte che ha ricevuto. Ho la sensazione che l’organizzazione del festival di Angoulême si sia fatta un regalo. «Abbiamo deciso di fare ‘sta mostra per un accordo con l’editore e perché il suo ultimo libro è ambientato proprio ad Angoulême durante il festival. Ma se la manteniamo rischiamo che ce lo rovini, il festival. ‘Sto scambio di favori ci diventa svantaggioso. Cancelliamola e sticazzi!»

Dannazione! Pensavo di essere soddisfatto. Invece mi accorgo che sto ancora galleggiando sul filo dell’ambiguità.
Polina è un libro del 2011, uscito quando Vivès aveva ventisette anni. La fascinazione per il corpo delle ragazzine era già evidente in quel fumetto. Nello stesso anno ha pubblicato I meloni della rabbia, che è un fumetto porno in cui ci sono rappresentazioni di stupro, incesto e pedofilia. Da lì in avanti, nei dieci anni successivi, ha continuato a spingere un po’ più in là. La rappresentazione diretta e senza filtri dei sentimenti (è pornografia pure quella, eh…) gli ha fatto conquistare l’aura del genio che poteva dire quello che voleva senza avere paura. E, a quel punto, ha messo progressivamente alla prova il suo pubblico, cercando di vedere se qualcuno avrebbe protestato se si fosse spinto oltre nella rappresentazione dei corpi e delle situazioni.
Ha fatto bene. È il suo mestiere. Una cosa che chiamiamo “arte”. L’autore, l’artista, racconta nevrosi, pulsioni, ossessioni, paure e desideri con i filtri che, di volta in volta, sceglie di mantenere attivi, assumendosi dei rischi, cercando di capire come muoversi tra libertà e sicurezza, tra volontà espressiva e mercato. A volte vince, a volte no.

In un contesto in cui, a seconda della propria posizione ideale, filosofica, politica o, anche solo, istintiva o umorale, diventa necessario difendere o attaccare Bastien Vivès, è opportuno sottolineare alcune cose banali.

Non si processano le nevrosi, le pulsioni, le ossessioni, le paure e i desideri.
Non si processano le intenzioni.
Non si processano le rappresentazioni delle intenzioni.
Però possono farci schifo.
E pure quella la chiamiamo “arte”.

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(Quasi)