«E strascino i piedi
(Sei minuti all’alba, Enzo Jannacci e Dario Fo, 1965)
e mi sento mal;
sei minuti all’alba,
Dio, cume l’è ciar.
Tocca farsi forza,
ci vuole un bel final,
dai, allunga il passo, perché
ci vuole dignità.»
Da agosto 1964 a settembre 1975: centotrentaquattro mesi e oltre duecentocinquanta albi. Tanto dura la collaborazione tra Magnus e Max Bunker presso Editoriale Corno. Insieme fanno tanti fumetti, specializzandosi in quel formato inaugurato nel novembre 1962 da “Diabolik”. Albi tascabili, con centoventi pagine di fumetto in bianco e nero, composte da due vignette ciascuna, di solito sovrapposte. Max Bunker scrive e Magnus disegna: insieme realizzano “Kriminal”, “Satanik”, “Dennis Cobb: Agente SS018” e “Alan Ford” (e, in formati diversi, “Gesebel”, Maxmagnus e un paio di storie brevi). Nel settembre 1975, esce il settantacinquesimo albo di “Alan Ford”, “Cala la tela per Superciuk”, e sarà l’ultimo con le firme congiunte di Max Bunker e Magnus per un sacco di tempo (nel febbraio 1986, il disegnatore tornerà per realizzare il numero 200, “Hic hic urrah!”).

L’albo si chiude con un commiato. Nelle ultime pagine, Magnus si disegna basso e con l’usuale nasone – e con un paio di baffi neri per distinguersi da Bob Rock, già fatto a sua immagine e somiglianza – nei panni del capitano della nave “La sfonda”. La scelta dell’abbigliamento in un personaggio dei fumetti non è mai casuale: il capitano è vestito come il Corto Maltese di Hugo Pratt, quasi a voler dichiarare che la maturità del fumetto – resa evidente da riviste come “Linus”, “Sgt. Kirk”, “Alterlinus” e “Il Mago” – lo induce a salpare verso altri porti, luoghi editoriali più nobili e pregiati in cui gli sia garantita una maggiore autorialità.

Il capitano accoglie sulla nave Superciuk (in abiti civili) dicendogli: «Ma benissimo. Per mille balene, sembri robustino, c’è da sdrumare qui…».
Esatto, c’è da sdrumare: è così che Magnus rompe il sodalizio con un recalcitrante Bunker (che gli combinerà anche qualche bassezza nei mesi successivi) perché vuole costruire un fumetto adulto, avventuroso, politico e profondamente contemporaneo.
Con in mente il formato più autoriale e le testate più nobili (e dovendo schivare “Eureka”, che lo terrebbe comunque in ostaggio di Max Bunker), Magnus approda alle case editrici di Renzo Barbieri. Così come Bunker aveva ideato “Kriminal” e “Satanik” premendo sull’acceleratore di erotismo e criminalità, Barbieri si era infilato in quel formato con decine di personaggi che enfatizzavano e rendevano sempre più esplicito il sesso. Dopo “Isabella” e “Goldrake”, aveva avviato molte testate, da “Fiabe Proibite” a “Zora la vampira”, da “Lando” a “Rolando del fico”.

Mentre lavora ancora ad “Alan Ford”, Magnus inizia a collaborare con Barbieri. All’inizio, disegna due fumetti autoconclusivi per due collane di storie erotiche. Poi, nel luglio 1975 (mentre in edicola fa capolino anche “Alan Ford” 73, “Il dottor Cancer”), esce il primo numero dell’ennesima serie tascabile pubblicata da Edizioni del Vascello. È un albo identico a tutti gli altri: centoventi pagine di fumetto in bianco e nero, con due vignette ciascuna, dorso quadro, brossura da poco, carta porosa. Nelle pagine che non sono dedicate al fumetto ci sono i lanci degli altri albi portati in edicola dall’editore: “Fiabe proibite”, “Biancaneve”, “Karzan”, “Naga” e il romanzo di Barbieri che, con fine arguzia, si intitola Una botta di sole. Ma la copertina, che, con una grafica pulitissima, presenta il personaggio in un riquadro rosso, promette una rivoluzione. Sotto la testata, “Lo Sconosciuto”, vediamo il protagonista: è un vecchio, con una giacca militare e il calcio della pistola che gli spunta dai pantaloni; si accende una sigaretta; dietro di lui una palma e la moschea della Koutoubia a Marrakesh.

“Poche ore all’alba”, la prima storia de “Lo Sconosciuto” è stupefacente. Il sistema delle narrazioni popolari racconta avventure per evadere da una realtà difficile da sostenere, fatta di guerre fredde e calde, minacce atomiche, crisi energetica, tensioni tra modelli di governo e possesso del mondo, abusi e terrore. La prima storia de “Lo Sconosciuto” si apre esattamente come Una ballata del mare salato, la prima avventura di Corto Maltese, con coordinate spaziotemporali precisissime: «Passo di Foum el Alba del Sahara del Mali ai giorni nostri».
Laddove Pratt forniva indicazioni geografiche che collocavano l’avventura in uno spazio classico (Oceano Pacifico, tra il meridiano 155° e il parallelo 6° sud, il primo novembre 1913, il giorno di tutti i santi), Magnus si infila nel presente, in un posto che, da qualche anno, ci spaventa.

Il fumetto si apre con l’attacco della polizia, in mezzo al deserto, a una carovana di contrabbandieri che trasporta armi: cinquemila UZI SMG, calibro 9. Il logo di F.N. (Fabrique Nationale d’armes de guerre), il produttore belga di quelle armi, sulle scatole dei fucili è precisissimo, così come il movimento dei cammelli e il disegno della kefiah della polizia algerina. In otto pagine, quattordici vignette, ci sono un agguato, una sparatoria, un inseguimento e una resa. E il mondo caotico in cui viviamo entra di forza nel fumetto più popolare possibile, quello nero, destinato al pubblico meno esigente.
Magnus ha imparato il tempo del fumetto sugli albi tascabili. Costruire il ritmo con solo due vignette per pagina è un’impresa difficilissima. Non ci riesce quasi nessuno. Alla fine, il riquadro – grande all’incirca metà della pagina – diventa uno schermo su cui si avvicendano immagini fisse e tagliate male. Leggere un albo di “Diabolik” (o di “Isabella”, “Goldrake”, “Zora la vampira”, “Lando”…) significa guardare un’infilata di vignette statiche. Magnus, con oltre duecentocinquanta albi nel proprio curriculum, ha inventato una grammatica per un racconto fatto di grandi primi piani, immagini scontornate, cerchi neri a enfatizzare particolari, scale, tende o drappeggi a risolvere rapidamente gli sfondi …
La velocità di realizzazione è un valore che fa acquisire alla pagina ritmo. Abbiamo imparato ad amarlo su “Kriminal”, “Satanik” e “Alan Ford”, proprio per questi trucchi che un po’ alla volta diventano un linguaggio narrativo. Ma qui, ne “Lo Sconosciuto”, Magnus non si limita a disegnare – benissimo – pupazzetti che si muovono in ambienti da tratteggiare rapidamente. Si regala sfondi definiti, piante e alberi tratteggiati con precisione, ambienti riconoscibili e sequenze realizzate usando tantissima documentazione. E lo fa progettando, con notevole attenzione, il movimento dello sguardo del lettore.
Quando la narrazione si sposta, per un attimo, in Europa, sul muro appare una mappa dell’Africa, con la chiara indicazione dell’itinerario seguito dalle armi. E lì, unendo i puntini, troviamo il protagonista della serie.

Corto entrava nell’avventura legato a una croce, in mezzo al mare. Quasi fosse l’indicazione mobile del punto in cui scavare nella mappa per trovare il tesoro. Anche Unknow, il vecchio presentatoci nella copertina dell’albo riemerge dai flutti: sta affogando in un incubo; un passato di crimini terribili lo perseguita.

In un racconto quasi perfetto, in cui pare abbia messo mano anche Francesco Guccini, corso in aiuto dell’amico in difficoltà davanti alla sua prima prova da autore unico, ci sono diversi elementi di cui dovremmo discutere a lungo. Li enumero, perché rimarcano la carica eversiva che Magnus riesce a sviluppare in appena centoventi pagine, travolgendo l’idea stessa di fumetto nero italiano.
Unknow riceve un colpo con il calcio della pistola da quello stronzo di Rashid, presunto poliziotto che è entrato nel locale per arrestare Eliza Gonçalves. La percossa gli spacca la pelle all’altezza dello zigomo: quella ferita, incerottata, resterà lì, a rimarcare il corpo fallibile dell’eroe fino all’ultima vignetta.

Mostrando un’assoluta aderenza alle regole del genere, Eliza si denuda seduttiva. A quel punto, in luogo della sequenza di sesso esplicito che sarebbe stato lecito aspettarsi nell’albo, Unknow non stacca gli occhi dal giornale, ignorando il corpo nudo sotto la doccia. Poi, si copre all’inverosimile, indossando, sopra la canottiera, la camicia, la giacca e una tunica con cappuccio ed esce dall’appartamento. È facile intuire la frustrazione del lettore abituale di tascabili neri.

Gli eroi della letteratura popolare si armano assecondando consuetudini (sempre le stesse pistole) o usando tecnologia sperimentale (come Diabolik, 007, Batman o Paperinik). Unknow apre il baule contenente “armamento individuale per azione di commando” e si equipaggia di tutto punto con strumenti spaventosi e credibili, enumerati con la precisione contabile di una procedura operativa militare: «A. È previsto il fucile mitragliatore a otturatore veloce con otto caricatori di munizioni e un nono inserito. B. Esplosivo, inneschi detonanti, miccia a tempo, granate a mano. C. Baionetta o pugnale.»
La conclusione dell’albo vede la sfida di un eroe solitario, Unknow, che entra nella sede operativa dei nemici e li sconfigge tutti, uno dopo l’altro. Anche se, per la scansione dei tempi, Magnus si avvale delle strutture ritmiche della parola (a un certo punto il caid M’Barek pronuncerà i versi coranici che danno il titolo all’albo), tutta la scansione temporale è determinata dalle ombre e dal buio.
Infine, il duello finale ribalta le attese. La cattiva è Eliza, bellissima dark lady alla quale Unknow si è negato. Lui la sconfigge ma ne esce ancora una volta ferito. L’ultima vignetta lo mostra a letto, febbricitante, il corpo segnato. La carne dell’eroe, per quanto cartacea, è fragile, esposta, mortale.

“Poche ore all’alba” segna il punto in cui Magnus inizia a tradire il suo stesso passato. Da lì in avanti, continuerà a farlo, tutte le volte. Rinnega i pupazzetti, scardina le regole, rompe l’intesa con gli editori, gode nel violare le aspettative dei lettori, e si mette a inseguire qualcosa che somiglia alla verità. Lo fa in una forma popolare e scomoda, costruendo pagine perfette. Non cerca né consenso né purezza. Disegna un personaggio che si chiama “Lo Sconosciuto” e lo getta in un mondo che non conosce redenzione. Nessun personaggio del fumetto italiano è mai stato più politico, più cupo, più solo.

Scrive e parla, da almeno un quarto di secolo e quasi mai a sproposito, di fumetto e illustrazione . Ha imparato a districarsi nella vita, a colpi di karate, crescendo al Lazzaretto di Senago. Nonostante non viva più al Lazzaretto ha mantenuto il pessimo carattere e frequenta ancora gente poco raccomandabile, tipo Boris, con il quale, dopo una serata di quelle che non ti ricordi come sono cominciate, ha deciso di prendersi cura di (Quasi).