Mi mancherai, Joe Matt

Claudio Calia | Affatto |

La domanda «quali sono i tuoi fumetti preferiti?», spesso declinata in «quali sono i tuoi autori preferiti?» mi sprofonda sempre nel panico. E, se hai fatto dei fumetti la tua ragione di vita, non è una domanda che capita di rado.
Spesso solo sentirla mi muove una reazione cerebrale simile a una slot-machine, solo che non funziona benissimo: passano davanti alla mia mente decine di autori o di libri a fumetti, ma senza fermarsi mai.
Per uscire da questo blocco mi sono fissato un pugno di nomi in mente: una rosa abbastanza vasta seppur limitata, per tirare fuori la risposta adatta a ogni contesto.
Eh, già. Perché ho imparato, poi, che non è mica necessario rispondere sempre la stessa cosa. A volte è proprio importante considerare il contesto. Per esempio, quando ho pensato per la prima volta di parlare dei fumetti di Joe Matt durante uno dei miei laboratori in Iraq, forse la mia considerazione del contesto, a monte, non è stata brillantissima. Ma ehi, avevo già parlato di Robert Crumb, ero arrossito di fronte ad alcune tavole di Fritz il gatto, avevo riassunto la guerra in Vietnam in tre parole, pensavo di essere pronto a sostenere tutto. Solo che mentre, in inglese, davanti a dei curdi, dei musulmani, dei cristiani, che già a fatica convivono insieme nel rispetto delle loro differenze, cercavo di ricostruire il grande progetto di vita di Joe Matt… avrei voluto – o forse sarei dovuto – sprofondare.
Perché raccontare in giro, di questi tempi poi, che un fumettista, che stai raccontando – e ci credi pure – come fondamentale per la storia del fumetto mondiale, ha (aveva, dannazione!, aveva) come obiettivo di un’esistenza redigere la videocassetta pornografica perfetta, selezionando le scene migliori, le attrici migliori, epurando ogni fotogramma di presenza maschile (per quanto riguarda le facce e i culi pelosi, letteralmente) può essere imbarazzante in qualunque lato dell’emisfero. In qualcuno, forse un po’ di più.
Ma eccoci, a Joe Matt.

Un po’ di backstage. Siamo nei primi anni Novanta; frequento un corso di fumetto organizzato dall’AICS a Treviso; gli insegnanti sono Massimo Perissinotto e Omar Martini. Omar porta a lezione, un giorno, un albo di grande formato dal titolo Peepshow, di Joe Matt. Sono tutte storie di una tavola, autobiografiche, fitte di testi e di vignette. Molto, autobiografiche, alcune volte oltrepassano quella sottile lama che separa la verità dallo squallore. Mi rimane in mente (piccola nota: una copia fisica di questo libro me la sono – finalmente – procurata non più di un paio di anni fa).

Siamo nella seconda metà degli anni Novanta. Incrocio “Peepshow”, l’albo a fumetti, negli Stati Uniti (ho 18 anni e li sto festeggiando qui, ci sono stato tre mesi, da uno zio). Sei albi incellofanati insieme a una piccola stampa autografata. Dopo pochi minuti dall’acquisto verrò rapinato come un deficiente, ma solo dei soldi, e neanche tutti perché ho aperto una piccola trattativa mentre questo tizio teneva il mio portafoglio in mano che ci ha condotti a una risoluzione favorevole per entrambi. Al tizio non viene in mente di portarmi via i sacchetti dei miei recentissimi acquisti (che, lo avevano inevitabilmente attirato: sembravo un albero di natale). In quei sacchi c’erano un volume autografato di Adrian Tomine e questi sei albi incellofanati di “Peepshow”. Me ne innamoro. Di “Peepshow”, non del tizio.

Stacco.

Torno a Treviso. Apre la beneamata libreria SottoMondo. Là, pian piano, arrivano i libri di Joe Matt (e di Seth, e di Chester Brown…) e qualcuno degli albi successivi della serie “Peepshow”, che acquisto in inglese.

Stacco.

Appena una decina di anni dopo che ho conosciuto i suoi fumetti, i tre graphic novel di Joe Matt saranno tradotti in italiano da Coconino Press. Ho cominciato a regalarli a un sacco di gente.

Joe Matt ha realizzato quattro libri a fumetti. Tutti e quattro autobiografici (a questo punto avrai capito: tre tradotti in italiano e uno no):

Peepshow, un libro di grande formato che raccoglie le tavole singole con cui ha dato vita al fumetto (è questo il fumetto non tradotto);

Poor Bastard, una sorta di “autobiografia in diretta”, in cui quel che succede nella realtà ha ripercussioni nel fumetto e, per me in modo abbastanza clamoroso, viceversa. Serializzato in sei numeri più o meno semestrali, diventa libro solo alla fine;

Il bel tempo, una autobiografia giovanile dell’autore;

Al capolinea, ritorno all’autobiografia “contemporanea” ma più meditato, realizzato più consapevolmente in forma libro (a mio timido avviso, eh).

Una prima considerazione è che probabilmente sono proprio pochi gli autori che con una produzione così limitata sono riusciti a essere così influenti tra gli artisti che sono arrivati dopo. Davvero ma ehi, se parliamo di “fumetto autobiografico” io parto da Harvey Pekar, tangenzialmente attraverso volentieri Robert Crumb, posso fare una parentesi su Fabrice Neaud, tappa obbligata su Chester Brown, Roberta Gregory e Julie Doucet ma, se non cito Joe Matt, non sto centrando l’argomento. Certo, ci sono Yoshihiro Tatsumi, Tadao Tsuge e Shigeru Mizuki dall’altra parte del mondo, ma aiutami a stare sul pezzo. Io non sono mica un fumettaro autobiografico, lo sono stato per un istante lungo come la vita di una goccia di rugiada, proprio ispirandomi a Joe Matt, e non sono durato più di otto pagine e una stroncatura di Dario Morgante su “Blue”.
Pensa per un attimo, come un sasso in uno stagno, a cosa vuol dire “fumetto autobiografico”, come si può declinare: è una roba che esonda immediatamente in tutto ciò che nel fumetto tocca la vita “reale”, dal giornalismo al reportage di viaggio a chissà cosa non mi viene in mente mentre scrivo. E allora se dal piccolo insieme che chiamiamo “fumetto autobiografico” ci allarghiamo agli insiemi che lo intersecano, “graphic journalism”, “reportage disegnato”, tutto quello in cui l’autore abbia un ruolo di “personaggio”, ecco che il numero di cerchi nello stagno aumenta. E mentre quei cerchi si allargano, sospinti da quelli più interni, la circonferenza va a comprendere un sacco di cose. E per tutte queste cose l’esperienza di Joe Matt è fondamentale. Per dimostrare quanto può essere anche “laterale” l’apporto di un autore a un altro, per il mio (umile e piccino, non c’è nessun confronto in essere: Joe Matt è un gigante) I giorni così ho sentito, a un certo punto, il bisogno di rileggermi Al capolinea di Joe Matt, proprio perché è un libro in cui non succede niente e il racconto procede unicamente attraverso i dialoghi tra i “personaggi”.

Da poco tempo Joe Matt aveva ripreso una sorta di vita pubblica, attraverso il suo profilo Facebook. Condivideva le sue passioni più forti (no, non quella della videocassetta, chissà che fine ha fatto oggi quel nastro): i gatti, la sua collezione di fumetti sempre in movimento (non erano rari gli annunci di vendita di reperti dalla sua biblioteca personale), la stampa tipografica, le vecchie strisce statunitensi… addirittura, sembrava stesse lavorando a un nuovo fumetto, sulle sue fallimentari esperienze nel mondo della televisione e del cinema.

In un mondo in cui tutti urliamo «Sono stocazzo!» da ogni profilo social, quest’uomo, bravissimo e puntiglioso nel fare fumetti, ha deciso di urlare più forte di tutti, metodicamente una tavola alla volta, colpo di pennello dopo colpo di pennello. E il suo grido diceva: «Sono squallido». Ogni suo libro è, sostanzialmente, una cronaca dei suoi fallimenti, e così sarebbe stato quello nuovo.

Joe Matt è morto il 18 settembre per un infarto, ne ha dato notizia il suo amico e collega Matt Wagner. Aveva solo sessant’anni.

Non sono previste ristampe dei suoi libri, al momento, a causa di una scena in Poor Bastard difficilmente pubblicabile nel contesto attuale: un momento di violenza domestica in cui tira un pugno a Trish, la sua fidanzata del tempo. Per rendere l’idea: nella sua serie semestrale Joe Matt racconta della sua relazione con Trish, che poi legge i suoi albi a fumetti una volta che escono. Cioè, racconta tutto, della videocassetta anche, ricordi? E delle ragazze che gli piacciono, dei momenti di malumore con la fidanzata… Quello che Joe Matt racconta nel fumetto della sua vita incide e cambia, irrimediabilmente, la sua realtà. I due si lasceranno, lui ce lo racconterà. Leggi e tutto il tempo ti viene da dirgli «Perché lo stai facendo? Fermati!»

Il fumetto cambia la realtà.

Che potenza, Joe Matt. Che vita miserabile che ci hai raccontato. Che magnifico e tragico tributo al linguaggio del fumetto, ci hai lasciato.

Mi mancherai.

c. 

Le vignette pubblicate in questo articolo sono tratte da “Spent” di Joe Matt, Drawn & Quarterly, 2007. L’immagine di copertina è di Claudio Calia.

Ti è piaciuto? Condividi questo articolo con qualcun* a cui vuoi bene:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

(Quasi)