Monsters di Barry Windsor Smith: una lettura

Claudio Calia | Affatto |

La storia è nota, ma ogni volta che la cito c’è qualcuno che non la conosce perciò la riassumo qui. Siamo nel 1984 e Barry Windsor-Smith è il disegnatore di alcune storie sparse di Daredevil, X-Men, Avengers e Ka-Zar ed è conosciuto soprattutto per il suo lavoro, dal 1970 al 1974, su Conan il barbaro, sulle cui pagine si è emancipato dalle influenze di Jack Kirby e ha sviluppato, davanti allo sguardo dei lettori, lo stile che lo ha reso popolare. È luglio. Possiamo dedurre il clima della redazione Marvel Comics, al tempo diretta da Jim Shooter, da varie foto d’epoca.

Nonostante del clima in redazione in questi anni, che hanno prodotto alcune delle cose migliori di sempre di Marvel, si sia successivamente parlato in modo molto critico, soprattutto per la discussa gestione di Shooter, l’ambiente sembra molto poco formale. Sono tempi in cui internet non c’è, esistono ancora le cabine telefoniche, le tavole vengono spedite per posta. Insomma… la redazione non è un freddo ufficio per colletti bianchi ma è un via vai di persone e idee in movimento. Probabilmente entrando in un giorno a caso tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta avresti potuto trovare Steve Gerber in piedi su un tavolo a spiegare una posa del Nottolone a Sal Buscema seduto di fronte, Jim Steranko discutere con Roger Stern dell’opportunità di omaggiare Wally Wood su una copertina di Nick Fury Agent of Shield, Jim Starlin riprendersi da una nottata lisergica prendendo appunti per il prossimo numero di Warlock.
In questo clima Barry Windsor-Smith passa in redazione. Fa caldo mentre racconta a Jim Shooter un’idea che ha avuto per una storia di Hulk. Non è per un numero della serie regolare, scritta da anni da Bill Mantlo e disegnata da Sal Buscema, che, nonostante quello che se ne scrive in Italia, sono autori rispettati che lavorano su una testata, “Hulk”, che vende bene e dalla quale nessuno ha intenzione di spostarli. Pare che Jim Shooter accetti il soggetto pianificandone un albo one-shot scritto e disegnato dal fumettista inglese: un oggetto deluxe, di 48 o 64 pagine, incentrato sul rapporto tra Bruce Banner e il padre, mai rivelato finora. Un’amara storia di violenza familiare alle origini della rabbia permanente di Bruce Banner che lo ha in qualche modo predestinato a essere Hulk. Windsor-Smith esce dalla redazione con una commissione in pugno, una commissione importante. Lascia a Jim Shooter il soggetto. In redazione.

È un casino, il Marvel Bullpen. Un via vai di soggetti e matite, inchiostri e lettering. Non ci sono mica le scansioni. Uno arriva, appoggia là le sue cose. Un altro passa, lascia pure lui in giro qualcosa, magari si siede e fa una chiacchiera con John Verpoorten per discutere della prossima copertina di “Hulk”. Magari si chiama Bill Mantlo e vede sul tavolo il soggetto di un disegnatore britannico che ritiene presuntuoso, perché è profondamente convinto che i fumetti sì, insomma, siano anche una questione di quantità. Mantlo partecipa attivamente alle polemiche del “Comics Journal” e non lo fa per rispondere a critiche del suo lavoro – che, anzi, a volte è osannato perché l’autore prende posizioni impopolari su fumetti di consumo (come quella volta che, in un numero di “Howard il papero”, ha inserito la polizia che spara a degli studenti universitari) – ma per metterla sul numero di pagine prodotte nel corso di una carriera. Fare fumetti è un lavoro, per Bill Mantlo, il suo lavoro preferito probabilmente, ma non concede alcuno spazio ad alcuna visione artistica del fumetto: è un prodotto di consumo da vendere ai ragazzini, e la sua qualità si misura sul numero di copie vendute, sulla quantità di pagine prodotte, sulla capacità di vivere di questo lavoro. Pensiamo ora a Bill Mantlo che passa dalla redazione che frequenta da anni e per la quale scrive alcuni dei successi più venduti (“Rom the SpaceKnight” e “The Micronauts”). Si guarda in giro e trova, appoggiato su un tavolo, il soggetto di un disegnatore inglese freelance su “Hulk”. E non è una storia qualunque: è una storia che, parlando del padre di Bruce Banner, scava nelle origini del personaggio, condizionando potenzialmente le storie della serie regolare. O forse, chissà, più semplicemente Jim Shooter ha chiesto a Bill Mantlo un parere sulla storia scritta da questo disegnatore britannico sul personaggio che gestisce da tanti anni. Il fatto che rimane agli atti è che nel numero 312 della serie regolare di “Hulk” (datato ottobre 1985 e pubblicato in Italia, da Panini, lo scorso gennaio ne “L’immortale Hulk” numero 31) appare un fill-in dentro a Secret Wars II,un crossover funesto orchestrato dal boss Jim Shooter. L’episodio, che s’intitola Monster, è scritto da Bill Mantlo e disegnato da Mike Mignola e racconta una storia molto simile al soggetto che Barry Windsor-Smith ha presentato in redazione.

Troppo simile. Il disegnatore britannico si arrabbia, abortisce il progetto su Hulk. Continuerà a collaborare saltuariamente con Marvel, sfornando alcune delle sue opere probabilmente più conosciute, da alcuni numeri degli X-Men incentrati sul personaggio di Tempesta alle origini di Wolverine in Weapon X serializzata sulle pagine dell’antologico “Marvel Comics Presents”. Bill Mantlo non la passa liscia, eh. Viene punito per aver copiato il soggetto di Barry Windsor-Smith e declassato d’ufficio alla serie “Alpha Flight”, costretto ad abbandonare il “suo” Hulk. Bill Mantlo è un personaggio complesso, cui la vita non ha voluto bene. Qualche anno dopo abbandonerà il fumetto per intraprendere la professione di avvocato. Nel 1992 mentre si reca a lavoro sui rollerblade viene investito da un auto, rimane invalido a vita, sarà il fratello ad assisterlo, per molti anni, nelle mancanze di un sistema sanitario tra i più folli nel mondo occidentale. Poi pare che con il riconoscimento della creazione del personaggio di Rocket Raccoon, diventato celebre con i film dei Guardiani della Galassia, si sia guadagnato la possibilità di essere assistito a vita. Una storia triste, da qualunque parte la si veda. Ma Barry Windsor-Smith, nel frattempo, non ha mai smesso di coltivare la sua vendetta. Pagina dopo pagina, boccetta di inchiostro su boccetta di inchiostro, tratteggio su tratteggio. Implacabile, lungo 35 anni di lavoro. Barry Windsor-Smith non ha in realtà mai abbandonato quel soggetto. È cresciuto, esondato. Si intitola Monsters ed è uscito all’inizio di quest’anno per Fantagraphics.

La mia bolla sui social è esplosa quando è uscito Monsters. Riesco a essere davvero molto sbadato con le date: mi ero convinto su una, invece era un’altra; insomma, la canno miseramente arrivo poche ore dopo l’uscita rendendomi conto dell’errore e niente, esaurito. Mi faccio assistere da Omar Martini in una delicata opera di recupero e, attraverso un ordine diretto su Amazon.uk, riesco a ottenere una copia dell’edizione inglese Penguin.

Se un autore come Barry Windsor-Smith cova un lavoro per 35 anni, lui che potrebbe vivere serenamente di copertine e commission mercenarie, ci sarà bene un motivo. Il libro arriva, lo scarto, e l’aspetto è… maestoso. Grafica elegante, un disegno preso dall’interno colorato blandamente, cartonato e… grosso. Molto grosso. Barry Windsor-Smith non si è certo girato i pollici in 35 anni di lavoro, infatti siamo di fronte a un oggetto composto da quasi 370 pagine di fumetto. In bianco e nero. Secondo me qualcosa c’è, in digitale, ma sono pronto a scommettere esista almeno un foglio di carta per ogni tavola: tutto odora di artigianato manuale, di costante dedizione, di amore per il fumetto, di rispetto estremo per la forma e rigore nel disegno.
Poi, come credo chiunque lo abbia preso, davvero tanti nella mia bolla, dopo averlo sfogliato velocemente l’ho appoggiato là, su una pila perenne di fumetti da leggere, lentissima a sgretolarsi.

È un sabato mattina, come tanti. A differenza di tanti, invece, questa mattina Paolo Interdonato ha voglia di fare una chiacchiera su QUASI e Oblò – APS. È ormai noto a tutti, nel micromondo di QUASI, che l’editore – che sarei io – non esercita ingerenze nei confronti della redazione, e se mai ha consigliato qualcosa questa è sempre stata accolta con diplomatica indifferenza. Un mio cruccio è che ormai, leggiamoci intorno, le recensioni scarseggiano. Tutta la comunicazione del fumetto è basata su anteprime, interviste e comunicati stampa. Non sto dicendo che non esistono eh, ma anche a causa delle continue uscite che sono impossibili da seguire, le opere che vengono recensite sono poche. A me piacerebbe che Quasi “fissasse” nel tempo alcune opere che si ritengono importanti aprendo al dibattito, ospitando interventi, fuori dalla redazione, magari anche in contrasto tra loro. Mi piacerebbe fornire ai lettori degli strumenti per capire “perché”, anche se quel graphic novel ha venduto 300 copie in libreria, è ritenuto “importante”. O perché no, magari. E parliamo di questa cosa, come al solito mi dà ragione su tutto e come al solito tutto finirà nel dimenticatoio. Mentre parlo di questa cosa, per fare esempi, parto con Rusty Brown – ma non convince né me né lui – e poi mi cade l’occhio proprio su quella (mica è una, eh) pila di fumetti da leggere che non si sgretola mai e dico animosamente ad alta voce, tanto che il mio vicino di casa mi ha mandato un WhatsApp chiedendomi se stavo bene: «Monsters di Barry Windsor-Smith, tutti ce l’hanno e nessuno ne parla, perché? Nessuno parla di Monsters, diamine e poffarbacco!»

Paolo possiede Monsters, non trova la sua copia al momento, non lo vedo convinto dell’importanza dell’opera e cominciamo a parlarne un attimo e quanto mi duole dirvelo, amici miei, che la chiave di lettura di quest’opera alla fine, me l’ha data proprio lui, con questa pulce nell’orecchio. Parlandone Paolo, a un certo punto, si chiede ad alta voce qualcosa tipo «ma come mai uno come Gary Groth, che odia da sempre i supereroi e che sostiene che il fumetto di supereroi ha rovinato il mercato del fumetto, pubblica un libro di un autore che ha contribuito profondamente a creare questo tipo di immaginario?».
Già, come mai?
Lo leggo.
Monsters è un atto di vendetta. Lucido, pianificato, chirurgico. Ammetto che ancora adesso non so se prendere in simpatia questa cosa o esserne spaventato.

Io davvero ci provo, a non fare spoiler, ma da qui in avanti il terreno diventa minato, ti avviso. La prima cosa che mi ha colpito è il rigore. Il rigore dell’impaginazione, basata su una gabbia ideale di nove vignette ma adattata a ogni occasione in una gabbia pronta a liberarsi e ricomporsi. Una cosa da disegnatore che mi ha investito è lo sguardo, sempre molto “stretto” sui personaggi e sulle cose, a volte a mio avviso troppo. Ma, leggendolo tutto in una soluzione, penso che anche questa sia una cosa meditata, che consente a Windsor-Smith di “allargare” lo sguardo con prospettive deformate per dare risalto ad alcuni snodi importanti della narrazione.

In 35 anni e (quasi) 370 pagine Monsters non è più quel progetto su Hulk. Ora che ho letto le due storie, quella di Bill Mantlo e questa, si può vedere chiaramente a che fase di lavorazione embrionale fosse questa storia su quel tavolo della redazione Marvel e quanto Mantlo abbia davvero preso qua e là alcuni elementi in modo piuttosto rozzo, adatto al pubblico seriale de “L’Incredibile Hulk”. Barry Windsor-Smith non ha preso affatto bene quel furto. Affatto.

Non posso credere che Barry Windsor-Smith si sia disinteressato, negli anni, al fumetto di supereroi. A parte avere partecipato, con cose più o meno fortunate, da una produzione abbastanza vasta per la prima Valiant (di Jim Shooter, tutto torna, eh), a Malibu, a Dark Horse in diversi progetti personali, oltre alle saltuarie collaborazioni con Marvel, non posso credere che nel tempo, un lungo periodo durante il quale ha covato e coltivato la sua vendetta a suon di tratteggi e inchiostri, non abbia letto fumetti di supereroi. Almeno le opere più importanti, quelle più rilevanti dal punto di vista del mercato e della reputazione e, perché no, della qualità artistica. Non riesco a credere, dopo la lettura di Monsters, che Barry Windsor-Smith non abbia mai letto Marvels di Kurt Busiek e Alex Ross. Anzi, sono convinto che Marvels abbia fornito al nostro la chiave di lettura, la sottile lama affilata, con la quale esercitare la sua vendetta.

Marvels risponde all’ipotetica necessità del lettore di leggere le prime avventure dei suoi supereroi preferiti dal punto di vista di una “persona normale”, inserendo in contesti realistici la continuity dell’universo Marvel avvalendosi dei disegni iperrealistici di Alex Ross. Fu Ross a presentare il progetto e a decidere di avvalersi di Kurt Busiek come sceneggiatore, ma ritenendo che si fosse allargato un po’ troppo nella collaborazione, non lavorerà più con lui in futuro. Non si aspettava che il progetto diventasse un’opera riconosciuta “alla pari” tra i due autori, avendo sempre pensato a una sorta di Alex Ross’s Marvels con la collaborazione di Kurt Busiek ai testi. La storia del fumetto di supereroi è costellata, come stiamo vedendo, da questo tipo di conflitti creativi.
Le meraviglie che danno il titolo a Marvels sono, ovviamente, i supereroi. La loro vista abbacina, toglie il fiato. La storia illustra una visione tutto sommato positivista della società, in un momento editoriale in cui i supereroi più venduti erano quelli che riuscivano a essere più cattivi di tutti, più violenti di tutti, più disprezzati da tutti, Marvels restituisce al fumetto supereroistico quel lato di “meraviglia” che accompagnò la loro comparsa nel mondo editoriale. Una ventata di ottimismo: i supereroi avrebbero reso migliore questo mondo, mica come in Watchmen, mica come ne Il Punitore.

Barry Windsor-Smith ha sicuramente letto Marvels. Anzi, di più, Marvels gli ha messo sotto gli occhi una chiave interpretativa. Cosa ci racconta, Monsters?
La storia si apre letteralmente con una scena che abbiamo letto o guardato decine di volte. Le origini di Capitan America. Un giovane Steve Rogers, che qui si chiama Bobby Bailey, che si consegna all’esercito per testare quello che nel fatato mondo dei supereroi è “il siero del supersoldato”. Non voglio rivelare troppo della trama, diciamo che le origini degli studi genetici per realizzare il super soldato derivano direttamente, nella storia, da brutali esperimenti genetici su ebrei e zingari svolti dai nazisti in Germania, e che l’esperimento rende Bobby, dopo settimane di torture, un essere enorme e mostruoso, deforme. Hulk, insomma, destinato a una vita in fuga dai militari che, spietati, per riprenderlo sono disposti a distruggere interi quartieri abitati da civili. Compaiono angeli, in Monsters, compaiono ragni ma il loro morso non ti spinge a dondolarti sui tetti, compaiono anche poteri mutanti ma trattati alla stregua di problemi psichici o, peggio, punizioni divine.

I supereroi nel mondo di Monsters sono frutto di atroci devianze di governi e eserciti, non sono eroi: potremmo considerarli “vittime”. Come sarebbe il mondo se esistessero i supereroi, proprio quelli, quelli del siero del supersoldato, dell’uomo ragno e del perseguitato Hulk, nella nostra realtà? Meraviglie, ci ha raccontato Alex Ross in Marvels. «I soliti sangue e merda di tutti i giorni», pare rispondere Windsor-Smith nel suo lavoro più ambizioso, dove la parola “monsters” nel titolo non indica i protagonisti (che lo sono, tutti), e neppure sottolinea la scontata metafora de «i mostri siamo noi» (lo siamo): serve a mettere in evidenza la contrapposizione programmatica, fin quasi paranoica, durata più di trent’anni ed esercitata con metodicità nella vendetta verso quel genere che, da un lato, ha monopolizzato il mercato e, dall’altro, gli ha… soffiato un soggetto.

L’ho già detto, non lo so se dedicare una parte così ampia della propria vita a una vendetta pianificata e metodica sia segno di grande serenità. Sospetto di no, mi dispiace proprio per Barry Windsor-Smith e mi vien da dirgli «fattela una risata, ogni tanto». In ogni caso, il frutto di questa vendetta è un lavoro importante, profondo e meditato. Non riesco a usare il termine “capolavoro” perché voglio tenermelo stretto, ma di sicuro siamo davanti a un’opera importante. Chiudo con una citazione da un programma televisivo rappresentato verso la conclusione della lunga saga (che, non l’ho detto, è esercitata con maestria tra salti temporali e connessioni che tornano sempre, va letto con attenzione per cogliere tutto) che forse rappresenta, da sola, la poetica del libro:

«…and it seems that a story published by “The National Enquirer” some months ago could prove the saying that “truth” is “stranger” than fiction…»

Monsters, p. 338

L’edizione italiana di Monsters di Barry Windsor-Smith sarà in libreria il 14 settembre per Mondadori Ink.

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