Giù di testa

Francesco Pelosi | Strani anelli |

Un anello non può mai finire a testa in giù, figurarsi uno strano anello. Quello al massimo va giù di testa.

Giù di testa mi sentivo il 25 aprile del 2003 (o del 2004, non ricordo bene: uno giù di testa non bada troppo ai numeri) quando, finita la manifestazione che in quel giorno bellissimo attraversa le strade di molte città d’Italia, compresa la mia, Parma, sono entrato nella libreria Feltrinelli che allora si ergeva all’inizio di Strada della Repubblica (nome azzeccato per la ricorrenza) e l’occhio mi è stato rapito da una copertina blu e arancione. Sopra, stilizzati, un gruppo di uomini col fucile e una scritta: Oltretorrente.
Pino Cacucci e il suo editore (sempre Feltrinelli), avevano ritenuto interessante raccontare la storia delle barricate di Parma, dei suoi Arditi del Popolo e di Guido Picelli che li addestrò e resistette con loro nei primi giorni dell’agosto 1922 all’invasione di migliaia di camice nere. Due mesi dopo, lo sappiamo, con la marcia su Roma Benito Mussolini avrebbe ricevuto in dono l’Italia da Vittorio Emanuele III, relegando i nostri nonni e bisnonni a vent’anni di dittatura fascista.
Anche per questa evidenza storica l’episodio delle barricate è poi pian piano finito nel dimenticatoio, ma cento anni fa ebbe una grande risonanza e soprattutto, ancora oggi, è un esempio unico di resistenza antifascista ante litteram. Certo, una resistenza non in chiave repubblicana, come quella che sarebbe cominciata nel 1943, ma in chiave rivoluzionaria.
Picelli, gli Arditi del Popolo e i miserabili dei borghi del quartiere Oltretorrente di Parma erano per la maggior parte comunisti, anarchici e sindacalisti rivoluzionari (sindacato che in città faceva capo ad Alceste De Ambris e che promulgava un interventismo “di sinistra”, vicino al proletariato e in favore della rivoluzione sociale).
Quando penso a quella gente, mi viene sempre in mente un vecchio stornello anarchico, quello che comincia affermando di voler bruciare chiese, altari, palazzi e regge, e continua con quella cosa a proposito delle budella dell’ultimo prete e dei colli di Papa Re.

Dopo aver letto Oltretorrente di Cacucci però, il mio entusiasmo scemò leggermente. Non lo trovai brutto, ma c’era qualcosa che non mi tornava nel modo in cui era scritto. Cos’era, l’avrei scoperto di lì a poco, quando qualcuno mi disse che quel libro non era nato per essere un romanzo ma la sceneggiatura di un film. A quanto si dice, la sceneggiatura per un film di Ken Loach che non si fece mai.

Ecco, giù di testa, qualche anno dopo, mi avrebbe mandato anche un film di Ken Loach. No, non Terra e libertà che, lo ammetto, ho sempre trovato noioso e non sono mai riuscito a finire, ma Il vento che accarezza l’erba, un poderoso racconto della guerra d’indipendenza irlandese e della guerra civile che ne seguì. Quel film mi ha sempre commosso e straziato fino al midollo, sicuramente per le atmosfere e i paesaggi d’Irlanda, terra a cui mi sento intimamente legato, ma anche perché quella guerra fra gente che parla la stessa lingua e vive nello stesso paese, mi ha sempre richiamato alla mente la nostra, quella di cui si fecero carico gli uomini e le donne che nell’inverno del ’43 presero la strada dei monti e della clandestinità per farla finita con la dittatura, coi fascisti e sì, anche coi loro alleati nazisti. Ma prima di tutto – e non c’è nulla che mi farà cambiare idea su questo – per farla finita coi fascisti, italiani come loro che da vent’anni avevano deciso che la loro verità era più giusta delle altre, arrogandosi il diritto di imporla con la forza, l’intimidazione e la violenza.
Credo molto in due famosi motti della canzone anarchica: «nostra patria è il mondo intero» dagli Stornelli d’esilio di Pietro Gori e «la casa è di chi l’abita», «la terra è di chi la lavora», da una poesia ottocentesca che ha ispirato il canto Dimmi bel giovane. Se è vero che al mondo esiste un solo popolo, e che quindi tedesca o italiana, la violenza è sempre violenza, è anche vero che se ad alzare la mano contro di te è lo stesso che la usava per coltivare il campo al tuo fianco, e con il quale scherzavi e discutevi nella stessa lingua o addirittura nello stesso dialetto, in qualche modo la cosa mi arriva come ancor più dolorosa e tragica.

L’Irlanda mi mandava giù di testa, poi, – e lo fa ancora – certamente anche per colpa di Hugo Pratt che quando ero bambino ha impresso indelebilmente il suo segno e le sue storie nel mio immaginario, e l’ha fatto soprattutto con il ciclo delle Celtiche.
Concerto in “O” minore per arpa e nitroglicerina è una storia di quel ciclo, dove troviamo Corto Maltese invischiato nella stessa rivoluzione irlandese raccontata da Loach nel suo film. Alcune vignette di quel racconto non le ho mai dimenticate, come quella con Banshee seduta sulla spiaggia vicino alle ossa di una balena o quella in cui Corto cammina fra le ombre di fianco a un pub, ma di certo la parte più divertente è quella in cui il marinaio fa esplodere la stazione di polizia degli ausiliari inglesi con candelotti di dinamite trovati nel cassetto di un ufficio e commenta:

«Voi ausiliari siete proprio strani, avete persino la dinamite nei vostri uffici… Siete veramente degli irresponsabili».

Quella battuta mi manda ancora giù di testa. E in effetti, come altro ci si potrebbe sentire, dopo un’esplosione?

Enzo Jannacci prova a descrivere questa sensazione in una canzone straordinaria (più passano gli anni e più mi convinco che sia fra le sue più belle) che si chiama proprio Son s’ciopàa.

«Hai presente un canotto morsicchiato da un dobermann? Hai presente una vita a cantare in un pullman? Son scoppiato così e così!»

Jannacci nel brano impersona un disperato che chiede in giro sigarette e che si trova davanti solo gente che «mette le Timberland» e che «fuma le Marlboro» (quindi, decisamente lontana dalla sua condizione sociale). Lui è «un po’ fuori di testa» e anche «giù di testa» ma d’altronde, come specifica poco dopo, «al bar succede».

In un’altro brano di qualche anno dopo però, E adesso,dal disco I soliti accordi, ecco che anche per Jannacci il giù di testa diventa a testa in giù, chiudendo così il nostro strano anello.

«E la mia gente (…)
ha finto meraviglia per quel che c’era in televisione,
ha finto di stupirsi per l’oro dei gettoni,
ma poi si son trovati in una piazza dove
quelli come voi
appesi a testa in giù
si chiedevano straniti:
“Oh, ma questa qui è proprio brutta gente…”
Non se ne può più».

Questo strano anello si compone di:

  • Pino Cacucci, Oltretorrente, Feltrinelli, 2003;
  • anonimo, Bruceremo le chiese, fine del secolo XIX;
  • Il vento che accarezza l’erba (The wind that shakes the barley), regia di Ken Loach, 2006;
  • Pietro Gori, Stornelli d’esilio, 1895;
  • anonimo, Dimmi bel giovane, inizi del Novecento, ispirato alla poesia Dimmi buon giovine. Esame d’ammissione del volontario alla Comune di Parigi di Francesco Bertelli, 1873;
  • Hugo Pratt, Concerto in “O” minore per arpa e nitroglicerina, 1972;
  • Enzo Jannacci, Son s’ciopàa, 1985;
  • Enzo Jannacci, E adesso, 1994;

Per scriverlo ho bevuto almeno tre pinte di Guinness e una scodella (o fojeta) del lambrusco scuro e forte di Camillo Donati.

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