Playlist: Proprio qui proprio ora / Zeitgeist

Quasi | If I Can't Dance, It's Not My Revolution |

LATO A: ORA

#1

Lo zeitgeist è un concetto inventato da quel paraculo di Hegel (lo spirito del tempo, che stronzata! Due cose che non esistono, lo spirito e il tempo, in un’unica espressione- che come tutti i concetti idealistici non ha nessun riscontro nella realtà fattuale, epperò – assunto come dato esistente – ci rompe i coglioni da più di due secoli con le sue implicazioni ideologiche e sociologiche. Solo Edgar Morin e Rino Gaetano sono riusciti a smascherarne l’inganno. Il saggio di Morin vattelo a leggere, si intitola uguale: Lo spirito del tempo. La canzone di Rino te la metto in questa playlist. [BB]

#2

Poi, oh, come concetto non esiste. Ma l’album che gli Smashing Pumpkins hanno intitolato così, a me piaceva un casino. [BB]

#3

«L’urlo di sempre che dice pian piano, non siamo, non siamo, non siamo…»
Non saprei dove trovare miglior definizione dello spirito del tempo, se non in questi splendidi versi che chiudono una delle ultime belle canzoni di Guccini. E visto che stavolta non ce lo ha messo Paolo, lo metto su io il vecchio Guccio. [BB]

#4

Zeitgeist… Hmm… Coi tempi ci vado proprio d’accordo. Preferisco sempre quelli che sto vivendo a quelli passati. Gestisco con grande facilità i rimorsi e, impegnandomi un po’, me la cavo perfino con i rimpianti. Ho qualche problema con lo spirito. In tutte le sue accezioni. Per esempio, mica l’ho mai capito perché Filippo Scòzzari, quando è arrivato al “Mago” ha dovuto firmare i suoi fumetti con uno pseudonimo. È una di quelle storie che sentono di un passato in cui gli autori italiani di letteratura di genere dovevano scegliersi un nome americano (e le autrici, cui è sempre andata peggio, un nome maschile). Scòzzari è sempre stato molto consapevole. Per questo è sbagliato trattarlo come se fosse un vecchio rincoglionito quando dà fiato alle sue pulsioni più schifose: lo ha sempre fatto di proposito, dimostrando che un genio assoluto (capace di adattare Il mar delle blatte di Tommaso Landolfi in un gioiello ineludibile) può essere un individuo con cui non vorremmo condividere nessun momento conviviale. Scòzzari, come dicevo, è sempre stato un uomo consapevole e, quando lo hanno costretto a scegliersi uno pseudonimo, lui ha estratto un nome perfetto da una pellicola di Brian De Palma: Winston Leech. Te lo ricordi? È Il fantasma del palcoscenico, il compositore di questo brano che dice benissimo lo spirito dei tempi. [PI]

#5

L’altro spirito con cui non vado particolarmente d’accordo lo sorbisco dal bicchiere a piccoli sorsi interrotti. È bello avere Boris come amico, perché non devo mai giustificarmi quando, tipicamente prima di incominciare a sproloquiare, non riesco più a bere. Ci pensa lui.
Qualche mese fa è morto Tuono Pettinato. Non beveva ma era gentilissimo ed era difficile sentirgli dire «no». Se qualcuno si offriva di riempirgli il calice, non rifiutava. Mai. Poi, per tutta la cena, portava quel bicchiere alle labbra, durante tutti i brindisi, e faceva finta di bere. Una volta l’ho intervistato durante una festa di Radio Onda d’Urto. Alla fine dell’incontro, siamo rimasti a chiacchierare con Arabella all’interno della Libreria del gatto nero e, mentre parlavamo di concerti con strumenti giocattolo, continuavano a offrirci del vino rosso cattivello in bicchieri di plastica. Al secondo bicchiere, ho iniziato a rifiutare con cortesia. Tuono, invece, mostrando un’attitudine al convivio più sviluppata della mia, sorrideva e ringraziava, ogni volta che gli porgevano un bicchiere. Poi, dopo qualche minuto, come un consumato prestigiatore, ricominciava a muovere misuratamente nell’aria mani vuote. Alla fine della serata, dietro ogni pigna di libri, c’era nascosto, con grande precisione, un bicchiere intonso di vino rosso. [PI]

#6/7

Che poi c’è anche un terzo spirito con cui non mi sento troppo a mio agio. Quello delle barzellette. Non riesco a pensarci senza sentire una vocina stridula che starnazza: «Ma tu lo sai cosa diceva Freud del motto di spirito?». No. Non lo so. E non voglio saperlo. Diglielo tu, Tom. [PI]

#8

Nel 2016 Anohni (già Antony di Antony and the Johnsons) pubblica come solista l’album Hopelessness che segna anche una svolta elettronica e politica nella sua evoluzione di artista e attivista. La sua voce unica già inchiodava alle responsabilità delle crisi attuali, alla disperazione, alle false promesse del mondo occidentale. Sono stata a vederla dal vivo quell’anno a Torino al Flower Festival. Tra le 11 canzoni mi è difficile scegliere ma Crisis è un’ammissione di complicità: «If I tortured your brother in Guantanamo I’m sorry […] Daughter if I filled up your mass graves and attacked your countries under false premise I’m sorry». [TM]

#9

Ricordare Milva con una canzone che interpretò al festival di Sanremo del 1993 tra una Laura Pausini e un Nek, non altrettanto apprezzata. «Uomini addosso / A questo corpo mio […] Ho le braghe che scoppiano / Devi dirmi di sì / Altrimenti mi ammazzo qui / Uomini sempre addosso / Avanti, marsch», cantava e, forse, l’unico adattamento che andrebbe fatto oggi è con «Altrimenti ti ammazzo qui», perché lo fanno quasi tutti i giorni. [TM]

#10

«Poor people gonna rise up/ And get their shot» [of covid vaccine] sussurro in questi giorni mentre riascolto Tracy Chapman in Talking about a revolution. [TM]

LATO B: QUI

#1

Tiziana, mi hai fregato Tracy Chapman, e sono contenta!
Come zeitgeist di questo periodo sceglierei una canzone vecchissima, che però ha il potere di farmi saltare in piedi sul divano. Spesso chiamo questa “generazione Xanax”… per via di un desiderio, comprensibile, di smussare gli spigoli, procrastinare la paura. E allora becchiamoci una delle band più irriverenti e vitali della storia della musica: Voglio essere sedato, I wanna be sedated dei Ramones. [AS]

#2

Probabilmente ho già proposto questo pezzo, di una delle band più spietate e interessanti degli ultimi anni. Metto su questa song potentissima: noi, i poveri, resteremo su questo pianeta a intenderci l’acqua e l’aria, mentre i ricchi potranno avere un piano b. Ecco qua questa bomba, The Prothomartyrs: Modern Business Hymns. [AS]

E per ultima, una canzone degli All che adoro, ma che riletta oggi è praticamente il manifesto di uno stalker. La canzone mi piace sempre da impazzire, ma è curioso accorgersi che davvero, finalmente, qualcosa è cambiato dell’abitudine alla narrazione patriarcale. Certe frasi cominciano a sembrare non più romantiche, piuttosto weird, strane. Ma W gli All e hurra per il cambiamento di percezione! All: She’s my ex. Attenzione: non ballarla nuoce gravemente alla salute! [AS]

#4

Da qualche parte negli anni Ottanta mi si era piantato in testa questo pezzo di Bowie. Ora, grazie all’internette posso andare a recuperarne varie versioni – scelgo questa, perché nessuna sessione di prova potrà mai essere così figa (anche in presenza di tastieristi col mullet pieni di entusiasmo). Lo spirito del tempo, di un tempo lungo vari decenni, viene colto in pieno, e anche se il tempo non ha strisciato verso un panorama da olocausto nucleare qualcosa è andato decisamente parecchio storto nel trapasso dentro il ventunesimo secolo. [LC] 

#5

La sensazione è che no, we won’t, però è bello che Bill Frisell si sia presa a cuore We Shall Overcome. Mentre fuori tutto va mediamente abbastanza male (è pure un effetto collaterale dell’entropia cosmica, ci mancherebbe, però noi come specie ci mettiamo del nostro) mettersi a suonare col trio al Village Vanguard, con le mascherine, resta un atto abbastanza significativo, per quanto materialmente poco rilevante. Lo facevano i padri del jazz in un’America da apartheid, è giusto che continuino a farlo i figli e i nipoti in questa epoca sperduta. Giusto per tenere intatto un filo che merita di non essere mai tagliato. [LC]

#6

Un esempio molto raro di brano di musica rock durchkomponiert (composta senza l’utilizzo di forme ricorsive come strofe e ritornelli) che non sia un incubo prog. Da Hail to the Thief del 2003, con un testo scarno e ambiguo come spesso capita con i Radiohead (e tanti auguri a capire che dice Thom Yorke, mi fa tanto sentire come Lillo ne L’uomo che non capiva troppo) ma che basta a far sorgere il sospetto che il seme dell’apocalisse sia custodito nella stolida ignavia di ciascuno. C’è una voce che dice che conviene rinunciare a rimettere a posto il mondo, meglio starsene a casa propria dove due più due fa tranquillamente cinque. Ma poi è troppo tardi e tutto va a rotoli. Musicalmente, da metà pezzo, si apre il vaso di Pandora e si viene investiti da un fortissimo molto muscolare che lascia infine il posto a un finale quasi burocratico e gigioneggiante, ritmato un po’ a burletta. Perché il nostro mondo non finisce in crolli tragici ma più with a whimper e con un certo grado di vergogna, per chi ancora riesce a provarne. [LC]

#7

Ognuno ha le sue inconfessabili debolezze. Una delle mie, oltre a quella per Tiziano Ferro, è la smodata passione per Zucchero. Sarà perché da bambino nella macchina di mio padre c’erano solo le sue cassette e quelle di Guccini, sarà per l’aria di casa che respiro ogni volta che ascolto i suoi versi (versi in tutti i sensi), ma mi piace un sacco. Anche quando è pacchiano e ormai stanco come in questo pezzo. [FP]

#8

Mica mi sono ancora ripreso dalla scomparsa di Battiato dal nostro mondo. E poi, quando si ricomincia con qualcosa, é bene salutare i maestri e render loro omaggio. [FP]

#9

Anche Leonard Cohen ci ha lasciati come orfani. Sapere che nel mondo da qualche parte c’era lui, mi dava una strana forma di conforto. Con Nevermind, il pezzo tratto dal suo penultimo disco, Popular problems, Il vecchio Leonard aveva perfettamente centrato lo spirito del tempo. Almeno quello più oscuro. [FP]

#10

Una delle cose che più mi preoccupano di questo nostro tempo è la disinvoltura con cui gli organi d’informazione diffondono il caos e la paura. La trovo una deriva, per nulla nuova, ma sempre più esacerbante e schifosa. Lo cantava già Giorgio Gaber, tanti anni fa, ben prima dei social e dell’assuefazione a queste pratiche assassine. [FP]

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