Rileggere Max Fridman in tempo di guerra

Francesco Pelosi | Affatto |

Max Fridman è il personaggio più conosciuto di Vittorio Giardino. Nato nei primi anni Ottanta del secolo scorso, deve l’inizio della sua fortuna soprattutto al pubblico francese che accolse da subito con entusiasmo la sua figura orgogliosamente datata, figlia prediletta del Novecento. Tutt’oggi, anche se Giardino ne ha realizzate solo tre avventure in quarant’anni, la sua fama (seppur sempre più di nicchia) persiste.
Due fattori in particolare distinguono quest’opera: lo stile e il tempo. Il primo deriva direttamente da quello proposto inizialmente dal Tintin di Hergé (di cui anche Ester, la figlia di Max, è un’avida lettrice) e da quella che è stata chiamata retroattivamente ligne claire”: il disegno pulito, senza ombre, le canoniche quattro strisce per tavola (che in Giardino diventano sempre più spesso tre, all’italiana), l’occhio ossessivo per i particolari, la messa in scena perfetta. Fridman si muove in un canovaccio che va dai classici dello spionaggio (John Le Carré, Graham Greene) a quelli della letteratura sociale e avventurosa della metà del novecento (Hemingway, Orwell, Joseph Roth) e, in definitiva, il personaggio è uno degli archetipi più puri del sentimento che si respira nelle opere di quel periodo: un eroe ritroso, razionale ma romantico. Per un soffio, insomma, non è Corto Maltese (Fridman è però innanzitutto un eroe borghese, un sostenitore della società, non un anarchico, per quanto filo-massone, come Corto).
Il secondo aspetto è quello legato al tempo: tempo di realizzazione delle sue tavole – molto lungo, giustificato anche dal risultato finale che incanta nei suoi barocchismi – e tempo in cui si svolge l’azione delle sue storie, decisamente più breve.
Rapsodia ungherese, la sua prima avventura, lunga 90 pagine, viene serializzata nel 1982 sui primi quattro numeri di “Orient Express”, rivista diretta da Luigi Bernardi, (esattamente gli stessi dove Magnus fa resuscitare Lo Sconosciuto) per poi essere raccolta in un’unica edizione per L’Isola Trovata, il marchio che pubblicava il periodico. Tre anni dopo, nel 1985, appare sulla rivista “Corto Maltese” La porta d’Oriente, la seconda avventura di Max (più corta questa volta, “solo” 62 tavole), serializzata nei numeri dal 6 al 12 del terzo anno del mensile, e poi raccolta in volume da Milano Libri. Per la sua terza e, a oggi, ultima storia, bisognerà aspettare più di dieci anni: No pasarán viene proposta da Rizzoli Lizard in tre cartonati di grandi dimensioni fra il 1999 e il 2008. Infine, nel 2011, le sue 162 tavole vengono raccolte in un unico volume. Dunque, l’epopea della spia belga di discendenza ebraica con barba e pipa (esattamente come il suo creatore), si dipana lungo 23 anni. Ma le sue avventure sulla carta, come dicevamo, si svolgono in un lasso di tempo ben più ristretto: poco meno di un anno, dal 4 febbraio al 17 novembre del 1938.

Giardino afferma che «il contesto storico di Fridman non è tanto legato al 1938 come anno, quanto al periodo più ampio in cui stavano incubando tutte le ragioni che hanno portato alla Seconda Guerra Mondiale» e che si è concentrato proprio su quel periodo «in quanto meno tragico – a differenza degli anni del conflitto – e forse anche meno esplorato, meno raccontato, sia nel cinema sia nei fumetti».
All’inizio del 1938 Hitler prende il comando delle forze armate tedesche e poco dopo, il 12 marzo – come si legge anche nell’ultima tavola di Rapsodia ungherese – entra in Austria, senza incontrare resistenza. In seguito annuncia di voler incorporare alla Germania anche i territori cecoslovacchi di lingua tedesca e a fine settembre, durante la Conferenza di Monaco, Francia e Gran Bretagna glieli concedono per scongiurare il conflitto. Con questa notizia si chiude anche La porta d’Oriente, ambientata a Istanbul negli stessi giorni.
In quell’anno, fra le tante, succedono altre due o tre cose interessanti: la pubblicazione del primo numero di “Action Comics”, dove fa il suo esordio Superman (10 giugno), l’emanazione delle leggi razziali in Italia da parte di Benito Mussolini (18 settembre), la prima trasmissione di Radio Londra (27 settembre) e la fenomenale boutade di Orson Welles che leggendo La guerra dei Mondi dai microfoni della CBS manda nel panico la popolazione degli Stai Uniti, convincendola di una reale invasione aliena (30 ottobre). Il 1938 non è stato dunque un anno prevalentemente tragico ma, visto in prospettiva, assolutamente cruciale.
Con No pasarán, ambientato fra ottobre e novembre, la lente di Giardino si restringe sulla Spagna e sulla Guerra Civile che la dilania in quel periodo. Come ci viene suggerito da alcune allusioni nei due capitoli precedenti, Fridman ha fatto parte fra il 1936 e il 1937 della XII Brigata Internazionale, combattendo «per la Repubblica» (come sottolinea quando gli si chiede se era in armi al fianco dei “rossi”). Così, tornando a Barcellona e poi sul fronte dell’Ebro in cerca di un ex commilitone scomparso, Max rivive alcuni momenti del suo passato di guerra e noi con lui.

Questo è il primo momento in cui il conflitto armato entra concretamente e visivamente nel fumetto. Nella Rapsodia e nella Porta i tuoni della guerra erano ancora lontani, occulti, palesando il loro futuro apocalittico soltanto alla fine dei due episodi, quando il narratore onnisciente ci ricordava che mentre seguivamo Fridman tra pedinamenti, codici criptati e sparatorie, la Guerra Mondiale avanzava inesorabile, scandita dalle scelte irresponsabili, capricciose e in definitiva folli dei pochi uomini al comando delle nazioni.
In No pasarán, al contrario, veniamo messi direttamente di fronte alla guerra e alle sue conseguenze. Vediamo le bombe, le morti e le mutilazioni. Vediamo il terrore dei profughi, le case sfondate, la vita di ognuno spazzata via all’improvviso, come il voltar di una pagina. La paura e il disgusto che Fridman – e Giardino con lui – prova verso la guerra è palpabile. Le sue remore, la sua rabbia impotente, escono dalle vignette e ci invadono attraverso gli occhi. Persino l’insopportabile supponenza moralista del personaggio (caratteristica che ha in comune con il Ken Parker di Berardi e Milazzo) viene meno davanti alla tragedia che Giardino gli fa vivere.
No pasarán è senza dubbio un’opera di tutt’altro livello rispetto alle due precedenti. Là dove era il gioco dell’agente segreto e della nostalgia del non provato a farla da padrone, qui è l’emozione reale che invade le tavole, la possibilità di raccontare qualcosa di vero attraverso la finzione: la paura, l’orrore, la stupidità dilagante di una guerra. L’inutile che diventa inspiegabilmente necessario.
Giardino e Fridman riescono nella difficile arte del concretizzare l’invisibile – il passato – per portarlo nel corpo di chi lo guarda oggi. Ed è qui che sta la possibile eternità di queste opere, il loro smarcarsi dalle coordinate spaziotemporali d’origine, l’uscita dal Novecento. 

Per quanto mi riguarda, è esattamente per questo motivo che il 24 febbraio scorso ho ripreso in mano i miei volumi di Max Fridman. Con la guerra dietro casa, che ci alita sul collo e ci morde il culo, ho sentito la necessità di un appiglio, di un conforto nella letteratura.
Come molti, ho fatto un automatico quanto fallace paragone mentale fra il Donbass di oggi e l’Austria di allora. Fortunatamente però, la complessità ha poi ripreso il sopravvento, facendomi accantonare tutte le improvvisate valutazioni geopolitiche. Ma la paura è rimasta, e grazie alle avventure di Fridman sono riuscito a sedarla per un po’. A metterla in prospettiva.
Quel che è comunque chiaro, e che nelle avventure di Giardino si intuisce pur rimanendo sullo sfondo, è l’innegabile e tragica consapevolezza che la vita di molti è nelle mani di pochi. Che le decisioni sulle guerre che devastano vite, case e città, sono prese unicamente da alcuni signori agiati che raramente verranno toccati personalmente dagli eventi che scatenano.

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Una risposta su “Rileggere Max Fridman in tempo di guerra

  • Luciano

    Ottima analisi, sono un appassionato della Ligne claire, ho tutto Blake e Mortimer e Tintin (anche la prima edizione di Gandus), spero che Giardino ci faccia vivere qualche altra avventura che scopra altre cose della vita di Fridman non dette (la moglie per esempio), a parte il capolavoro che ci ha dato con Jonas Fink. Grazie comunque per l’articolo e per il riferimento alla guerra in Ucraina che ha fatto riprendere anche a me Fridman, un saluto
    Luciano Francardi

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