Ricchi e poveri: Guida al fumetto delle disparità

Paolo Interdonato | Disegnetti per perditempo |

Diciamocelo senza girarci troppo attorno: i ricchi sono ricchi anche perché sanno raccontare le favole meglio dei poveri che, in fin dei conti, sono dei creduloni.
Sono riusciti a farci credere che la ricchezza è una conquista raggiungibile grazie al merito. L’impegno, la fatica, il sacrificio, la sottomissione, un po’ alla volta, rendono più ricchi gli individui. E se una persona rimane povera (o, come capita sempre più spesso, diventa più povera), vuol proprio dire che se l’è cercata. Avrà fatto qualcosa di profondamente sbagliato, ‘sta sfigata. Non è capace di trovare un lavoro migliore, non è capace di tenersi quello che ha, non fa carriera, non risparmia e non investe. Sarà vita quella? Magari, al mattino, non ha voglia di montare, prima del sorgere del sole, un turno di tredici ore nell’ospedale in cui lavora da precaria, attraverso una multiservizi che l’ha registrata come addetta alle pulizie, anche se assiste alle medicazioni. E magari la sera ha voglia di mangiare ravioli in un ristorante cinese, bere due birre, chiacchierare fino a tardi, addirittura scopare. Non ha capito, dannazione!, che il lavoro nobilita? Anzi, per dirla meglio, con una frase da affiggere sopra ogni cancello, il lavoro ci dona libertà!

In questo mese, (Quasi), sempre così attenta alle minoranze, si occupa dell’unica vera minoranza verso cui nessunə mostra un vero interessamento: i ricchi. Sono una manciata, in balia del loro potere assoluto, circondati da gente che di potere ne ha molto meno, ma di doveri e di bisogni ne ha incommensurabilmente di più. Vite immerse nel bagno corrosivo dell’invidia, infestate di malocchio e incanto, che non trovano mai un gesto realmente disinteressato che possa illuminarle.


Cari ricchi, oggi, ci penso io. Suggerisco, senza volere niente in cambio, cinque fumetti da leggere durante le vostre vacanze altrimenti noiose, perché in essi, mi sembra, è nascosto un nucleo di verità che vi aiuterà a raccontare ancora meglio quella vostra favola a noi, banda di idioti creduloni.

Zio Paperone e la disfida dei dollari di Carl Barks (1952)

Il titolo inglese, Only a Poor Old Man (Solo un povero vecchio), è molto più preciso, ma ci teniamo questo. La storia la conosci, Paperone è ricchissimo ma angosciato: ha paura che i Bassotti, poveri che vorrebbero arricchirsi con il loro lavoro di ladri, vengano a fargli visita. Solo una cosa lo rilassa, nuotare nei tre acri cubici di contanti stipati nel suo deposito: gli piace tuffarcisi dentro come un pesce baleno, e scavare gallerie come una talpa, e poi gettarlo in aria e farselo ricadere in testa!
Per evitare che i Bassotti rubino il suo denaro, Paperone lo sposta sul fondo di un lago. La banda di ladri decide di giocare d’astuzia: compra i terreni circostanti e cerca di abbattere la diga, per spostare quell’immensa mole di denaro sulle proprie terre e diventarne così proprietaria. E, dopo un po’ di tentativi, ci riesce.
Paperone, sconfitto, chiede che gli venga esaudito un ultimo desiderio: vuole nuotare per l’ultima volta in quello che era stato il suo denaro. I Bassotti sono poveri e, di conseguenza, stupidi: glielo concedono. Quando vedono il vecchio papero fare prodezze tra le monete, si gettano in quel mare di metallo. Ma loro sono poveri. E non possono nuotarci. Rispondono ad altri principi fisici e ci si schiantano. Mentre sono svenuti, Paperone può rubare, con tutta tranquillità, il loro denaro e tornare a essere il papero più ricco del mondo.

Diabolik, chi sei? di Angela e Luciana Giussani, Glauco Coretti ed Enzo Facciolo (1968)

Ginko e Diabolik sono stati catturati. Non hanno vie di fughe e nessuna speranza di portare a casa la pelle. Legati in una stanza male illuminata, l’uno di fronte all’altro, Ginko e Diabolik, il bene e il male, annullano la dialettica manichea. Ritornano umani. Non sono più nemici. Ginko può fare la sua domanda «Noi stiamo per morire, e questo è il momento della verità. Diabolik, chi sei?». Diabolik, in realtà, sa che non morirà – in testata c’è il suo nome e quel giornaletto vende proprio bene – e allora si permette una risposta da personaggio da feuilleton: «Io non so chi sono!». Lo sa benissimo e, con la sua storia, ci riempie comodo comodo le centoventi pagine dell’albo (e una dozzina di seguiti nei quasi cinquant’anni successivi). Dopo aver svelato come il più ricco di tutti lo abbia fatto addestrare perché fosse il ladro più bravo del mondo, capace di diventare anche più ricco del più ricco, Diabolik viene liberato da Eva. E pure Ginko.E, a quel punto, emerge la dura e triste realtà della disparità di ceto. Diabolik non pone lo stesso quesito a Ginko: a lui non frega un cazzo di chi sia. In fondo, diciamocelo, cosa può fregare a un ricco vero come un poliziotto straccione abbia fatto la risibile carriera che gli consente di comprarsi quei completi, un po’ consunti sui gomiti,  dal taglio decisamente industriale.

La Fortezza: Cuore d’anatra di Joann Sfar e Lewis Trondheim (1998)

Nella fortezza si accumulano i tesori. Ce li portano i ladri, quando vengono a cercare di rubare qualcosa. Muoiono nel tentativo e vengono derubati a loro volta per arricchire la fortezza (e i ladri portano sempre grandi tesori con sé). Ma se una ladra riesce a rubare una corona, allora bisogna mandare un emissario a recuperarla. Il prescelto pare proprio un errore di calcolo, una svista. È il più sfigato di tutti, eppure impara, impara, impara. Potrebbe essere un altro self made duck, dopo zio Paperone e, invece, scopriremo che la sua determinazione c’entra assai poco. Era molto ricco anche prima e arriverà a possedere tutti i tesori del mondo. E anche un cuore nero come una notte invernale di luna nuova.

Il ciclo di Galactus di Stan Lee e Jack Kirby (1966)

Quando Galactus arriva sulla Terra, fa veramente paura. È gigantesco e indifferente. Si accomoda tra le formiche umane, stende la tovaglia e vuole fare un picnic. È un ricco vero, cosmico: mangia i pianeti. È una questione biologica: la chiamiamo catena alimentare. Lo fa senza rabbia, senza odio, senza piacere. Lo fa un po’ perché è nella sua natura e un po’ perché può. Il ciclo di Galactus, nato quando l’universo (quello Marvel, dico) era ancora giovane, racconta l’assurdità di un potere talmente smisurato da sembrare naturale. Proprio come il potere dei ricchi, ché se dici (magari citando Adriano Olivetti che citava Platone) che il più ricco deve avere al massimo dieci volte quello che ha il più povero, sembri un folle antistorico. I Fantastici Quattro non possono vincere: possono solo contrattare. Solo grazie all’intervento di un altro ricco pentito (Silver Surfer) e alle suppliche del genere umano, Galactus decide di andarsene. Non sconfitto, ma infastidito dalle formiche: andrà a fare picnic altrove e chi se li incula quelli dell’altro sfortunato pianeta. La morale è chiara: i ricchi ci fanno il favore di non distruggerci, se non facciamo troppo rumore. E per un po’, possiamo anche considerarci salvi. Ma è solo perché, per ora, non hanno fame.

Arkham Asylum: Una folle dimora in un folle mondo di Grant Morrison e Dave McKean (1989)

Batman è il più ricco di Gotham. Non si limita a possedere la città, la abita come un’ossessione. Quando entra nell’Arkham, il manicomio criminale della città, non scende all’inferno: rientra a casa. Lì dentro ci sono gli altri veri ricchi: criminali megalomani, egocentrici e teatrali, che fanno rapine e stragi per dimostrare di valere. Joker, Due Facce, lo Spaventapasseri: sono specchi rotti del suo stesso potere. Tutti sono ossessionati dal controllo, dall’accumulo, dalla costruzione di un’identità intoccabile. Ma Batman è diverso. I suoi genitori sono morti per una rapina da quattro soldi, e da allora combatte ogni notte per impedire che i poveri tocchino e intacchino ancora la sua ricchezza. La sua armatura, la sua caverna, i suoi strumenti, i suoi muscoli sono l’investimento di una rendita perpetua. L’Arkham non è un manicomio. È una camera blindata, dove i ricchi impazziscono a furia di sorvegliarsi e punirsi, sotto gli occhi di tutti.


Ecco, cari ricchi, vi ho dato cinque fumetti da leggere. Se ci trovate dentro un po’ di verità, potete raccontarci meglio la vostra favola. E noi, da bravi poveri, vi crederemo ancora. Lanciandovi malocchio e incanto che produrranno su di voi lo stesso effetto di un’indulgenza plenaria papale. Con un po’ di invidia, un po’ di speranza, e tantissima fame che non troverà soddisfazione.

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