Venti

Mabel Morri | Play du jour |

Gennaio

Non è iniziato bene, il 2020, sportivamente parlando.
Nel 2011 decido di regalarmi un paio di pantaloncini. Tra le tante passioni pop, dalle maglie da calcio alle figurine, nel mio guardaroba mancavano i pantaloncini da basket. Al centro commerciale “Le Befane” mi fiondo dall’amico proprietario che gestisce il marchio Champions. Meno di un decennio fa, nel basket, non c’era il monopolio dello sponsor tecnico, le squadre potevano vestire le aziende che facevano la migliore offerta. Oggi è diverso, per dire, anche nel calcio Macron si è aggiudicata il campionato canadese così come Legea la linea tecnica e di abbigliamento della Federazione Italiana degli Arbitri, e anni fa nella NBA le varie marche si davano battaglia. I Lakers erano nell’olimpo Champions. Nella scelta totalmente alla cieca ero indecisa. Sui manichini le maglie di Kobe Bryant, Kevin Garnett e Dirk Nowitzki campeggiavano inducendo successi e talento. Nella mia adolescenza solo tre squadre erano quelle che meritavano, sulla base dei miei ricordi, la scelta dell’acquisto: i Boston Celtics, i Chicago Bulls e i Los Angeles Lakers. Altri team che stavano emergendo e che avrebbero avuto storie bellissime per me non esistevano. Scelsi i Lakers solo per due motivi banalissimi: avevano vinto l’Anello nell’ultimo campionato, il primo, e, il secondo, di giallo non avevo nulla.
Lunedì 27 gennaio su un quaderno che faceva parte del sacchetto (badge, penne, gadget vari) dell’Agile Business Day svoltosi a Venezia nel settembre dell’anno prima, scrivevo della domenica prima, nella serata quasi noiosa nonostante le Regionali in Emilia Romagna avessero regalato un esito che oggi, in piena pandemia, dà un senso concreto a quel voto decisivo, del giorno della memoria e poi di quei pantaloncini, collegati al primo tweet che lessi della notizia della dipartita di Kobe Bryant.
Perché inizia così il 2020 sportivo, lo sport va avanti in tutte le sue declinazioni ma l’elicottero dell’ex cestista dei Lakers, Kobe Bryant si è appena schiantato su una delle colline della città californiana, e con lui altre persone tra le quali la figlia tredicenne Gianna. Ed è solo gennaio. 

Febbraio

Febbraio inizia come il solito febbraio, l’ultimo mese di freddo per assaporare le partite allo stadio, sotto un bel sole o almeno quando inizia a scaldare.
Lazio e Juventus controbattono punto su punto in Serie A ma la squadra torinese ancora non ha ingranato gli insegnamenti del nuovo tecnico ex Napoli Maurizio Sarri. La Lazio sembra decisamente quella candidata alla vittoria del campionato perché macina gioco, ogni tanto si perde ma rispetto alle stagioni scorse inizia a ovviare ai cali con una continuità mai vista oltre ad avere un bomber come Ciro Immobile praticamente implacabile.
Continua la Champions, con la favola Atalanta che arriva ai quarti superando la fase ai gironi. I bergamaschi giocano a Milano, al Meazza, impossibilitati dalla ristrutturazione del proprio stadio per rientrare nelle normative UEFA dopo aver calcato anche il prato del Mapei Stadium di Reggio Emilia nelle Europa League e Champions passate. La partita d’andata del 19 febbraio contro il Valencia è una data che difficilmente, nel tempo, si dimenticherà. Il mese dopo sarà additata come motivo principale, tra gli altri, del focolaio di Bergamo e Valencia.
Filippo Ganna vince il Mondiale su pista di ciclismo riuscendo anche nel record dell’inseguimento e la piccola, oggi grande realtà di Conegliano, nella squadra femminile fa il suo personale triplete conquistando dopo il Mondiale per Club e la Supercoppa anche la Coppa Italia.
Laigueglia è una cittadina vacanziera della costa ligure. Intorno a metà febbraio si svolge il Trofeo Laigueglia, diventato nel tempo una buona occasione per i ciclisti per tornare a correre e capire il livello della propria condizione fisica e atletica. Piove, come spesso accade da quelle parti, vince Giulio Ciccone che dopo l’exploit nel Giro 2019 è un osservato speciale e certo non potevamo sapere che proprio il Laigueglia sarebbe stata l’ultima corsa di ciclismo della prima metà dell’anno.
Il primissimo articolo che leggo sul nuovo virus che viene dalla Cina, ancora innocentemente chiamato generalmente coronavirus, è su “Valigia Blu”. Il loro approccio è stato in realtà già il 28 gennaio, un articolo di dati e statistiche, non molto di più quasi a perdersi tra notizie sul caso Gregoretti, riconoscimento della Palestina, diritti civili e cambiamenti climatici. Quando leggo articolo del 21 febbraio nella cui stesura un paragrafo si intitola “Sars-Cov-19 rischia di diventare davvero una pandemia?” fa quasi tenerezza a pensare a noi innocenti, persi dietro le nostre piccole grandi vite indaffarate e frenetiche, che di lì a poco saremmo stati semplicemente travolti in un’immobilità devastante.

Marzo

Il primo campionato a saltare per via del coronavirus è la F1.
Il 9 marzo il ministro dello Sport Vincenzo Spadafora in concerto con il CONI annuncia che lo sport deve fermarsi per la pandemia da coronavirus fino almeno al 3 aprile.
L’Italia entra in stato d’emergenza e ciò che andiamo a vivere è qualcosa che non avremmo mai immaginato che accadesse.
L’ultima partita di Serie A prima del lockdown totale si gioca proprio il 9 marzo. Al Mapei Stadium si recupera SassuoloBrescia, un 3 -0 netto nel quale l’attaccante degli emiliani, Ciccio Caputo, dopo una rete prende in mano un cartello predicando lo «State a casa» che insieme all’«Andrà tutto bene» è uno degli slogan della prima ondata.
Da quel momento, il campionato di Serie A si fermerà totalmente e il mondo con esso, sprecandosi in analogie belliche, non foss’altro per l’unica volta nella quale il campionato è stato sospeso: quello del 1914 – 15 a causa della Prima Guerra Mondiale.
Il 21 marzo, in giorni nei quali si piange sempre per qualcuno, se ne va in una mattina umida e grigia a Senigallia Gianni Mura, giornalista sportivo definito spesso erede di Gianni Brera.

Aprile – Maggio – Giugno

Non pervenuti. Anzi pervenutissimi nelle assenze.
Saltano Europei di calcio, saltano le Olimpiadi e con loro le Paralimpiadi, saltano i tornei di tennis di Wimbledon (curiosamente gli inglesi saranno gli unici ad avere stipulato un’assicurazione contro eventi catastrofici – uno si chiede perché eppure hanno avuto ragione loro – tra cui le pandemie), Madrid, vari Masters e vari Open.
Saltano quasi tutte le gare di ciclismo della primavera e dell’estate e fino all’ultimo si aspetta quantomeno l’abbassamento della curva per permettere al Tour de France di partire come ogni luglio.
Saltano tutte le gare dei dilettanti, serie C, D, eccellenza, promozione, tutto, saltano campionati di bocce, di raffa, volo e petanque, salta il nuoto e con esso gli sport d’acqua.
Saltano il basket e la pallavolo.
Saltano di fatto anche gli Europei di calcio femminile che dovevano tenersi nel 2021 ma il loro posto lo prenderanno quelli maschili, procrastinando ulteriormente al 2022 i femminili.
La Ligue 1, la Serie A francese, decide di non riprendere seguendo l’esempio del Belgio; in Italia una sorte simile toccherà alla Serie A di calcio femminile che non riprenderà più fino a settembre.
Saltano talmente tanti eventi che questi mesi servono a rimodulare agende e incastri possibili per quelli finanziariamente sostenibili con un’unica speranza: che quella maledetta curva si abbassi. Quelli che ce la fanno al massimo vengono rinviati, tantissimi direttamente annullati.
Per non farsi mancare nulla, mentre piano piano termina il lockdown stringente e si dà credito alle riaperture degli esercizi commerciali, mentre riscopriamo l’aria aperta e ritorniamo a una strana forma di vita, in una gara ufficiosa Alex Zanardi rimane vittima di un incidente con il quale, a gennaio 2021, sta ancora lottando.

Luglio

Quando la Serie A ricomincia, ciò che si è vissuto è stato talmente più grande di noi che persino il calcio sembra qualcosa completamente privo di senso. Tornare a parlare di tattica, condizione fisica, screzi sciocchi tra allenatori dopo i numeri esorbitanti dei mesi scorsi è quasi agghiacciante.
Eppure, di qualcosa bisogna parlare, almeno nei TG sportivi.
Riprendono con cautela gli eventi: la Serie A ricomincia ufficialmente il 22 giugno ma è estate, è un cortocircuito al quale gli appassionati come me non sono abituati.
Riprende tra bolle, gel, mascherine, tamponi ogni giorno, tutto lo sport che è possibile praticare evitando assembramenti e pubblico.
Si riprende giocando tantissimo e molto spesso: gli organi del calcio decidono un protocollo da seguire e decidono che tutte le gare si dovranno disputare tra la fine di giugno e l’inizio di agosto, il 2 per la precisione.
Apparentemente funziona, ma è tutto diverso: il bel duello punto su punto tra Juventus e Lazio è un appassito ricordo, i torinesi sono inguardabili ma hanno panchina, società e abitudine a cavarsela quando le cose girano male, per cui fanno le brave formichine mentre crolla totalmente la Lazio, irriconoscibile, che non riesce a essere spumeggiante come a inizio anno. Il Milan, semplicemente, rifiorisce: il 22 dicembre 2019 si gioca Atalanta – Milan, il tecnico Marco Giampaolo è stato appena esonerato e viene scelto Stefano Pioli. Quella partita, in una Bergamo soleggiata e freddissima, termina 5 – 0 per i bergamaschi. Io sono in partenza per la Liguria, dalla suocera e coi cognati e i nipoti per il capodanno, mi metto le mani in faccia nei miei cinque minuti di desolazione rossonera e non ci penso più, davanti a me ho, gustandomeli già in autostrada, i pansoti al sugo di noci, la Bianchetta genovese, la focaccia al formaggio, il Vermentino fresco bevuto ai Bagni Bergamo sotto la Colonia Fara di Chiavari, se ci scappa anche una partita al Comunale per vedere la Virtus Entella (accadrà, il recupero del 26 dicembre nel super derby del Tigullio contro lo Spezia), il Milan è già dimenticato.
Eppure, dicevo, semplicemente, rifiorisce. A gennaio 2020 era arrivato Zlatan Ibrahimovic, a molti sembrava un rimpasto dai contorni molto dubbi e invece risulterà essere una scelta decisiva. Ibrahimovic ribalta la squadra, da professionista prende per mano i giovani e li motiva, Stefano Pioli fa un gran lavoro e la società sembra essere presente. Praticamente un sogno. Anche all’Atalanta fa bene la sosta forzata e riprende scoppiettante come aveva lasciato nonostante scoppi il caso Josip Ilicic. Non viene detto perché, non viene spiegato nulla, il giocatore sloveno non torna in squadra e voci di corridoio parlano di depressione.
Le sorprese non finiscono, il campionato si ribalta totalmente e insospettabilmente rispetto a marzo quando tutto si ferma, cambiano le posizioni in classifica: Juve campione, in Champions Inter, Atalanta, Lazio, Roma, Milan e Napoli in Europa League (Milan preliminari e Napoli per la vittoria della Coppa Italia), retrocesse in Serie B Lecce, Brescia, Spal.

Agosto

Finisce la Serie A e gli altri campionati ma ricomincia la Champions e l’Europa League.
A causa della pandemia viene ridefinita la formula, per cui bolla, controlli costanti e final eights, Europa League in Germania, Champions in Portogallo.
L’Atalanta in Champions sfiorando il sogno della semifinale viene beffata nel recupero dal PSG che in finale ci arriva ma perde contro il Bayer Monaco, la Juventus non arriva nemmeno ai quarti ed esonera Maurizio Sarri chiamato sulla panchina bianconera solo per la conquista della Champions.
Le uniche due italiane che rimangono in Europa League, Roma e Inter, vengono entrambe sconfitte dalla stessa squadra, il Siviglia, abbonato alla vecchia Coppa UEFA, che riconquista per l’ennesimo anno. Ma l’Inter del primo anno di Antonio Conte funziona e convince.
La Champions a Ferragosto è come la neve: non pensavi mai sarebbe accaduto.
Nel frattempo ritorna il ciclismo: gare come la Milano – Sanremo, il Giro del Delfinato, il Lombardia, i Campionati Nazionali ed Europei si svolgono una dietro l’altra.
Nei Nazionali, Filippo Ganna vince la crono e Giacomo Nizzolo la prova in linea, nella quale si ripeterà agli Europei.
Prove grandiose per le azzurre del ciclismo: tra le Under 23 Elisa Balsamo conquista l’oro come la connazionale Eleonora Gasparrini nella categoria Donne junior.
Un ciclista su tutti attira l’attenzione: è il belga Remco Evenepoel che dopo un 2019 molto, molto promettente si aspetta, e noi con lui, un finale di 2020 notevole.
Nella discesa della Colma di Sormano che porta al Lago di Como però, all’altezza del ponte con il muretto in pietra, il ventenne vola giù per oltre 10 metri riportando tra le altre la frattura del bacino che sancisce la fine della sua stagione.
Il 31 luglio iniziano anche i playoff di NBA. Al Disney World Resort di Orlando in Florida, la federazione decide per quella che inizieremo a conoscere come “bolla” e che verrà usata per altri eventi sportivi: la bolla funziona, neppure un solo caso di positività da COVID, i giocatori e lo staff di fatto abitano lì senza poter uscire e vedere nessuno. Vincono l’Anello i Los Angeles Lakers in onore del mai dimenticato Kobe Bryant.
Il 22 agosto invece riprende finalmente la Serie A femminile.

Settembre

A fine agosto parte anche il Tour de France dopo che a metà giugno viene dato l’ok sanitario. È un Tour strepitoso, stranamente settembrino, via le montagne simbolo dal percorso e nuove tappe modificate anche dall’espatrio sulle montagne italiane o spagnole. Un Tour tutto francese e champagne, ed è palpabile l’emozione, un po’ perché la Grand Boucle si fa e un po’ perché sembra un ritorno alla vita.
Si parte da Nizza, una Nizza grigia e grondante pioggia nella quale già alla prima tappa si fa selezione: cadono in tantissimi, tra i quali Thibaut Pinot che per il secondo anno consecutivo (dedicandosi esclusivamente alla preparazione per il Tour) deve abbandonare un paio di tappe dopo. Restano sulle due ruote giovani dei quali si sentirà parlare: il cambio generazionale si era intravisto nel Tour 2019 ma questo Tour 2020 lo certifica.
Ogni tappa è emozionante, la maglia gialla cambia ogni giorno, via via Julian Alaphilippe, Adam Yates, Primoz Roglic se la giocano. Via via però la classifica cambia e molti diretti interessati escono persino dalla stessa, perdendo ogni speranza nella vittoria finale. Quando Roglic conquista la maglia gialla, la cura, sa che può perderla e riconquistarla allo stesso modo, i nomi grossi sono spariti ed è rimasto un compaesano molto giovane, Tadej Pogačar. L’ultima tappa, una crono, regala una delle cose più belle mai viste in un gara ciclistica: lo sloveno Primoz Roglic tiene botta, arriva da primo e con 57 secondi di vantaggio sugli inseguitori in classifica, praticamente una botte di ferro.
Ma non sarà così.
L’unica salita delle classiche che rimane nel percorso è proprio in questa tappa con l’arrivo alla mitologica Planche des Belles Filles, Roglic parte, ma a metà inizia a perdere secondi, arranca, è scomposto sulla bici, va fuorigiri. Quando parte Pogačar, nella sua pedalata fluida e ritmica, Roglic sta perdendo un sacco. Ed è qui che si compie l’impresa. Il giovane sloveno va a manetta, Roglic è senza fiato, Pogačar acquista secondi su secondi, superando il connazionale, supera così prepotentemente Roglic che finisce col conquistare maglia gialla e dunque il Tour, maglia a pois per il miglior scalatore e pure la bianca come miglior giovane. L’Equipe impazzisce nella sua prima pagina, il ciclismo mondiale altrettanto, noi telespettatori a ripensarci siamo ancora a bocca aperta.
Contemporaneamente si svolge la Tirreno – Adriatico, gara che io amo infinitamente, e i Mondiali di ciclismo su strada che avrebbero dovuto svolgersi in Svizzera ma che vengono invece disputati a Imola a causa del rialzamento dei casi di COVID nel paese dei cantoni.
Curiosa la scelta dell’Italia da parte dell’UCI, il comitato internazionale del ciclismo, per chi tende a lamentarsi sempre del paese: quelli dell’UCI li si è convinti sulla base di maggior sicurezza sanitaria rispetto agli svizzeri.
Il 19 settembre inizia anche la Serie A. C’è un protocollo sanitario, nuove regole, apparentemente sembra che ci sia un piano strutturato. Tornano persino gli spettatori allo stadio, un migliaio appena e i primi della prima partita in tutti gli stadi sono medici, infermieri, oss, coloro che hanno evitato che la strage fosse più ampia.

Ottobre

Però i contagi ritornano a salire.
Il Giro d’Italia si veste di un cappotto autunnale e la federazione prova “la bolla”: i corridori vivranno tra la bicicletta e l’albergo, niente di più, tamponi a tutta randa nel giorno libero, non avranno contatti con l’esterno, nemmeno con i giornalisti le cui interviste si fanno a distanza col microfono con l’asta e separati da due file di transenne. Persino le interviste per il classico Processo alla Tappa vengono svolte in un cabinotto a parte col ciclista che appare in ologramma sul palco di Alessandra De Stefano.
Come il Tour anche il Giro è emozionante, ma a differenza della Grand Boucle è costellato di ostacoli, dalle positività varie agli abbandoni di squadre, da polemiche più o meno fittizie ai contagi nazionali che salgono vorticosamente. Il direttore del Giro, Mauro Vegni, fin dall’inizio ha una sola frase: «Arriviamo a Milano».
E come il Tour anche al Giro i nomi noti arrancano e controllano dall’alto dell’esperienza, Fabio Aru viene di fatto licenziato in diretta telefonica da Giuseppe Saronni mentre Vincenzo Nibali si dimostra un gran campione, e i giovani si prendono tutta la scena. Filippo Ganna veste la maglia rosa le prime due tappe, poi la cede al portoghese Joao Almeida che tiene la maglia per ben 16 tappe, intanto dietro si alternano in classifica Wilco Keldermann, Jai Hindley e Tao Geoghegan Hart e saranno loro tre a sfidarsi per la vittoria del Giro.
Come al Tour tutto si decide all’ultima tappa: il britannico Geoghegan Hart vince il suo primo Grande Giro. E Mauro Vegni riesce con il suo Giro ad arrivare a Milano.
In Serie A invece i casi di positività non lasciano tregua e il protocollo inizia a vacillare.
Il 27 settembre si gioca Napoli – Genoa, finisce 6 – 0 e il Genoa ha qualche caso di positività. Sembrerebbe tutto sotto controllo, il protocollo dice che per giocare servono un numero tot di giocatori, tamponi 48 ore prima delle gare, test sierologici e isolamento.
Il problema nasce quando al 3 ottobre nel Genoa scoppia un focolaio contando dai 3 giocatori iniziali altri 22 positivi. Il Genoa sospende gli allenamenti, isolamento per tutti, a rischio Genoa – Torino che infatti salta per l’eccezionalità della situazione (il protocollo non prevedeva l’ipotesi “focolaio”) e viene recuperata il 4 novembre. Un altro problema però nasce dal Napoli. È il Napoli che ha giocato l’ultima partita contro il Genoa e il Napoli che nel frattempo conta un paio di positivi, domenica 4 ottobre, deve affrontare a Torino la Juventus. E qui il protocollo e i vertici della federazione vanno in tilt: il Napoli viene fermato dalla Asl onde evitare l’allargamento dei contagi dunque in funzione del rispetto sanitario e non parte per Torino, la Juventus scende comunque in campo e la regola dice che se la squadra avversaria non scende in campo entro 45 minuti, è 3 – 0 a tavolino, più un ulteriore punto in meno per non essersi presentati. Apoteosi. Il protocollo oltre a non considerare la “faccenda focolaio” non prevede neppure un dialogo con altri organi che non facciano parte del loro giro e le Asl non lo sono. Il Napoli non ci sta, ci mette di mezzo il tribunale sportivo che prima contesta la sconfitta a tavolino invece certificata dalla Lega di Serie A poi chiede di rigiocarla. Indignazione social, Rubentus e tutto il repertorio, fino a che si decide: via i punti di penalizzazione, Juventus – Napoli si gioca, quando non si sa ma si gioca.
Ovviamente, a questo punto, è evidente la falla mostruosa del protocollo stilato in estate, ma al momento si va avanti così: raddoppiati i controlli, via gli spettatori dagli stadi, si capisce come fare con le Asl e si continua a sperare che non accadano altri focolai o situazioni come Juventus – Napoli.
La prima vittima sacrificata del rimpasto ciclistico però è la bellissima e leggendaria Parigi – Roubaix, il cui trofeo è un sanpietrino. La gara è famosa tanto quanto la libreria di Shakespeare a Parigi, ma la Francia sempre molto sportiva nell’affrontare la pandemia ne viene irrimediabilmente travolta e la corsa a malincuore viene cancellata definitivamente.
Si corre invece la Vuelta di Spagna. Gli spagnoli seguono anch’essi la regola della bolla, anche se cambiano quasi completamente il percorso: via le tappe in Francia e quelle in Portogallo, tappe tra Asturie, Galizia, Cantabria e Paesi Baschi, montagne e colline rompepiernas nella Riserva Naturale basca Urdaibai, via tutto il sud, vento, pioggia e freddo per i corridori. E anche questo grande giro regala emozioni. Per la prima volta lo seguo tutto, di solito nel calendario usuale agostano lo salto per ovvie ragioni marittime, ma nel 2020 mi metto in gioco e ci disegno le Figurine de La Vuelta, una figurina al giorno, non solo i vincitori, spesso i gregari, ancora meglio le anime e le storie dei ciclisti. E’ una sorpresa continua. La competizione è molto bella, una Spagna decisamente diversa e finalmente Primoz Roglic, non senza qualche difficoltà, vince.

Novembre

Marzo sembra lontanissimo eppure la curva torna a salire.
Lo spifferato nuovo lockdown declinato nelle zone a colori e in nuove restrizioni più leggere sono alla porta. Per vivere un sereno Natale in famiglia, dicono.
Noi siamo cambiati, non ce ne accorgiamo ma lo siamo e, con noi, il mondo.
La Serie A si gioca senza troppi intoppi, la stagione del ciclismo termina con i Campionati Europei nella bulgara Plovdiv e i ciclisti scelti sono un rattoppo sul rattoppo tra i positivi di COVID, infortunati e indisposti. Ma è il femminile che, di nuovo, regala medaglie preziose: sono oro Martina Fidanza nello Scratch, Elisa Balsamo nell’Omnium e sempre Balsamo con Vittoria Guazzini nell’Americana.
Torna la Coppa Italia, la Champions, l’Europa League. Ripartono tutti gli sport, dal basket alla pallavolo, all’NBA.
Ma il 2020 bisogna viverlo fino in fondo.
Il 25 novembre viene data la notizia della dipartita di Diego Armando Maradona.
È morto dio.

Dicembre

Dato che anche dicembre non voleva essere da meno, il 9 dicembre ci lascia anche il Pablito nazionale, Paolo Rossi, il simbolo della Nazionale del Mondiale di Spagna del 1982, quello vinto trionfalmente con il Presidente Sandro Pertini in tribuna a esultare e in aereo a giocare a carte con Zoff, Causio e Bearzot. Paolo Rossi è il simbolo di un’Italia che usciva distrutta dagli anni di piombo e che ricominciava da quel 1982 dopo le stragi del 1980, Ustica e Bologna su tutte. Con quella Nazionale la gente tornava in piazza per festeggiare e non per spararsi come era stato nel decennio precedente e quei ragazzi erano i ragazzi di allora, che tornavano a vivere e a costruire.
Paolo Rossi e Maradona sono la mia infanzia e la mia adolescenza che se ne vanno, sono i poster che attaccavo alle pareti della cameretta e che sono ingialliti e strappati, chiusi o addirittura persi in qualche scatolone di trasloco in trasloco.
La Serie A si avvia alla pausa natalizia, Milan e Inter sorprendentemente si giocano la vetta della classifica, scoppia il caso Papu Gomez con un irreparabile frattura tra il giocatore argentino e l’allenatore Gian Piero Gasperini. L’Atalanta sta dalla parte del tecnico e Gomez viene messo marginalmente fuori squadra. Nel frattempo, l’assenza del numero 10 viene ovviata dal ritorno di Josif Ilicic che torna in forma, lascia i fantasmi della guerra della ex Jugoslavia (gli Ilicic sono bosniaci-croati, il padre è morto ucciso da un vicino serbo e i membri della famiglia sono scappati in Slovenia come rifugiati di guerra) ritornati prepotentemente fuori dalla Bergamo azzoppata dal COVID in una parte di sé che riesce a gestisce ed esce dalla conseguente depressione grazie a una psicoterapia vincente.
Vederlo tornare a giocare, a giocare così con quell’estro e quella genialità, è una delle belle notizie del 2020.

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